Archivio mensile:dicembre 2017

Trilussa – La vorpe sincera

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La vorpe sincera
di Trilussa
Doppo d’avé magnato una Gallina,
la Vorpe incontrò un Gallo:
ma, invece d’agguantallo,
lo salutò con una risatina.
Co’ te je disse nun m’abbasta l’anima.
Ritorna a casa ché te fo la grazzia…
Dunque je chiese er Gallo sei magnanima?…
Sì: je rispose lei quanno so’ sazzia

Pace nel Mondo e Auguri a Tutti

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Antonio Ayroldi–Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana

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È destino dei popoli che il loro cammino
verso la libertà e la giustizia sociale sia
segnato dal sangue dei suoi martiri,
forse perché questo cammino non sia smarrito,
ma chi muore per una causa giusta, vive sempre
nel cuore di chi per questa causa si batte.”

Antonio Ayroldi

(Marzo 1944)

Alla signora Claudi – Clinica Bianca Maria – via Guido d’Arezzo 22 Roma.

Sono in via Tasso, prego interessare qualcuno che mi porti della biancheria. Perdoni tutti i disturbi e grazie. Se non dovessi più vedervi prego di dare voi a mamma le mie ultime notizie. Il mio indirizzo lo ha la madre superiora.

Auguri a lei, ai suoi figli e particolarmente alla Signorina Dina. Saluti agli amici che ricordo con affetto nostalgico. Perdoni ancora e Iddio le renda merito del bene che mi ha fatto.

Le bacio la mano devotissimo.

Antonio Ayroldi

Monin, prego pagare la clinica e far fronte ad eventuali spese. Mia madre, se non potrò più io, ti rimborserà. Grazie e auguri

Antonio

Tratto da

Lettere di condannati a morte

Della

Resistenza Italiana

Einaudi Editore 1952

Giulio Stocchi – Incendiavano tutto

Giulio Stocchi

Incendiavano tutto: case
stazzi, capanne, con animali e contadini
ancora vivi dentro

C’era tanto fumo nel cielo. Chissà perché
ho pensato alle bolle di sapone, agli aquiloni.
Era un martedì

Nel piazzale ci hanno messe su due file
e il mio vicino mi ha picchiata col calcio del fucile.
Le vecchie le hanno portate nel bosco.
La spalla mi faceva male quando siamo partite.
Abbiamo sentito tanti spari

La strada era lunga. Quando siamo entrate
un soldato mi ha toccato i capelli. C’erano tante
casse con i proiettili, una lampadina
e una branda

Dopo, mi hanno dato da mangiare.
Adesso lo facciamo ancora, mi hanno detto.
Non sentivo più niente quando sono andata alla finestra. Le
zolle fumavano, c’era una fila d’alberi lontana e una mucca bianca. Allora ho pianto

Donne nella Resistenza

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Anna Bilato Zanella, Cadoneghe, Brigata «Sabatucci»

…Giunse poi 1’8 settembre con tutte le disastrose conseguenze ed insieme alle compagne allora provvedemmo a vestire in borghese i soldati che erano stati abbandonati […] Bisognava poi risolvere il problema dei prigionieri inglesi, neo-zelandesi e russi che, scappati dai campi di concentramento italiano, cercavano rifugio nelle case di campagna […] molte brave persone ebbero il coraggio e la bontà di ospitarli ed assisterli, consapevoli di rischiare la fucilazione, com’era scritto nel bando del comando tedesco e fascista affisso sui muri […]. Il mio lavoro (di staffetta clandestina di stampa, messaggi in codice, medicinali) continuò fino al novembre del ’44

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[…] venni fermata in un recapito di Padova, ma per fortuna non portavo niente di compromettente. Dovevano però sapere molte cose sul mio conto, perché a Palazzo Giusti, dove mi condussero i fascisti, continuarono a interrogarmi (soprattutto il Corradeschi) con percosse per obbligarmi a parlare. Sono noti ormai i sistemi adoperati dai criminali della banda Carità.

Franca Decima Proto, Padova, Brigata «C. Lubian»

…le trasmissioni di radio Londra e la stampa clandestina erano le uniche fonti [di] informazione […] s’inseriva una voce che diceva; "trasmettiamo ora alcuni messaggi speciali" si trattava in apparenza di frasi senza senso il cui significato era capito solo dai partigiani: "il nido delle aquile", "la dott~ina segreta" […] Quando questo avveniva, partivo subito per avvisare Fraccalanza,che abitava in una frazione vicina, egli poi organizzava il gruppo…

Taina Baricolo Dogo, Padova, Brigata «S. Trentin»

Venne il giorno dell’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler. Al liceo l’avvenimento ci venne comunicato con poche gravi parole dal professore di storia […] quasi intuitivamente costruimmo il legame tra il contenuto delle lezioni teoriche […] e la realtà minacciosa che sentivamo incombere […] All’università la strada naturale fu quella dell’opposizione alle adunate e alle riunioni del Guf […] Dopo 1’8 settembre, quando mi venne affidata una borsa piena di manifestini da distribuire velocemente in vari edifici di Padova, fui felice di fare qualcosa anch’io… entrai a far parte della brigata Trentin… il 3 gennaio 1945 fui arrestata da «quelli della Banda Carità» e portata a Palazzo Giusti, dove ritrovai professori, compagni di scuola e, con viva sorpresa, anche personaggi inattesi che io pensavo appartenessero all’altra sponda…

Milena Fimiani Valle, Padova, Brigate «Ferretto» e «Mazzini»

…i contatti più frequenti li avevo a Venezia con un compagno che aveva un negozio di cosmetici […] In montagna, con la brigata Mazzini, la cui base era al rifugio Mariek sul monte Cesen […] nel rifugio ho conosciuto Fanny Mora e Angiolina Morona, che a volte fungevano da staffette… alla sera prima di coricarci aggiustavamo i vestiti dei partigiani, da loro ho imparato come si applicano le toppe ai pantaloni […] Verso la fine di agosto i partigiani occuparono Miane, Follina, Pedeguarda, Solighetto; dopo alcuni giorni da parte tedesca e fascista iniziò una vasta offensiva, con incendi di case e fienili. A Miane le donne riuscirono con coraggio e tempestività a domare il fuoco…

Vittoria Foco Zerbetto, Padova, Brigata «Sabatucci»

La nostra casa era punto di incontro e luogo di riunione per i compagni […] dopo il ’42 […} iniziai l’assistenza clandestina ai prigionieri di guerra slavi degenti all’ospedale di S. Antonio a Monte […] affetti per lo più da tubercolosi…

Tratto da

http://www.anpi.it/storia/196/le-donne-nella-resistenza

Chiara Ferrari – Orsù compagni di Civitavecchia

Patria Indipendente

Cantavano i partigiani

Chiara Ferrari

Breve rassegna (e breve storia) di alcune famose canzoni della Resistenza,

dei loro testi e dei luoghi dove sono nate

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Orsù compagni di Civitavecchia racconta dei comunisti di Civitavecchia che dovettero abbandonare la loro città distrutta da innumerevoli bombardamenti aerei. Parte di loro andranno a costituire la formazione partigiana che avrebbe operato sui monti della Tolfa. Altri, invece, si raduneranno nel viterbese, nella zona circostante il paese di Bieda. Il testo del canto è di autore anonimo, mentre la musica è quella della canzone anarchica Inno della rivolta. Il canto è stato raccolto a Roma dalla voce di alcuni comunisti ex-detenuti nel carcere di Civitavecchia nel 1939

Per ascoltare

La Canzone

https://youtu.be/5fHWxIVR1s8

Orsù compagni di Civitavecchia

/è giunto alfine il dì de la riscossa:

/corriamo ad innalzar la nostra vecchia

/bandiera rossa!

Della città ribelle e mai domata,

/su le rovine dei bombardamenti,

/la Guardia Rossa suona l’adunata:

/tutti presenti!

Vent’anni e più di tirannia fascista,

/di carcere, confino e di bastone,

/non hanno spento mai nel comunista

la convinzione.

La convinzione che la nuova era

/il mondo condurrà a la redenzione.

/Un motto noi rechiam su la bandiera:

“Rivoluzione!”

La dittatura del proletariato

/sarà la giusta legge universale,

/finché scomparirà l’iniquo Stato

/del capitale!

Alfonso Gíndro (Mirk) – Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana

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È destino dei popoli che il loro cammino

verso la libertà e la giustizia sociale sia

segnato dal sangue dei suoi martiri,

forse perché questo cammino non sia smarrito,

ma chi muore per una causa giusta, vive sempre

nel cuore di chi per questa causa si batte.”

Alfonso Gíndro (Mirk)

Di anni 22 – meccanico – nato a Torino il 14 giugno 1923 -. Partigiano nella formazione G.A.P. « Dante di Nanni » — Arrestato il 19 gennaio 1945, in una casa di Torino, da elementi dell’U.P.I. – Fucilato l’11 febbraio 1945 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della. G.N.R., con Giovanni Canepa, Rubens Fattorelli, Nello Meneghini e Lorenzo Viale.

Torino 11.2.1945

Mamma adorata,

sono 21 giorni che sono detenuto in carcere, finalmente si sono decisi a fare il processo. Durò otto ore. Durante l’istruttoria avevo in me una calma straordinaria, al fine di tutto venne letta la condanna, non vorrei dirtelo, ma verresti a saperlo ugualmente pel fatto che verrà pubblicato sui giornali. Mamma adorata, purtroppo la sentenza è risultata in nostro sfavore, siamo stati condannati alla fucilazione. Mamma adorata, non piangere per il mio triste destino, forse era così segnato. Sii forte, così come fui io e come lo sono tuttora e nulla varrebbe rimpiangere.

Mamma adorata sii fiera di tuo figlio che diede la vita per un giusto ideale e per una santa causa che si sta combattendo e che presto splen­derà alla luce di una grande vittoria. Non posso rimpiangere la mia esistenza così fulmineamente troncata per il volere di gente che non è sazia dei loro nefandi delitti. Penso a te mamma adorata, penso al tuo straziante dolore, ma sii forte e coraggiosa avanti a tutto.

Mamma adorata ti chiedo perdono se a volte ti ho dati dispiaceri, ma la mia giovane età non poteva ancora ragionare, cercavo in questa mia vita di fare tutto per un popolo, e infine per te stessa cosicché almeno potevi passare questi anni della tua vecchiaia in una pace serena dopo tutti i dispiaceri passati, ma vedi come è il destino

Non mi è stato possibile raggiungere ciò che desideravo.

Ti chiedo perdono se non ho ascoltato i tuoi saggi consigli, ma la mia turbinava in un vortice di idee. Mamma perdonami, forse a quest’ora potrei essere al tuo fianco a renderti meno dolorosa la vita del tuo calvario. Mai come in questo momento il mio pensiero à a te vicino. Mamma adorata queste sono le ultime mie parole, sii forte, sii forte.

Ricevi un forte abbraccio e tanti baci da chi sempre ti pensa e non cesserà di pensarti. Addio, tuo figlio

Alfonso

Mamma adorata,

come già tu sapevi che noi dobbiamo essere fucilati, purtroppo il destino è stato avverso. Mamma adorata sii forte e fatti coraggio.

Non rimpiango la mia giovane esistenza così troncata improvvisa­mente. Penso a te mamma carissima, penso al tuo strazio, come ti dico sii forte, e non piangere la mia morte, cosi come sono forte io, benché sappia quel che mi aspetta. Sii forte, ricevi l’ultimo abbraccio da tuo figlio

Alfonso

 

Tratto da

Lettere di condannati a morte

Della

Resistenza Italiana

Einaudi Editore 1952

Giulio Stocchi – Delle mani dei piccoli nomadi

Giulio Stocchi

Delle mani
dei piccoli nomadi

prenderanno le impronte

Non per discriminazione
dicono

ma per la sicurezza dei cittadini
e la loro tranquillità

Uccelli neri passano gracchiando
in volo

Il vento soffia nei cimiteri

David Maria Turoldo – E poi sulla terra intera

David Maria Turoldo

E poi sulla terra intera

E poi sulla terra intera a innalzare
monumenti «AI CADUTI»!
così felici di essere caduti!

Ma provate a fissare quei corpi squarciati,
a fissare la loro smorfia ultima
sulle facce frantumate,
e quegli occhi che vi guardano.

Provate a udire nella notte
l’infinito e silenzioso urlo degli ossari:

— «Uccideteci ancora e sia finita»!

La lotta Partigiana a Firenze

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La lotta Partigiana a Firenze

N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.

Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.

Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.

A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.

Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.

Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì

Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.

Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.

Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.

I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.

Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.

Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.

Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :

Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.

Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.

Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…

Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili

A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.

Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:

i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .