Archivi Blog

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA DI FIRENZE

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA

DI FIRENZE

LANCIOTTO BALLERINI
« Comandante dal settembre 1943 la P, Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a. ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».
Monte Morello, 3 gennaio 1944
VITTORIO BARBIERI
« Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2" Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo dì continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avan­scoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo ac­compagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».
Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•
ALIGI BARDUCCI (Potente)
Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.
Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costitui la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacrifici in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.
Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.
Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava ì volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.
Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».
Firenze, 9 agosto 1944•
ENRICO BOCCI
« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riusci a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla : saputo del suo destino ».
Firenze, giugno 1944•
ELIO CHIANESI
« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of¬frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle più ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac¬canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet¬tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.
Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».
Firenze, 15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•
ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI
« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra¬telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.
Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.
Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »
1 In realtà, come è detto nel testo, A. M. Enriques Agnoletti fu fucilata nei pressi di Cervina, sulle falde del Monte Morello.
BRUNO FANCIULLACCI
« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio, e temerari colpi di mano che disorientarono l’avversario.
Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertagli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi generosamente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com¬piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stroncava la vita ».
Firenze, settembre 1943 – luglio 1944•
ADRIANO GOZZOLI
« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subí torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affrontava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».
Mugello-Firenze, 8 settembre 1943 – 3 maggio 1944•
TINA LORENZONI
« Purissima patriota della Brigata " V martire della fede italiana compi sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa-trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.
Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•
LUIGI MORANDI
« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei più delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i più gravi rischi e le più dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentre trasmetteva messaggi segreti, riusciva con mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i nemici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato più volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organizzato col proprio eroico sacrificio ».
Firenze, 7 giugno 1944•
ITALO PICCAGLI
« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta intransigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progressiva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività operativa ed informativa, corso per più mesi i più gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irreparabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente minata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito preziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Durante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla moglie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di offrire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad affrontare coraggiosamente la morte.
A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile,
di purissimo amore di Patria ».
Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944

Antonio Ceseri – Salvo tra 130 fucilati

"Salvo tra 130 fucilati
ora vivo per raccontare"
Antonio Ceseri sfuggì alla strage di Treuenbrietzen sepolto dai cadaveri. Ci hanno coperto di terra e credevo che sarei morto soffocato Ho contribuito a identificare tutti, ogni tomba ha un nome
di SIMONA POLI
da Repubblica

"Salvo tra 130 fucilati ora vivo per raccontare"
Era un giovanissimo soldato fiorentino Antonio Ceseri. L´8 settembre del 1943 la notizia dell´armistizio lo sorprese mentre prestava servizio nella Marina all´Arsenale di Venezia. I tedeschi lo arrestarono e lo spedirono in un campo di lavoro in Germania, vicino ad Hannover. Il 23 aprile del ‘45 le Ss ormai incalzate dai soldati sovietici decisero di uccidere i prigionieri, dopo averli trascinati in una cava di sabbia a Treuenbrietzen. Centotrenta uomini. Per ammazzarli tutti, anche coi mitra, ci vollero tre quarti d´ora. Ceseri è uno dei tre sopravvissuti. Per lui questo è il primo viaggio ad Auschwitz sul Treno della memoria. «Lo faccio per i ragazzi», spiega, «perché non dimentichino».

Ha mai visto il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau?
«Solo una volta, quarant´anni fa. Ma quando mi ha telefonato la direttrice del Museo della deportazione di Prato per propormi di accompagnare le scuole toscane ho accettato subito. Anch´io posso portare la mia testimonianza, sono un sopravvissuto».

Come ha fatto a salvarsi dal massacro di Treuenbrietzen?
«I tedeschi ci avevano messo in fila per tre e ci hanno incanalati in una sorta di fossato, noi in basso e loro in alto. Poi hanno iniziato a sparare, io sono cascato a terra al centro della fila e i corpi dei miei compagni uccisi mi hanno coperto. Sentivo tutte le pallottole che rimbalzavano sugli altri, non finiva mai, per mesi ogni notte ho continuato a saltare nel letto come se avessi le convulsioni. Dopo, credendoci tutti morti, ci hanno coperto di terra e io ho pensato che sarei morto soffocato. Invece si mise a piovere, solo per questo sono ancora vivo».

Quanti anni aveva quando fu catturato?
«Nemmeno 19. Dopo l´arresto i tedeschi ci chiesero se volevamo aderire alla Repubblica di Salò, in quel caso ci avrebbero rimandato in Italia. Ma io non ci pensavo nemmeno a tornare a combattere per Mussolini, la mia era una famiglia di antifascisti».

E così finì nel campo di lavoro.
«Passai una selezione, come tutti gli altri dissi che facevo il contadino ma non ci credette nessuno perché non avevo calli sulle mani. Così mi portarono a Treuenbrietzen a lavorare in una fabbrica di munizioni per armi leggere. Si mangiava solo una volta al giorno una scodella di sbobba fatta di erba, cavolo e acqua, la domenica ci davano tre patate, ho visto un compagno morire di fame».

Nella fabbrica lavoravano anche civili?
«Donne tedesche, sì, con cui era proibito parlare. Ma qualcosa da mangiare ce la passavano sotto banco, una mela, un pezzo di pane, un po´ di cioccolata».

Avevate anche voi la divisa?
«Avevamo gli zoccoli, le scarpe ce le portavano via subito. A me fregarono anche i vestiti della Marina, la camicia non l´ho cambiata per un anno, le pulci ci mangiavano vivi, di notte era un tormento».

Sapevate delle camere a gas?
«Non sapevamo nulla di nulla, neppure di come stesse andando la guerra. Una donna ci disse in gran segreto dello sbarco in Normandia ma non sapevamo se fosse vero. Dei campi di sterminio sono venuto a conoscenza solo una volta tornato in Italia».

Vi picchiavano?
«Tantissimo e senza motivo, quando ci alzavamo la mattina ci battevano col calcio del mitra. Ogni quindici giorni i tedeschi facevano un´ispezione della baracca e ci costringevano a stare in mutande. Il 6 gennaio del ‘44 c´era la neve e ci mettevano fuori in mutande dalle 6 fino a mezzogiorno. Scappare era impossibile, filo spinato dappertutto, 20 Ss a guardia giorno e notte, cattivissime».

Cosa c´è oggi nella cava di sale di Treuenbrietzen?
«Un cippo, ci vado ogni anno a commemorare la strage. Ho contribuito a riesumare e identificare tutti i miei amici, ogni soldato ha una tomba col suo nome nel cimitero dei soldati italiani a Berlino». Piange.

Ricordi personali di Toscano

Ospedale di Careggi 4 Agosto 1944

Mi si permetta di ricordare

Un pezzo importante della mia vita

All’inizio di agosto la linea del fronte passa attraverso Firenze, i partigiani scendono dalle montagne e convergono sulla città, alleati e tedeschi si fronteggiano in riva all’Arno. La popolazione si prepara alla battaglia di Firenze.

L’autore è testimone diretto di quell’esperienza e della vita della zona di Firenze vicina all’Ospedale di Careggi di quegli anni.

"“Il 4 o 5 agosto 1944 i tedeschi fecero sfollare e racchiudere dentro l’ospedale di Careggi tutti gli abitanti della zona. Con barroccini portammo materasse o altro e ci adattammo nelle corsie nei padiglioni di Careggi, laddove le cliniche erano vuote.”"

"“In quell’area avevano trovato rifugio anche dei partigiani che stavano chiusi nella clinica che noi si chiamava "Il Lazzeretto". Grande fu l’aiuto che il personale, dottori ed infermieri dettero a tutti ricoverando perfino nel reparto tubercolotici dei partigiani, credo della Brigata Fanciullacci, per coprirli usavano uno stratagemma.”"

"“I partigiani e gli altri uomini validi mettevano in bocca della polvere d’uovo e tossendo sputavano delle patacche gialle, in questo modo i tedeschi scansavano quel reparto da come ne erano terrorizzati.”"

"“Per venticinque giorni abbiamo vissuto sotto l’arbitrio e la dominazione tedesca e sotto l’incubo dei cannoneggiamenti di chi non si sa.”"

"“In questi bombardamenti a casaccio morirono sfollati e malati, morì anche la compagna Primetta Bartolini, staffetta partigiana. Per sostenerci fummo costretti a mangiare granturco in chicchi, tralci di vite, erba dei giardini. Ma quando li trovammo facemmo grande festa agli animali da laboratorio: fra i quali i polli, i conigli e le cavie del reparto sperimentazione dell’ospedale.”"

"“In particolare ricordo il maiale: a detta di mio padre macellaio era di una grossezza spaventosa, fu ucciso e lo mangiammo in tanti. E in tanti il giorno dopo si affollavano nei locali di decenza e prati vari.”"

"“Dopo l’insurrezione di Firenze, l’11 di agosto, e l’avvicinamento del fronte le persone che avevano trovato rifugio nell’ospedale cominciarono a scappare per la fogna. La via di fuga era un po’ scomoda: 1500 metri nelle fogne dall’interno dell’Ospedale fino a Piazza Dalmazia.”"

"“Fu tirata una corda e si cominciò l’esodo. Qualcuno vide e fece la spia, i tedeschi minarono le fogne per impedire la fuga dall’ospedale, ferirono e catturarono due sfollati, li curarono e poi li fucilarono alla presenza dei familiari.”"

"“Il 27 agosto i tedeschi mi presero ma mi fu possibile fuggire: grazie ad una carica di mortaio che ferì i rastrellatori e il mio amico Mario. Lui, che era di costituzione più robusta della mia, venne ripreso da un tedesco ferito che gli montò a cavalcioni e si fece portare al comando situato in una delle ville signorili sopra Careggi. Mario tornò a casa nel luglio 1945.”"

"“Poi la mattina del 31 agosto arrivarono i partigiani della 3° Rosselli. Liberarono e rastrellarono il complesso ospedaliero tra lacrime di gioia, saluti, urla: come erano belli!”"

"“Oddio, il primo che vidi non era certo un bel "Ribelle della Montagna", piccolo e secco, scuro al di fuori dei canoni dell’immaginazione popolare. Seppi dopo che era un calabrese che aveva fatto tutta la trafila in montagna dall’8 settembre in poi e che aveva posato l’occhio su una bella "Luger" che avevo alla cintola dei pantaloni.”"

"“Arrivarono anche dei compagni conosciuti e mi senti meglio, il calabrese mi guardò con l’occhio meno cupido e tutto fu risolto.”"

"“La vita riprese e si ritornò nelle case, si facevano grandi progetti.”"

"“Intanto i tedeschi avevano fatto saltare delle abitazioni, in particolare il casamento in angolo tra Via delle Panche e Via Michelazzi, e nascosto sotto le macerie delle mine. Erano dappertutto: nei campi, dietro le porte, sotto i letti, sugli alberi. Le "mine" divennero il terrore delle genti.”"

"“Tante furono individuate e segnalate secondo le istruzioni ricevute dal Gen. Alexander, segnalate con un cartello "MINEN" e ci prendemmo le prime critiche per la strana dizione italiana.”"

"“Il 1° settembre di sera ci fu uno scontro con una pattuglia di guastatori tedeschi, uno fu preso prigioniero. Ma non fu possibile consegnarlo agli alleati perché fece un tentativo di fuga.”"

"“Fu stabilito di organizzare per il 3 settembre una festa per i partigiani e ci demmo da fare. Con Nino andammo a caccia di bevande. In una casa vinicola trovammo una vasca di marsala, ma trovammo anche una diecina di soldati inglesi che bevevano usando il tipico elmetto a scodella, dopo un poco erano sufficientemente ubriachi per farsi portar via un revolver a tamburo che avrebbe fatto invidia ad un cowboy, e una piccola damigiana di marsala.”"

"“Ritornammo verso la casa del popolo, si doveva passare sulle macerie, all’andata un anziano era scivolato, la mina non era scoppiata e gli "esperti" che ci sono sempre in ogni momento dissero che erano finte. Ma Nino mi disse "dammi la damigiana la porto io, tu vai avanti". io ubbidii. Avevo appena passato le macerie quando fui investito da uno spostamento d’aria e sassi che mi scaraventò a 5 metri più in là.”"

"“Mi alzai stordito e dolorante, mi girai e Nino non c’era più; era stato squartato e buttato a venti-venticinque metri sulle macerie, il busto senza gambe, la testa mezza staccata: come un automa cominciai a raccogliere i pezzi, piangevo e tremavo, la gente guardava come sbigottita.”"

"“Poi vennero i Fratelli della Misericordia di Rifredi e mi portarono via, mi dissero dopo che avevo raccolto quasi tutto quanto era possibile.”"

"“La madre di Nino non resse al dolore del secondo figlio morto in guerra e morì poco dopo.”"

"“A Primetta Bartolini venne dedicata una cellula femminile della Sezione delle Panche del PCI, a Vinicio Bagaglini (Nino) una cellula maschile.”"

Nota

L’autore desidera dedicare queste sue memorie ai tre caduti partigiani della zona di Firenze detta "Le Panche": Primetta Bartolini, Vinicio Bagaglini e Carlo Carmonini, quest’ultimo caduto a Montorsoli e segnalato sulla lapide come Carlo Cremonini.

(Ad Un Partigiano Caduto – Giuseppe Bartali)

(Ad Un Partigiano Caduto – Giuseppe Bartali)
la strada che conduce
a quei giorni lontani di smeraldo
dove sostammo come creduli ragazzi
a creare coi sogni nelle vene
fantasie di speranze e di parole
fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
che mi lega all’arco dei rimpianti
se soltanto le voci dei compagni
tornassero a cantare
come quando la vita dilagava
e tu portavi alla gioia di tutti
il tuo sorriso di fanciullo
e la forza serena dei tuoi occhi
Ma anche se il tempo non ricama
che fili d’ombra sulla memoria
e il tormento di quel assurdo giorno
quando attoniti restammo
davanti alla pietà della tua forca
è pur sempre l’ora della tua lotta
del tuo caldo vento di libertà
immenso come grembi di colombe
in volo fra fiori d’acquadiluna
Tu solo amico adesso
puoi scegliere i ritorni
e dirci ancora
col battito delle tue ali
le bellezze della vita
e le dolci innocenze della morte.

La resistenza a Firenze

clip_image001

La Resistenza a Firenze

N°2

Naturalmente episodi come questo della fucilazione degli ostaggi non facevano che rinfocolare la lotta, la quale continuò aspra in campagna ed in città.

Difatti — come abbiamo già notato — nei dintorni piú o meno immediati della città, in ogni zona che appena appena offrisse una qualche possibilità, si erano formati raggruppamenti partigiani. Le formazioni fluide di sol­dati sbandati e di renitenti alla leva avevano perso di con­sistenza, per l’abbandono ed il cedimento degli elementi meno consapevoli : le durezze dell’inverno e le prospettive di una guerra piú lunga del previsto aiutavano le defe­zioni. Ma intanto affluivano alle bande elementi politi­cizzati, che fuggivano dalla città perché ricercati: afflui­vano anche commissari politici, ufficiali e tecnici, inviati dal Partito comunista e da quello d’Azione. Le bande quindi, pur riducendo nell’inverno i loro effettivi, gua­dagnarono in mordente e nella serietà degli intenti.

Sorse cosí uno scambio continuo fra la campagna e la città per rifornire i raggruppamenti partigiani di viveri, ve­stiario, armi e denaro. A tale scopo si erano rimediati a Fi­renze alcuni laboratori per falsificare carte annonarie, carte d’identità ed altri documenti, mercé l’aiuto d’impiegati an­tifascisti presso la prefettura ed il comune. E l’intensificarsi di tutta questa attività causava l’intensificarsi della sorve­glianza da parte delle polizie e dei rastrellamenti : da ciò nascevano scontri quasi quotidiani con morti e feriti.

I fascisti nelle loro azioni di repressione si valevano come basi di partenza di quei paesi dove potevano contare su un nucleo organizzato di fedeli seguaci. Come ad esem­pio Montelupo, che fu il primo paese della provincia ad annoverare una sezione del Fascio repubblicano, dimostra­tasi assai attiva nella lotta antipartigiana e nella cattura dei prigionieri alleati, rifugiati nelle zone limitrofe.

Da qui la necessità per gli antifascisti d’ impedire a qualsiasi costo — anche con il terrorismo — il consolidarsi dei repubblichini nei paesi di campagna. Gli scontri fra i singoli uomini ed i gruppi armati erano ormai inevitabili e si facevano anzi di giorno in giorno piú frequenti. Il 2 dicembre sulle colline di Greve una formazione comunista, guidata da Faliero Pucci, fu improvvisamente attaccata da un reparto di fascisti supe­riori di numero, che furono però messi in fuga.Il giorno successivo la cronaca registra lo scontro fra elementi « sovversivi » e militi della « Muti », dei quali due vengono uccisi; è fra essi il pregiudicato Fanciul­lotti . Ma il primo scontro di un certo rilievo ebbe luogo a Valibona, sui monti della Calvana, nella zona dì Prato, ed ebbe come protagonista la banda capitanata da Lan­ciotto Ballerini, banda che faceva parte dì una grande for­mazione operante nella zona del Monte Morello. Questa formazione era rifornita dal P. d’A. ed in diretto contatto col suo comando militare, in modo particolare con Carlo Ragghianti.

clip_image002

Lanciotto Ballerini

(Medaglia d’Oro alla Memoria)

Lanciotto Ballerini era di Campi, faceva il macellaio. Aveva partecipato come sergente alla campagna etiopica e poi a quella di Grecia; dopo l’8 settembre, con alcuni giovani compagni si ritirò tra i boschi di Monte Morello, dando vita ad una formazione armata del Partito d’Azione. Quando la situazione di Monte Morello cominciò ad ag­gravarsi per i frequenti rastrellamenti, la banda si divise in due : i comunisti raggiunsero la loro formazione di Monte Giovi, mentre Lanciotto avrebbe dovuto raggiun­gere Pippo (Manrico Ducceschi), che, collegato anche lui al Partito d’Azione, comandava una formazione di parti­giani nell’alto pistoiese. Con Lanciotto erano rimasti à partigiani trai piú giovani, compresi anche due prigionieri russi evasi dal campo di concentramento.

Avevano fatto tappa a Valibona, dove si trattennero forse píú del necessario, dato che Lanciotto, avendo saputo l’arresto di due suoi fratelli, voleva tentare di liberarli, anche a costo di organizzare un assalto a « villa Triste ». Traditi da un fattore delle vicinanze, la notte del 3 gen- naio vennero assaliti da una colonna di circa 600 uomini’.

Sorpresi nel sonno, furono circondati nel cascinale e fu loro intimata la resa. 1 partigiani reagirono con pron­tezza : si chiusero in difesa, passarono al contrattacco ed infine tentarono la sortita. Guidati da Lanciotto, riusci­rono a rompere l’accerchiamento dalla parte della mon­tagna, nel settore tenuto dai carabinieri, i meno accaniti ed i meno entusiasti del combattimento. Ma Lanciotto, un ufficiale russo ed altri due partigiani rimasero sul terreno : gli altri riuscirono a mettersi in salvo.

Cosí fu descritta la fase culminante dello scontro da uno dei sopravvissuti, nel rapporto presentato al comando militare del P. d’A. :

… lo personalmente e tutti i superstiti ed i nemici stessi possono testimoniare il comportamento eroico di tutti. Ma la figura emer­gente è stato Ballerini Lanciotto che a testa alta, impavido, audace, temerario con una bomba per mano, inseguiva i nemici mettendoli in fuga e terrorizzandoli — sembrava un eroe leggendario — gri­dava: squadra A. a destra, fuori le mitragliepesanti; squadra B. a sinistra, fuori i mortai d’assalto; avanti contro questi vigliacchi, mettiamoli in fuga — e come un leone eccitato dal combattimento trascinava gli altri — terminate le bombe, imbracciato il moschetto, si gettava verso la mitraglia fascista che lo fulminava a dieci metri — mi trovavo a cinque metri da lui — sparavo con la rivol­tella. Un altro giovane di Sesto, Vandalo, scamiciato, come un garibaldino in piedi correva a destra e a sinistra dove si riunivano i fascisti, fulminandoli a moschettate. Sono stati tutti bravi e dovranno essere fieri di aver preso parte ad un combattimento cosí impari ed in condizioni d’inferiorità come armi, come numero e come posizione… 2. 1

Fu questa la prima battaglia sostenuta dai partigiani che ebbe una notevole risonanza nell’opinione pubblica. Molti furono i morti (sul campo, od in seguito alle ferite riportate) nelle file fasciste, composte da militi di Prato (fra questi si diceva allora che fosse presente e attivo anche il noto campione ciclista Fiorenzo Magni dal battaglione « Muti » e da alcuni reparti di carabinieri.

Né il rastrellamento operato di conseguenza su tutta la zona intorno a Firenze, compresa fra la Calvana e il Monte Morello, distrusse l’attività partigiana. Le forma­zioni disperse si riformarono in zone limitrofe un po’ piú arretrate — come ad esempio il Mugello — e nella primavera successiva passarono all’offensiva, rioccupando il territorio perduto. Comunque, al principio dell’inverno 1944 — nonostante i rastrellamenti ed il crescente rigore della stagione — era lecito affermare che in qualsiasi dire­zione uno si avviasse, poteva imbattersi, entro un breve raggio di territorio, nelle zone controllate dai partigiani.

Erano queste formazioni partigiane che assalivano i convogli dei tedeschi, che interrompevano con atti di sabo­taggio le comunicazioni ferroviarie e telefoniche, che deva­stavano i magazzini di viveri. La loro attività non rientra nei limiti di questo studio e meriterebbe una trattazione organica a parte.

Lotta partigiana a Firenze

clip_image002

La lotta Partigiana a Firenze

N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.

Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.

Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.

A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.

Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.

Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì

Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.

Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.

Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.

I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.

Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.

Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.

Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :

Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.

Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.

Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…

Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili

A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.

Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:

i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .

Medaglie d’oro al V. M della provincia di Firenze

clip_image001

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA
DI FIRENZE

clip_image003

LANCIOTTO BALLERINI

« Comandante dal settembre 1943 la 2a Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».

Monte Morello, 3 gennaio 1944

clip_image005

VITTORIO BARBIERI

«Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2° Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo di continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avanscoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo accompagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».

Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•

clip_image006

ALIGI BARDUCCI (Potente)

« Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.

Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costituí la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacri­ficio in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.

Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.

Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava i volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.

Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».

Firenze, 9 agosto 1944

clip_image008

ENRICO BOCCI

« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riuscì a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla si è saputo del suo destino ».

Firenze, giugno 1944•

clip_image010

ELIO CHIANESI

« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of­frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle piú ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac­canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet­tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.

Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».

Firenze,15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•

clip_image012

ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI

« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra­telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.

Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.

Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »

Firenze, 15 maggio – 12 giugno 1944•

clip_image013

BRUNO FANCIULLACCI

« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio e teme­rari colpi di mano che disorientarono l’avversario.

Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertegli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi genero­samente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com­piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stron­cava la vita ».

Firenze, settembre1943 – luglio 1944•

clip_image014

ADRIANO GOZZOLI

« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subì torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affron­tava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».

Mugello-Firenze, 8 settembre1943 – 3 maggio1944•

clip_image016

TINA LORENZONI

« Purissima patriota della Brigata " V ", martire della fede italiana compì sempre piú del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa­trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.

Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente pro­vata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render pos­sibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».

Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•

clip_image018

LUIGI MORANDI

« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei piú delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i piú gravi rischi e le piú dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentra trasmetteva messaggi segreti, riusciva con

mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i ne­mici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato piú volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organiz­zato col proprio eroico sacrificio ».

Firenze 7 giugno 1944

clip_image020

ITALO PICCAGLI

« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta in­transigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progres­siva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività ope­rativa ed informativa, corso per piú mesi i piú gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irre­parabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente mi­nata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito pre­ziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Du­rante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla mo­glie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di of­frire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad af­frontare coraggiosamente la morte.

A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile di puris­simo amore di Patria ».

Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944 1-

La lotta partigiana a Firenze

Medaglia d’oro al valor militare alla Città di Firenze

Motivazione

Generosamente e tenacemente nelle operazioni militari che ne assicurarono la Liberazione, prodigò se stessa in ogni forma: resistendo impavida al prolungato, rabbioso bombardamento germanico, mutilata nelle persone e nelle insigni opere d’arte. Combattendo valorosa l’insidia dei franchi tiratori e dei soldati germanici. Contribuendo con ogni forza alla Resistenza e all’insurrezione: nel centro, sulle rive dell’Arno e del Mugnone, a Careggi, a Cercina e dovunque; donava il sangue dei suoi figli copiosamente perché un libero popolo potesse nuovamente esprimere se stesso in una libera nazione.

10 agosto 1945

La Resistenza a Firenze

clip_image001

La Resistenza a Firenze
N°2

Naturalmente episodi come questo della fucilazione degli ostaggi non facevano che rinfocolare la lotta, la quale continuò aspra in campagna ed in città.
Difatti — come abbiamo già notato — nei dintorni piú o meno immediati della città, in ogni zona che appena appena offrisse una qualche possibilità, si erano formati raggruppamenti partigiani. Le formazioni fluide di sol­dati sbandati e di renitenti alla leva avevano perso di con­sistenza, per l’abbandono ed il cedimento degli elementi meno consapevoli : le durezze dell’inverno e le prospettive di una guerra piú lunga del previsto aiutavano le defe­zioni. Ma intanto affluivano alle bande elementi politi­cizzati, che fuggivano dalla città perché ricercati: afflui­vano anche commissari politici, ufficiali e tecnici, inviati dal Partito comunista e da quello d’Azione. Le bande quindi, pur riducendo nell’inverno i loro effettivi, gua­dagnarono in mordente e nella serietà degli intenti.
Sorse cosí uno scambio continuo fra la campagna e la città per rifornire i raggruppamenti partigiani di viveri, ve­stiario, armi e denaro. A tale scopo si erano rimediati a Fi­renze alcuni laboratori per falsificare carte annonarie, carte d’identità ed altri documenti, mercé l’aiuto d’impiegati an­tifascisti presso la prefettura ed il comune. E l’intensificarsi di tutta questa attività causava l’intensificarsi della sorve­glianza da parte delle polizie e dei rastrellamenti : da ciò nascevano scontri quasi quotidiani con morti e feriti.
I fascisti nelle loro azioni di repressione si valevano come basi di partenza di quei paesi dove potevano contare su un nucleo organizzato di fedeli seguaci. Come ad esem­pio Montelupo, che fu il primo paese della provincia ad annoverare una sezione del Fascio repubblicano, dimostra­tasi assai attiva nella lotta antipartigiana e nella cattura dei prigionieri alleati, rifugiati nelle zone limitrofe.
Da qui la necessità per gli antifascisti d’ impedire a qualsiasi costo — anche con il terrorismo — il consolidarsi dei repubblichini nei paesi di campagna. Gli scontri fra i singoli uomini ed i gruppi armati erano ormai inevitabili e si facevano anzi di giorno in giorno piú frequenti. Il 2 dicembre sulle colline di Greve una formazione comunista, guidata da Faliero Pucci, fu improvvisamente attaccata da un reparto di fascisti supe­riori di numero, che furono però messi in fuga.Il giorno successivo la cronaca registra lo scontro fra elementi « sovversivi » e militi della « Muti », dei quali due vengono uccisi; è fra essi il pregiudicato Fanciul­lotti . Ma il primo scontro di un certo rilievo ebbe luogo a Valibona, sui monti della Calvana, nella zona dì Prato, ed ebbe come protagonista la banda capitanata da Lan­ciotto Ballerini, banda che faceva parte dì una grande for­mazione operante nella zona del Monte Morello. Questa formazione era rifornita dal P. d’A. ed in diretto contatto col suo comando militare, in modo particolare con Carlo Ragghianti.
clip_image002
Lanciotto Ballerini
(Medaglia d’Oro alla Memoria)
Lanciotto Ballerini era di Campi, faceva il macellaio. Aveva partecipato come sergente alla campagna etiopica e poi a quella di Grecia; dopo l’8 settembre, con alcuni giovani compagni si ritirò tra i boschi di Monte Morello, dando vita ad una formazione armata del Partito d’Azione. Quando la situazione di Monte Morello cominciò ad ag­gravarsi per i frequenti rastrellamenti, la banda si divise in due : i comunisti raggiunsero la loro formazione di Monte Giovi, mentre Lanciotto avrebbe dovuto raggiun­gere Pippo (Manrico Ducceschi), che, collegato anche lui al Partito d’Azione, comandava una formazione di parti­giani nell’alto pistoiese. Con Lanciotto erano rimasti à partigiani trai piú giovani, compresi anche due prigionieri russi evasi dal campo di concentramento.
Avevano fatto tappa a Valibona, dove si trattennero forse píú del necessario, dato che Lanciotto, avendo saputo l’arresto di due suoi fratelli, voleva tentare di liberarli, anche a costo di organizzare un assalto a « villa Triste ». Traditi da un fattore delle vicinanze, la notte del 3 gen- naio vennero assaliti da una colonna di circa 600 uomini’.
Sorpresi nel sonno, furono circondati nel cascinale e fu loro intimata la resa. 1 partigiani reagirono con pron­tezza : si chiusero in difesa, passarono al contrattacco ed infine tentarono la sortita. Guidati da Lanciotto, riusci­rono a rompere l’accerchiamento dalla parte della mon­tagna, nel settore tenuto dai carabinieri, i meno accaniti ed i meno entusiasti del combattimento. Ma Lanciotto, un ufficiale russo ed altri due partigiani rimasero sul terreno : gli altri riuscirono a mettersi in salvo.
Cosí fu descritta la fase culminante dello scontro da uno dei sopravvissuti, nel rapporto presentato al comando militare del P. d’A. :
… lo personalmente e tutti i superstiti ed i nemici stessi possono testimoniare il comportamento eroico di tutti. Ma la figura emer­gente è stato Ballerini Lanciotto che a testa alta, impavido, audace, temerario con una bomba per mano, inseguiva i nemici mettendoli in fuga e terrorizzandoli — sembrava un eroe leggendario — gri­dava: squadra A. a destra, fuori le mitragliepesanti; squadra B. a sinistra, fuori i mortai d’assalto; avanti contro questi vigliacchi, mettiamoli in fuga — e come un leone eccitato dal combattimento trascinava gli altri — terminate le bombe, imbracciato il moschetto, si gettava verso la mitraglia fascista che lo fulminava a dieci metri — mi trovavo a cinque metri da lui — sparavo con la rivol­tella. Un altro giovane di Sesto, Vandalo, scamiciato, come un garibaldino in piedi correva a destra e a sinistra dove si riunivano i fascisti, fulminandoli a moschettate. Sono stati tutti bravi e dovranno essere fieri di aver preso parte ad un combattimento cosí impari ed in condizioni d’inferiorità come armi, come numero e come posizione… 2. 1
Fu questa la prima battaglia sostenuta dai partigiani che ebbe una notevole risonanza nell’opinione pubblica. Molti furono i morti (sul campo, od in seguito alle ferite riportate) nelle file fasciste, composte da militi di Prato (fra questi si diceva allora che fosse presente e attivo anche il noto campione ciclista Fiorenzo Magni dal battaglione « Muti » e da alcuni reparti di carabinieri.
Né il rastrellamento operato di conseguenza su tutta la zona intorno a Firenze, compresa fra la Calvana e il Monte Morello, distrusse l’attività partigiana. Le forma­zioni disperse si riformarono in zone limitrofe un po’ piú arretrate — come ad esempio il Mugello — e nella primavera successiva passarono all’offensiva, rioccupando il territorio perduto. Comunque, al principio dell’inverno 1944 — nonostante i rastrellamenti ed il crescente rigore della stagione — era lecito affermare che in qualsiasi dire­zione uno si avviasse, poteva imbattersi, entro un breve raggio di territorio, nelle zone controllate dai partigiani.
Erano queste formazioni partigiane che assalivano i convogli dei tedeschi, che interrompevano con atti di sabo­taggio le comunicazioni ferroviarie e telefoniche, che deva­stavano i magazzini di viveri. La loro attività non rientra nei limiti di questo studio e meriterebbe una trattazione organica a parte.

La lotta,partigiana a Firenze

clip_image002

La lotta Partigiana a Firenze
N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.
Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.
Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.
A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.
Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.
Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì
Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.
Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.
Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.
I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.
Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.
Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.
Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :
Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.
Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.
Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…
Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili
A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.
Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:
i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .