Un Eroe della resistenza

Bruno Fanciullacci.

La scelta del nome della Brigata “Fanciullacci” venne naturale. Si doveva onorare il Gappista ucciso.

Ma chi era il “Partigiano operativo” più amato e discusso della Resistenza fiorentina?

Era un giovane garzone nato a Pieve a Nievole (Pt) che si spostò dal suo paese natio per lavorare a Firenze. Di famiglia socialista, frequentò fin da subito alcuni personaggi della Firenze antifascista. Nel 1938 viene arrestato e fu condannato a sette anni di reclusione per attività antifascista. Usufruì dopo alcuni mesi a un condono per reati politici e nei primi mesi del ’43 venne assunto come operaio alla “Fascistissima” Fiat di Firenze. Entrò dopo l’8 Settembre nei Gruppi di Azione Patriottica (Gap), piccole formazioni con compiti di guerriglia e sabotaggio nei confronti delle forze Nazi-fasciste.

Fanciullacci partecipò a numerosi azioni contro istallazioni e uomini aderenti alla Repubblica di Salò, fino all’eclatante e discussa “esecuzione” di Giovanni Gentile avvenuta il 15 Aprile del ’44. Il 21 Aprile in via Santa Maria venne ucciso il “Pollastra” (citato all’inizio della intervista ). Non ci sono certezze, ma fu subito indicato il Fanciullacci come colpevole di tale azione. Dopo soli due giorni in Piazza Santo Spirito i parenti del Pollastra, accompagnati da un altro fascista di San Frediano tale Lisi, lo accoltellano per vendetta dopo una violenta colluttazione che richiamò diversi testimoni. Sanguinante a terra fu soccorso e portato in

ospedale piantonato da militanti fascisti. Ma la capacità operativa dei Gappisti fiorentini non si smentì nemmeno in questa occasione. Infatti fu organizzata una azione per portare il Fanciullacci via dall’ospedale per consegnarlo alla convalescenza nella casa del pittore Ottone Rosai.

Il 9 Luglio è già operativo e partecipa all’assalto del carcere di Santa Verdiana che porterà alla liberazione di 17 detenute “politiche”. L’azione suscita clamore nella cittadinanza. Le istituzioni fasciste aumentano i controlli “casa per casa” fino a quando il Fanciullacci viene

arrestato e consegnato nelle mani di Carità, note torturatore di Villa Triste. Durante uno dei tanti atroci interrogatori riuscì a scappare in un corridoio dell’edificio e a gettarsi nel vuoto sfinito dalle torture subite……

La resistenza si nutriva di piccoli granellini e si faceva strada con piccole, piccolissime imprese….

-“Gambalesta” mi parlò di un assalto ad una caserma di Carabinieri per rifornirsi di armamenti per la Brigata. Mi puoi raccontare qualcosa?”

-“ Fu una grande azione. Servivano armi, ma soprattutto munizioni, visto che i fascisti locali avevano messo gli occhi della repressione sul Monte Morello. Era Febbraio, lo ricordo bene perché la notte prima ci fu una gelata che tenne molti di noi svegli. Faceva un gran freddo. Appena iniziò il giorno una decina di noi si diresse verso la località Tagliaferro dove era

situata una piccola caserma di Carabinieri che a detta di tuo nonno non avrebbe fatto grosse resistenze. In realtà andò così. Con un pretesto ci fu aperta la porta centrale della caserma e in pochi secondi il gruppo di partigiani entrò dentro fermando il maresciallo e i due militari presenti.

All’inizio il Maresciallo tentò di prendere l’arma nella sua fondina, ma capì che non era il caso. Aveva davanti a sé uomini determinati. Non ci furono violenze. Furono prese le chiavi delle casse delle munizioni. Ognuno, senza appesantirsi, prese più armamenti possibili. Il maresciallo non sembrò più ostile. Credo che l’allarme lo dette un po’ di tempo dopo. Forse perché conveniva anche a lui non dire di essere stato derubato di armi da alcuni giovani “Banditi”! Ma questo chi lo può dire?!”

-“Ricordi altre azioni o eventi legati a quel periodo?”

Fraiser, si fida di me, riordina le idee dentro di se e inizia sospirando: “Non l’ho mai raccontato a nessuno. Anzi. Quello che ti sto per raccontare è una di quelle azioni che andò malissimo. Quelle azioni che ci ripromettemmo di tenere tra di noi. Un po’ per vergogna. Ma te la racconto ugualmente anche se tuo nonno (Gambalesta) non vi partecipò”

-“Tom, Piombo e Mitraglia decisero di fare visita ad un ingegnere della Todt per reperire armi, cibo e una scala. L’ingegnere viveva una villa in località Galliano, con la famiglia e il fratello. Si dice che fosse vicino politicamente al Fascio e partecipasse attivamente alla sua vita politica.

I tre partigiani si presentarono alla porta e senza farsi troppi scrupoli su chi avevano davanti, chiesero una scala da usare come barella rudimentale per un partigiano ferito. In un primo momento l’ingegnere sembrava disposto a consegnare la scala senza fare troppe domande. Ma,

all’improvviso da una porta interna sbucò (termine mai più giusto) il fratello dell’ingegnere armato di mitra che con alcuni colpi uccise Tom. Con un guizzo Piombo saltò addosso all’uomo armato e riuscì a metterlo di schiena incapace di offendere direttamente con l’arma. Furono momenti difficili.

Piombo durante la colluttazione gridò a Mitraglia di sparare contro l’uomo armato, ma Mitraglia titubò per il rischio di colpire anche il compagno.

Piombo insistette e Mitraglia lasciò partire alcuni colpi che uccisero l’ingegnere e il fratello, ma che ferirono non gravemente Piombo. Questa azione fu tra le più discusse. Indubbiamente fu individuato nell’Ingegnere della Todt un soggetto “non” certo amico della Resistenza, in qualche modo da intimorire. Ma non solo. La Todt aveva consegnato ai suoi dirigenti che abitavano fuori città delle armi veloci perché ritenevano la zona “periferica” poco sicura per le numerose bande organizzate di partigiani. I tre compagni avevano la certezza che in quella serata del 9 Aprile sarebbero usciti da quella villa con un paio di veloci mitra da portare in Brigata.

“Raccontami un po’ del rapporto con la popolazione…”

-“ I cittadini o meglio i contadini! Allora c’erano tanti campi, terreni… il cittadino operaio stava da altre parti!”

Lo sguardo di Fraiser si illumina, attacca due o tre parole. Accarezza il mio gatto che gli si struscia alle gambe del tavolo. Prima di rispondere alla domanda sospira e forse si emoziona un po’. Capisco che crede davvero in qualche “senso” di appartenenza.

-“I contadini ci hanno dato il pane, spesso anche la vita. Durante il periodo di organizzazione i giovani della campagna di città (credo che con il termine “campagna di città” si volesse riferire alle periferie a quel tempo utilizzate da campagne ndr) sono accorsi in gran numero a

portarci il cibo, le armi, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei loro familiari. Credo che avevano capito una cosa fondamentale del loro futuro…..non sarebbe stato possibile continuare il lavoro nei campi o nelle stalle senza garantirsi con le armi in mano il futuro della loro nazione.

Ricordo di una famiglia di Cercina che donò alla Brigata una decina di uova, una fiasca di vino e un sacco di farina. Quella sera fu festa grande! Finito di mangiare ci sentimmo tutti più in forze!

Sicuramente si riconosceva ai partigiani una figura sociale. Una figura di protezione. Noi si aiutava tutti! Avevamo due o tre staffette che furono preziose. Primo perché ci portavano in tempo utile le direttive del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e secondo perché rifornivano noi partigiani di qualche sigaretta.

Le sigarette erano merce rara! Le si vendevano anche “sciolte” per poterle comprare in numero adeguato alla cifra di denaro posseduta. Esistevano di varie marche. Le più popolari erano le Alfa e le Nazionali. Quello più care invece erano le Macedonia. Credo che queste ultime di averle fumate soltanto due o tre volte!

Alcune sere non era difficile ritrovarsi intorno al fuoco. Spesso si cantava o meglio si mormorava “bandiera rossa” e “l’internazionale”. Mentre si cantava si fumava tutti. Massimo una sigaretta “vera” a persona. A volontà erano invece le sigarette di scorza di noce tritata “rinvoltata” in carta di vecchi giornali.

Ma oltre alle sigarette arrivavano da noi in montagna anche coperte, cucite dalle pezze che molti antifascisti pratesi rubavano all’interno delle fabbriche e che distribuivano alla fitta rete di cittadini amici della Resistenza. Nella zona di Sesto Fiorentino erano molto attive le Sap

(Squadre di azione Patriottica)

Ma torniamo nuovamente alla nostra storia, alla vicinanza al popolo della Brigata.

Forse quell’essere Brigata così vicina alle popolazioni portò la mattina del 14 Luglio ’44 i militi della Wehrmacht a fare un rastrellamento in grande stile. Del resto non era la prima volta.

Il comando tedesco era stazionato a Cerqueto nella Villa Zappalà. Il comando ordinò ai propri soldati di accerchiare un gruppo di contadini intenti alla raccolta del fieno. Il gruppo di contadini fu interrogato sul posto. I tedeschi volevano notizie su dove erano situati i partigiani. O meglio! Dove Gambalesta, Fraiser, Agnellone, Tom, Stracchino….si accampavano. I contadini non si fecero intimorire e non rivelarono ai fascisti alcuna notizia. Per tutta risposta fu fucilato Emilio Cresci il più anziano del gruppo. I due o tre spari misero in allerta quelli della Fanciullacci che iniziarono la discesa lungo la costa del monte. Ma, come detto, i militari impegnati erano veramente tanti e ben distribuiti sul territorio e videro il gruppo in fuga. Fu semplice tendere loro una imboscata.

11 (undici) dei 12 (dodici) della Brigata furono uccisi a Pian degli Scollini. Si salvò solo Silio Fiorelli che riuscì a fuggire. Raggiunta la Brigata riportò l’accaduto Furono momenti drammatici. Quello che molti avevano messo in conto accettando la lotta Partigiana, lo stavano saldando I caduti della Fonte dei Seppi furono: Corrado Frigidi, Raffaello Biancalani,

Pietro Ferrantini, Emilio Sarti, Silvano Mazzoni, Roberto Lumini, Pietro Bucanelli,

Osvaldo Monselvi, Lando Stefani, Egizio Fiorelli e Aristodemo Poli.

Mio nonno Gambalesta rimase scosso. Fu avvisato “a quattro occhi” da Silio dell’accaduto.

Mi raccontò molte volte di quella giornata. In particolare ricordo che mi evidenziava sempre il fatto che si udirono alcuni spari alcune ore dopo l’uccisione di quegli uomini. Credo che voleva dirmi, senza forzare la mia sensibilità di piccolo uomo, che i militari tedeschi avessero infierito sui cadaveri dei suoi amici.

Gambalesta prese l’incarico forse più pericoloso e doloroso. Dopo qualche ora di “silenzio” delle armi sul luogo dell’uccisione, scese di gran passo verso il Pian degli Scollini, armato di un thomson e munito di vecchio scatolame vuoto. Scrisse i nomi di battaglia dei suoi amici su dei

foglietti e nascose tutto dentro una latta sotterrando la stessa sotto un po’ di terra.

La sua premura era quella di dare loro, in tempi di non conflitto, una degna sepoltura, la quale avvenne il 9 Ottobre del ’44 nel cimitero maggiore di Sesto Fiorentino. Non solo, nei primi mesi del 1945 fu eretto su richiesta di Gambalesta un monumento a ricordo dell’eccidio. Ancora oggi quel luogo è visi tato da molte persone anche se il monumento non è più quello posto nell’anno indicato. Purtroppo nei primi anni ’70 alcuni ignoti, forse nostalgici del Movimento Sociale, fecero esplodere parte del monumento. Fortunatamente il Comune di Sesto Fiorentino, sensibile e attento ancora oggi alla valorizzazione e alla memoria della Resistenza ricostruì il monumento più grande e più prestigioso e ogni anno lo onora dedicando un’orazione pubblica in loco.

Era lui il nonno che mi ha cresciuto. E’ lui il metro della mia umanità

Intanto Silio Fiorelli , fratello di Egizio, caduto come detto nell’imboscata di Pian degli Scollini, diede una nuova spinta all’attività dei gappisti di Sesto Fiorentino: il 17 Luglio veniva giustiziato un agente tedesco che si spacciava colonnello dei partigiani, il 22 altri due elementi in contatto con i tedeschi subivano la stessa sorte, mentre tra il 27 e il 28 in vari attentati

cadevano 7 militari tedeschi: uno a Settimello, due al Termine, uno a Castello e tre ufficiali sulla Firenze-Mare.

“Si era talmente furbi e lesti che si riuscì a fare anche due prigionieri”

Così all’improvviso, dopo una tazza di caffè, Fraiser si ricorda, sobbalzando nuovamente dalla sedia…

-“ Riuscimmo durante un’azione a fare due prigionieri. Due prigionieri Tedeschi con doppia nazionalità. Tedesca e americana. Cose che di questi tempi sarebbe diventato un caso mondiale!

Noi della Fanciullacci non ci siamo mai fatti mancare niente!

Ricordo che i primi giorni c’era molta curiosità sul conto di questi due uomini. Qualcuno pensava che fossero una iettatura e che la cosa migliore era ammazzarli. E subito!

Ma tuo nonno Gambalesta, Bachino, Agnellone ed io mettemmo il veto.

Erano prigionieri si, ma soprattutto uomini. Infatti li presi in consegna io.

Furono chiusi in un gabbiotto. Ma non furono legati. Erano liberi nei movimenti. Tutti i giorni toccava loro la stessa porzione di pane nostro.

Gli venne consegnato anche un pezzo di sapone. Si organizzò una sorta di processo, ci raccontarono cose molto curiose sulla loro vita in America, sentimmo parlare per la prima volta di cow boy.

La loro storia, come detto, era molto curiosa soprattutto per gente semplice come noi. Uno di loro, che parlava cinque lingue, mi spiegò che vivevano in America, ma avendo anche la nazionalità tedesca furono “costretti” a rispondere all’arruolamento tedesco.

Si trovavano in Italia per una licenzia premio dopo aver combattuto nella battaglia di Stalingrado.

“Bella Licenza vù fate!”- risposi io dopo aver ascoltato la loro storia.

I prigionieri erano solidali con la nostra causa. Detestavano anche loro questa guerra. Ritenevano Mussolini un piccolo cameriere di Hitler. Disse proprio così! Parole testuali.

Ricordo che uno dei due aveva forti dolori di stomaco. Durarono diversi giorni. Non avevamo nessun medico da consultare. Avevamo solo alcune pasticche per la febbre, donate dalla farmacia Aiazzi-Mancini. Decidemmo di liberarli. Non avevamo garanzie che i due non avrebbero rivelato ai fascisti la logistica della Brigata, ma di quei due curiosi Germanici/americani ci si volle fidare.

In un clima sereno e di fratellanza tuo nonno li salutò e li lasciò al loro destino. Tutta la Brigata era sicura di avere fatto la cosa giusta.

Prima di salutarci uno dei due prigionieri disse:

-” Non mi dimenticherò mai di questi giorni e della vostra tenacia contro l’ingiustizia fascista….Spero di poter raccontare a mio figlio questa storia…..noi scampati alla grande battaglia di Stalingrado ci siamo fatti fare prigionieri da un manipolo di giovanotti!”

A dire il vero questi non furono gli unici prigionieri.

Nell’inverno del ’44, quando il gruppo di Monte Morello era il gruppo Lanciotto, fu fatto prigioniero “Il rosso”, ovvero il guardiacaccia della tenuta Corsini. I fatti, dal nonno raccontati, sono questi: durante un turno di guardia, un partigiano di nome Guglielmo, si riparò sotto un albero. Il guardiacaccia, credendolo un bracconiere o un frodista, gli puntò un fucile alla schiena, chiedendo lui il perché della sua presenza nella tenuta Il “rosso” era un uomo conosciuto nella zona come un uomo dal grilletto facile e dai modi bruschi e decisi. Sul suo conto circolavano brutte storie di morte. Si diceva che avesse ucciso 4 uomini solo perché trovati a cacciare di frodo nella proprietà da lui controllata.

Per sua fortuna il compagno di guardia di Guglielmo non tardò ad arrivare e riuscì a disarmare il guardiacaccia dopo una breve colluttazione. Il “rosso” fu portato al campo e davanti a molti partigiani fece la promessa che, se rilasciato, avrebbe fornito clandestinamente viveri e rifornimenti di grano dalla ricca fattoria per cui lavorava. La promessa fu mantenuta.

Una volta rilasciato riuscì a portare in montagna tanta di quella roba che fu distribuita anche ai contadini locali.

I ricordi spesso riaffiorano improvvisi. Questo l’ho capito da come gli occhi di Fraiser si illuminano e danno vita a un fiume di parole e di lucidi pensieri, interrotti solo talvolta che la memoria lo tradisce….

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