Hubert Howard – Entrata a Firenze

 Entrata a Firenze

 Gli eserciti alleati entrarono nella parte sud di Firenze la mat­tina del 4 agosto 1944. La prima linea di combattimento si era spo­stata avanti lentamente negli ultimi tempi incontrando gli ostacoli e la resistenza consueti, ma quel giorno l’opposizione del nemico im­provvisamente sembrò paralizzarsi e i nostri eserciti balzarono in avan­ti così rapidamente che la loro avanzata somigliava piuttosto a una corsa.

Quella mattina di buon’ora mi ero trattenuto con alcuni ufficiali miei colleghi su una collina fra la Val di Pesa e la Val d’Arno, stu­diando carte e ricevendo rapporti. Alcuni combattimenti avevano luo­go sotto di noi, ma intorno a noi l’aria era assolutamente tranquilla, con quella fresca nebbiosa quiete di un’alba estiva. Dietro a noi c’era una chiesina con colonne e un porticato in cui dei portatori stavano parlando i feriti e anche i morti coperti con coperte da campo. Allora, un po’ come le notizie di estrema importanza si diffondono con una certa nervosa vibrazione entro un’ impaziente alveare di api, così, mi parve, non meno per telepatia che per ordini diretti, sentimmo che era giunto il momento del nostro improvviso balzo in avanti, proprio alle calcagna del nemico in ritirata.

 Sulla strada di Firenze

Le rumorose colonne armate sollevavano grandi nuvole di pol­vere via via che passavano dinanzi all’austera Certosa, quieta e si­lenziosa sul suo colle, e accelerando il passo per la strada in discesa verso Poggio Imperiale raggiungemmo l’antica porta fortificata che si apre nelle mura a sud di Firenze: Porta Romana. La nostra avanzata per questa via divenne una processione trionfale. Grida di benvenuto, saluti e applausi accompagnavano il nostro passaggio attraverso le strette strade. Fiori e rami festosi venivano gettati lungo il percorso delle mostruose e rumorose macchine da guerra. Non passò molto che graziose ragazze ridenti erano sedute accanto ai soldati polverosi e incoronati di fiori sui nostri tanks, i nostri affusti di cannone e le nostre carrette.

Scendendo da Porta Romana mi vennero incontro i rappresentanti del Comitato Fiorentino di Liberazione. Questo Comitato era stato costruito al principio della guerra per collegare e organizzare la diffusa opposizione esistente contro il fascismo. Era composto di uomini pieni di patriottismo che rappresentavano tutte le gamme di opinioni dai comunisti ai liberali. Questi uomini avevano previsto le disa­trose, della politica fascista in Italia. Con grave rischio personale e sotto la minaccia di severe rappresaglie, erano riusciti a organizzare, con l’aiuto di forze partigiane, un’efficace opposizione alle forze armate fasciste e tedesche.

La maggior parte dei membri del Comitato erano ancora nascosti a nord dell’Arno nel territorio nemico, ma avevano inviato alcuni dei membri più giovani oltre la linea del fuoco per darci preziose infor­mazioni e consigliarci in questioni civili e militari. D’allora in poi ri­manemmo in strettissimo collegamento con il Comitato di Liberazione, che era organizzatissimo e in grado di fornirci nel minimo tempo poss ibile tutte le informazioni su Firenze e il territorio circostante.

Il nostro primo incontro con il Comitato fu breve: uno scambio di saluti con la promessa di un colloquio più tardi. Desideravamo an­dare avanti e vedere se le forze tedesche e fasciste tenevano vera­mente ancora la linea dell’Arno. Perciò in una jeep protetta da una coppia di tanks avanzammo cautamente lungo le antiche mura della città per il Viale Petrarca fino a San Frediano e poi nel Lungarno So­deríni. Qui, come ci aspettavamo, i tanks cominciarono a incrociare il fuoco con il nemico al di là del fiume. Tuttavia rimanemmo tutti sorpresi per un’improvvisa aggiunta di spari che caddero su di noi dall’alto di Bellosguardo. Fu immediatamente evidente che per orga­nizzare la nostra sicurezza e la nostra posizione sulla riva meridionale dovevamo prima ripulire le zone intorno e dietro a noi dagli avampo­sti nemici e dai nidi di mitragliatrici.

Quasi immediatamente giunse l’ordine dal Quartier Generale di ritirare le, truppe regolari. Quest’ordine sollevò costernazione e delusione fra i nostri amici e tutta la popolazione in festa. Non potevano credere che li abbandonassimo così presto. Dopo avere spinto i tedeschi dinanzi a noi, stavamo ora per permettere loro di ritornare?
‘Con suppliche quasi disperate eravamo invitati non a ritirarci, ma a continuare la nostra avanzata e a liberare madri e padri, fratelli e sorelle amici che costituivano la grande massa della popolazione sulla riva nord dell’Arno tutta quella gente stava aspettando la liberazione. Ci veniva detto che era impossibile piantarli in asso.
Naturalmente era era noto a tutti noi che Firenze al di là dell’Arno era in condizioni pietose. La popolazione era stata sottoposta da un certo tempo ai rigori di un severo coprifuoco; non aveva acqua, perché, gli acquedotti erano stati fatti saltare dai tedeschi; non poteva ricevere viveri perchè il coprifuoco aveva paralizzato tutti i trasporti e i movimenti in città.

I malati e i feriti negli ospedali erano privi della necessaria assistenza medica e talvolta diveniva perfino impossibile seppellire i morti.

 Funerali a Firenze

Così,a tutta la gente del luogo parevava che noi stessimo per ritirarci ed esitare al momento della vittoria e, così facendo riducessimo

Firenze ad uno spaventoso campo di battaglia sottoponendo la sua popolazione ed i suoi incomparabili tesori a tutti gli orrori della distruzione.

Questi furono i lamenti e le accuse che dovettero affrontare coloro che fra noi restarono indietro, e che riflettevano l’improvvisa disperazione di migliaia di persone intorno a noi.

Tuttavia alla luce della storia l’ordine di ritirata può essere considerato uno degli atti più umani e previdenti che siano mai stati compiuti da un comandante. Fu evidente fin da principio che le forze tedesche e fasciste intendevano tenere la linea dell’Arno per un certo tempo se fosse stato necessario combattere con le retroguardie nella stessa città. Questo era già accaduto a Pisa, portando alla rovina della città. L’intenzione del generale Alexander era di risparmiare Firenze, se poteva, e con questo fine decise di respingere il nemico dai due, lati della città lasciando che il centro divenisse una specie di terra di nessuno. Intendeva di occuparlo soltanto quando le forze avanzanti su due lati si fossero incontrate sul di dietro della città. Tuttavia queste questioni militari non potevano essere spiegate o discusse, da coloro di noi che ne erano allora al corrente. Sulla riva sud venne la­sciato soltanto un avamposto per rimanere in contatto con il Comitato di Liberazione e con i notevoli gruppi di partigiani che operavano sulle due rive del fiume.

La prima azione che dovemmo fare con l’aiuto delle formazioni partigiane fu un rastrellamento per rendere sicura la nostra posizione. Questa azione fu necessaria perché, oltre a nidi di mitragliatrici sulle alture di Bellosguardo e nei giardini di Boboli, franchi tiratori conti­nuavano a sparare nelle, strade dalle finestre più alte e dai tetti. Deci­demmo di ridurre al silenzio questa sporadica opposizione con un’unica operazione ampia ed efficace.

 A caccia di “Cecchini”

Collaborò con noi una formazione partigiana entusiasta e bene organizzata, guidata da un giovane di notevoli qualità il cui nome di guerra era « Potente ». Potente era rapido nelle sue decisioni e nei suoi propositi, molto rispettato dai suoi e molto abile nell’adattare se stesso e i suoi uomini alle esigenze sempre nuove della guerra partigiana.

Tuttavia i tedeschi dovevano avere saputo tutto sui nostri piani e sulle nostre intenzioni perché la sera in cui ebbe luogo il rastrellamentoi mortai su Piazza Santo Spirito, dove aveva sede il Quartier Generale dell’operazione e dove i vari comandi partigiani stavano riunendo e ponendo in moto i loro gruppi. La piazza era perciò tutta un brusio di folla in piena attività. Potente e alcuni dei suoi partigiani insieme ad un membro delle nostre truppe di collegamento furono uccisi e molta gente ferita. Nonostante questa tragedia il rastrellamento continuò con pari energia e fu portato a termine.

Aligi Barducci “Potente”

Molti prigionieri e molti sospetti vennero portati nei chiostri della Chiesaesa e tenuti là sotto vigilanza finchè non furono consegnati alle forze di polizia da allora in poi potemmo circolare nella parte, meridionale della città provando un senso di libertà e di sicurezza.

Giunse il giorno di passare l’Arno. Una mattina presto, quando l’aria, era ancora fresca e il mondo sembrava addormentato e in pace, i partigiani entrarono segretamente in movimento. Sapevano che un altro gruppo di partigiani, che si riteneva di circa duemila, era accerchiato a Monte Morello a nord di Firenze e stava per tentare di spezzare l’accerchiamento del nemico e congiungersi con loro nei dintorni della città. I tedeschi avevano a quest’epoca ritirato la maggior parte dei loto uomini sulla linea del Mugnone un fiumiciattolo che circonda la parie settentrionale di Firenze, dividendo all’ingrosso la città vecchia dai suoi sobborghi settentrionali. Senza attendere ordini i partigiani decisero, di avanzare immediatamente e di impegnare il nemico per impedire alle truppe di paracadutisti tedeschi che costituivano la re­troguardia dell’esercito tedesco di concentrare tutta la loro azione sui loro compagni circondati. 1 nostri ordini erano che i partigiani non entrassero a Firenze per altri due giorni. Eppure non ci si op­pose a quello che fu un popolare e quasi spontaneo attacco contro il nemico. Così io passai il fiume con loro.

Fra il ponte alla Carraia e il suo vicino, il ponte della Vittoria, .ponti che erano stati fatti saltare cona gli altri ponti di Firenze dai te­deschi in ritirata, c’è una diga diagonale, detta la pescaia di Santa Rosa, che trattiene le acque dell’Arno. Quelle acque erano basse in agosto e passavano sulla diga a quell’epoca con una profondità di circa un piede o un piede e mezzo. In lunga fila indiana, molto esposti al fuoco nemico se ve ne fosse stato, passammo per questa via di fort­una sollevando alte le gambe per sottrarle alla pressione, della corrente e passando con la massima cautela al di là di due grandi mine inesploseche erano ancorate li

 A guado sull’Arno

Non vi era anima viva nelle piazze e nelle strade per salutarci sul’altra riva. Un silenzio minaccioso, si stendeva sulla città e, via via che si riunivano nei loro gruppi, i partigiani avanzavano con il cauto passo ovattato di bestie della giungla, per prendere i loro posti lungo la frontiera del Mugnone. Per parte mia. con uno o due altri, volsi a est e mi diressi verso la grande piazza del municipio, del Palazzo della Signoria, che mi era stato detto esser divenuto la sede fortificata. del Comitato di Liberazione e di un’ altro piccolo gruppo di partigiani. Qui allora avvenne il mio secondo ingresso ufficiale a Firenze. Come diverso dal primo! Camminavamo piano e con intima preoccupazione per le deserte, strette, ombrose vie della città medioevale, per Via del Parione il fino a piazza Santa Trinita e di lì per via delle Terme a Por Santa Maria

I palazzi e le vecchie case avevano ripreso la loro triste prerogrativa di costituire altrettante fortezze private e parevano grandi dietro le loro massicce facciate di pietra, le loro grandi porte sbarrate e le loro finestre dallepersiane oscura Tuttavia, via via che avanzávamo), mi accorsi che la parte inferiore di queste persiane veniva sollevata• di qualche centimetro e sentivo centinaia di occhi fis­sati su di me con sguardi penetranti. Che impressione avrebbe fatto questo primo esiguo gruppo di inglesi che entravano a Firenze senza compagnia e virtualmente senza armi? Quindi colpì i nostri orecchi uno strano e mirabile suono che probabilmente non udremo mai più.

Dietro alle persiane avvertimmo gentili attutiti applausi di centinaia di mani nascoste e anche voci di benvenuto bisbigliate appena da centinaia di gole invisibili, che ci seguirono per le vie deserte e ci dimo­strarono l’approvazione dei nostri invisibili testimoni.

Piazza della Signoria

Fu con sollievo che giungemmo alla fine nella luminosa magnificenza di Piazza Signoria uscendo dalla paurosa e densa ombra delle vie buie, vidi ad un tratto una delle più belle creazioni dell’arte umana. Dinanzi a me l’alta, slanciata e merlata, torre, del palazzo del municipio si er­geva nel cielo sereno con intatta maestà. Ecco la grande aperta piazza adorna della sua loggia, delle sue statue, della sua fontana,

Piazza della Signoria “Il Biancone”

il tutto dominato dalla grandezza di un unico edificio. Ecco anche il David di Michelangelo trionfante su Golia.

 Piazza della Signoria “Il David”

Quella piazza famosa aveva visto alcuni fra i più drammatici e terribili episodi della sua storia, ma quella mattina era piena di un senso di spazio, di libertà e di luce.

Hubert Howard

 Ufficiale di Collegamento delle Forze Armate Inglesi

al tempo della Liberazione di Firenze

 

Informazioni su toscano

Io Nato Io fui nel secolo passato, circa ventinovemilacinquecentosettantacinque giorni o giù di li Città tu se’ la Venere Firenze Patria dell’Allighier, salve, e mia Patria Allor che a salutar venni col pianto La valle de lo giglio, ed alla vita De ‘l sole i raggi ailluminar lo mondo

Pubblicato il 22 luglio 2011, in La lotta partigiana a Firenze con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

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