Archivio mensile:febbraio 2014
Anonimo – Fuoco e mitragliatrici
Anonimo
Fuoco e mitragliatrici
contro la guerra
Non ne parliamo di questa guerra
che sarà lunga un’eternità;
conquistare un palmo di terra
fratelli son morti di già!
Fuoco e mitragliatrici,
sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia! – si va.
Trincea di raggi, maledizioni,
quanti fratelli son morti lassù!
Finirà dunque ‘sta flagellazione?
di questa guerra non se ne parli più.
O monte San Michele,
bagnato di sangue italiano!
Tentato più volte, ma invano
Gorizia pigliar.
Da monte Nero a monte Cappuccio
fino all’altura di Doberdò,
un reggimento più volte distrutto:
alfine indietro nessuno tornò.
Fuoco e mitragliatrici,
si sente il cannone che spara;
per conquistar la trincea:
Savoia! – si va.
I campi di concentramento Italiani
I campi di concentramento italiani 1940-1943
Al momento dell’entrata in guerra anche l’Italia ricorse definitivamente a misure di internamento, istituendo campi di concentramento, seppure con definizioni di mascheramento, destinati a “ebrei stranieri” ed a altri stranieri, a vario titolo reclusi. Il 4 settembre del 1940 Mussolini firmò un decreto con cui vennero istituiti i primi 43 campi di internamento per cittadini di paesi nemici. In realtà in questi campi furono concentrate varie categorie di persone.
Gli ebrei italiani colpiti dal provvedimento non furono internati in quanto ebrei (anche se i provvedimenti d’internamento sottolineano sempre l’appartenenza alla "razza ebraica" della persona in questione), ma in quanto antifascisti militanti o soggetti ritenuti "pericolosi nelle contingenze belliche". Un’altra categoria è formata da stranieri sudditi di "paesi nemici", ebrei e non, che si trovavano in Italia allo scoppio della guerra, (inglesi, francesi, ma anche cinesi, spagnoli e altri) nonché da quegli ebrei stranieri che erano fuggiti dalle persecuzioni in atto nei loro paesi, residenti in Italia o di passaggio. Per ebrei stranieri si intendono anche cittadini italiani ebrei, non nati in Italia. Numerosi fra gli internati furono anche gli zingari. Infine, c’erano gli antifascisti schedati (condannati dal Tribunale speciale, ex confinati, ex ammoniti, ecc.), antifascisti arbitrariamente trattenuti a fine pena e altri arrestati per manifestazioni sporadiche di antifascismo.
Gestiti dal Ministero degli interni, dovevano, come in precedenza i luoghi di confino, essere situati in edifici abbandonati o non utilizzati, lontani da zone militari e dai porti, dalle strade importanti e dalle linee ferroviarie, dagli aeroporti e dalle fabbriche di armamenti.
I campi di concentramento erano quindi situati in luoghi isolati e poco salubri, spesso in montagna dove l’inverno era rigido. Gli edifici adibiti a ospitare gli internati erano monasteri, ville requisite, fattorie, fabbriche dimesse, scuole, baracche, in un caso addirittura un cinema (Isernia) e un ex mattatoio (Manfredonia). In generale le condizioni di vita erano primitive e umilianti. Molti edifici presentavano una serie di problemi: freddo e umidità, mura pericolanti, pochissima luce, fornelli difettosi, finestre, pareti e tetti non isolati a sufficienza; a tutto ciò si aggiungeva il sovraffollamento, il vitto insufficiente e la presenza di cimici, pidocchi, ratti e scorpioni. Il riscaldamento spesso inesistente, scarsa o mancante l’acqua potabile, debole l’illuminazione e l’erogazione di energia elettrica. Ad ogni internato, in situazioni di perdurante affollamento, veniva dato in dotazione: una branda, un sottile materasso, un cuscino con federa, due lenzuoli e un massimo di due coperte. Una sedia o uno sgabello, una gruccia per gli abiti, due asciugamani, una bacinella, una bottiglia ed un bicchiere. L’assistenza sanitaria agli internati era prevista ma poteva essere concessa o rifiutata arbitrariamente, come avvenne nel caso di un’antifascista romana internata a Mercogliano (Avellino), malata di cuore, la cui domanda di sottoporsi a una radiografia toracica venne respinta dal Ministero dell’Interno.
I campi fascisti non erano dei lager ma unicamente dei campi di concentramento. Le condizioni di vita, già difficili e deprimenti per tutti, peggiorarono tuttavia ulteriormente con l’arrivo, nell’aprile del 1941, degli sloveni e croati rastrellati in seguito all’occupazione italiana della Jugoslavia.
Secondo gli studi più recenti, nel giugno 1940, al momento dell’entrata in guerra, in Italia erano presenti poco meno di 4.000 ebrei ed apolidi passibili del provvedimento di internamento. Si trattava di tedeschi, austriaci, polacchi, cecoslovacchi ed apolidi (divenuti tali in seguito alla revoca della cittadinanza italiana) che, nell’estate del ’40, costituirono nella quasi totalità il primo grosso contingente di internati ebraici nei campi di concentramento fascisti. Tra il 1941 ed il ’42, sarebbe giunto il secondo contingente dalle zone ex-jugoslave appartenenti allo stato croato o annesse all’Italia, composto da circa 2.000 ebrei, prevalentemente slavi, e nel quale vanno inclusi anche i 500 naufraghi del "Pentcho", battello fluviale partito da Bratislava nel maggio 1940 coll’improbabile proposito di raggiungere la Palestina ed incagliatosi, dopo sei mesi, nei pressi di Rodi.
Ma quanti furono i campi di concentramento in Italia? Renzo De Felice nel suo libro “Storia degli ebrei sotto il fascismo”, parla di circa 400 tra luoghi di confino e campi di internamento. Fabio Galluccio, nel suo saggio del 2002 "I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti" (NonLuoghi Editore), i lager in cui erano rinchiusi ebrei, dissidenti politici, stranieri, zingari e omosessuali, erano probabilmente quasi duecento, senza contare i luoghi di "semplice" confino. Non è stato ancora fatto un censimento attendibile. In ogni regione italiana vi era almeno un campo.
Alcuni campi erano esclusivamente femminili: Pollenza, Treia, Petriolo (Macerata); Casacalenda, Vinchiaturo (Campobasso); Lanciano (Chieti); Solofra (Avellino). Verso la fine del 1940 risultavano recluse circa 260 donne, tra le quali 62 ebree straniere.
Furono campi di concentramento maschili: Fabriano, Sassoferrato (Ancona); Ariano Irpino, Monteforte Irpino, Campagna (Salerno); Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran Sasso, Notaresco, Tortoreto, Tossicia, Neretto, Tollo (Teramo); Agnone, Bioano, Isernia (Campobasso); Casoli, Lama dei Peligni, Istonio (Chieti); Alberobello, Gioia del Colle (Bari); Manfredonia, Tremiti (Foggia); Urbisaglia (Macerata); Civitella della Chiana (Arezzo); Bagno a Ripoli, Montalbano (Firenze); Farfa Sabina (Rieti); Scipione di Salsomaggiore, Montechiarugolo (Parma); Lanciano (Chieti) dal febbraio 1942, Colfiorito di Foligno (Perugia), Castel di Guido (Roma), Fraschette di Alatri (Frosinone), Città Sant’Angelo (Pescara), Pisticci (Matera), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Lipari (Messina), Ustica (Palermo), Fertilia (Sassari).
Alcuni di questi campi – situati nel Centro-Nord – vennero riaperti nell’ottobre 1943 ed utilizzati, con altri, come “campi di raccolta provinciali per gli ebrei italiani” fino al gennaio 1944. Oltre a quelli sopra citati: Aosta, Calvari di Chiavari, Ferrara, Forlì, Roccatederighi (Grosseto), Vo’ Vecchio (Padova), Sondrio, Verona, Piani di Tonezza (Vicenza), Ponticelli Terme (Parma), Servigliano (Ascoli Piceno), Bagni di Lucca (Lucca), Sforzacosta.
Vi erano anche luoghi deputati al cosiddetto “internamento libero”, ovvero al soggiorno obbligato con una notevole limitazione della libertà personale, che prevedeva la proibizione di ogni contatto con gli abitanti del luogo di internamento e l’obbligo di presentarsi giornalmente alla stazione di polizia o dei carabinieri. Pochi sono i dati disponibili, tuttavia si è a conoscenza che da questa forma di internamento furono interessati i comuni e le province di: Vicenza, Bergamo; Belluno; Lucca, L’Aquila, Grosseto, Viterbo, Treviso, Asti, Aosta, Parma, Modena, Chieti, Novara, Pavia, Potenza, Sondrio.Nel marzo 1941 risultavano in internamento, in quanto “stranieri nemici”: 414 inglesi, 316 francesi, 136 greci. Altri stranieri erano stati avviati nei campi di concentramento. Nel maggio 1943 risultavano ristrette in internamento libero circa 1.800 persone: donne, bambini, uomini.
Altri campi vennero ubicati in Italia, ovvero quelli per gli “ex jugoslavi”, i civili abitanti nei territori occupati militarmente dall’Esercito italiano e annessi all’Italia.
Questi campi vennero aperti soprattutto nella Venezia Giulia (Cighino, Gonars, Visco), nel Veneto (Monigo di Treviso, Chiesanuova, in provincia di Padova), in Toscana ( Renicci di Anghiari), in Umbria (Colfiorito). Tutti alle dipendenze del Ministero dell’interno. Campi di lavoro furono organizzati a Fossalon (Venezia Giulia), Pietrafitta e Ruscio (Umbria), Fertilia (Sassari).
Furono attivati anche appositi campi per gli “allogeni”, ovvero per gli appartenenti a minoranze etniche o/e linguistiche presenti sul territorio italiano dopo le annessioni successive alla Prima guerra mondiale, quasi totalmente presenti nella Venezia Giulia e nel Sud Tirolo. Si trattava di minoranze – complessivamente circa il 2% della popolazione italiana – composte da: albanesi, francesi, sloveni, tedeschi, croati, catalani, ladini. Per loro i campi furono istituiti a Cairo Montenotte (Savona), Fossalon (Gorizia), Poggio Terzarmata (Gorizia).
Il campo di Cairo Montenotte fu utilizzato, dopo essere stato svuotato dai prigionieri di guerra nel febbraio 1943, per internarvi sloveni e croati di cittadinanza italiana. Dall’Istria e dalle province di Udine, Gorizia, Trieste, Fiume e Pola arrivarono, in breve tempo, circa 1.400 deportati e fino al settembre 1943 furono 20 i trasporti che raggiunsero Cairo Montenotte. Il primo partì da Trieste il 28 febbraio 1943, con 150 uomini e 44 donne. Queste ultime furono successivamente inviate al campo delle Fraschette di Alatri. Alcuni prigionieri vennero impiegati nella realizzazione dei canali di scolo della fabbrica della Montecatini, situata nelle vicinanze del campo. Altri lavorarono come operai nella fabbrica stessa. Al momento dell’armistizio, l’8 settembre 1943, il comandante del campo non liberò subito i 1.260 prigionieri e ciò permise ai nazisti di impadronirsene. L’8 ottobre organizzarono un trasporto di 30 carri bestiame e deportarono quasi tutti i prigionieri, che arrivarono al KL Mauthausen il 12 ottobre, per essere poi, il giorno successivo, inviati nell’AussenKommando di Gusen. Dove 990 furono immatricolati, tutti come italiani. Invece, dopo l’8 settembre, molti dei prigionieri del campo di Fossalon entrarono nelle file partigiane.
Giulio Stocchi – In tempo di guerra
Giulio Stocchi
In tempo di guerra
massacratori di bambini
sciacalli delle macerie
tigri per sventrare le donne
tristi macellai
per rompere
squartare
saccheggiare
bruciare
sgozzare
Incendiavano tutto: case
stazzi, capanne, con animali e contadini
ancora vivi dentro
C’era tanto fumo nel cielo. Chissà perchè
ho pensato alle bolle di sapone, agli aquiloni.
Era un martedì
Nel piazzale ci hanno messe su due file
e il mio vicino mi ha picchiata col calcio del fucile.
Le vecchie le hanno portate nel bosco.
La spalla mi faceva male quando siamo partite.
Abbiamo sentito tanti spari
La strada era lunga. Quando siamo entrate
un soldato mi ha toccato i capelli.
C’erano tante casse con i proiettili, una lampadina
e una branda
Dopo, mi hanno dato da mangiare.
Adesso lo facciamo ancora, mi hanno detto.
Non sentivo più niente
quando sono andata alla finestra.
Le zolle fumavano, c’era una
fila d’alberi lontana e una mucca bianca.
Allora ho pianto
Giulio Stocchi – La cantata rossa di Tall el Zaatar
Cose proibite
Terra, suolo, tesoro…La mia storia a saccheggio.
Saccheggio d’ossa di padri,
avi proibiti, come perdonare?
Verdi villaggi, ruderi sgraziati,
mattoni accesi nel sangue,
una forca non li vale.
Qualcuno resta, nel collo
le loro zanne conficcate,
ci restano le unghiate.
Non raccontare… non mi raccontare!
sono stati dispersi i cimiteri,
a saccheggio la morte.
Tawfiq Zayyad
La Cantata Rossa di Tall el Zaatar
Giulio Stocchi
Ma che nessuno
nessuno dico
che nessuno pianga!
Non una lacrima
dalle terre segrete
del nostro dolore
non una lacrima!
Perchè in piedi
in piedi sono morti
Che nessuno pianga!
In piedi
accanto al pozzo
e alle radici del pane
Che nessuno pianga!
In piedi
fra le stagioni testarde
del loro lavoro
Che nessuno pianga!
In piedi
con le scarpe indosso
e con fucili
Che nessuno pianga!
In piedi
da barricate
parlando alle stelle
Che nessuno pianga!
In piedi
con gli occhi fissi
ai fiumi di Palestina
Che nessuno pianga!
In piedi
tracciando strade immense
verso il ritorno
Che nessuno pianga!
In piedi
con doni di speranza
ai bimbi del futuro
Che nessuno pianga!
In piedi
Ahmed
Fathma
Ibrahim
in piedi
Mervath
Abeth
Leila
in piedi
Youssef il nonno
e il piccolo Fadh
che aveva tre anni
in piedi
ognuno dei trentamila
di Tall el Zaatar
e che nessuno
nessuno dico
che nessuno pianga!
Non una lacrima!
Perchè vedete?
Li hanno scacciati
dalla loro terra
e dal loro sogno
li hanno dispersi
li hanno rinchiusi
nei campi
gli hanno messo un numero
chiamandoli profughi
li hanno venduti
su tutti i mercati
e quando hanno preso il fucile
“Banditi!” hanno gridato
e li hanno uccisi
torturati
massacrati
divisi
e gli hanno detto
“Tu non avrai patria!”
ed essi in piedi
con la loro statura
abitano il mondo
abitano il mondo
abitano il mondo!
Note*
Tall el Zaatar, la Collina del Timo, era un campo palestinese situato nella zona est di Beirut, nel quartiere di Ashrafieh, controllata dalle milizie della destra libanese e dalle forze delle bande cosiddette cristiane. Allo scoppio, il 10 aprile 1974, della guerra civile frala coalizione di palestinesi e musulmani progressisti libanesi da una parte e fascisti e destre cristiane dall’altra, il campo fu ripetutamente bombardato, riuscendo però a resistere per più di due anni. La sua sorte fu segnata dal tradimento del presidente siriano Hafez el Assad il quale, con il pretesto di difendere i palestinesi, schierò i suoi carri armati attorno al campo, appoggiando di fatto le destre libanesi nel timore che una possibile vittoria della coalizione progressista libano-palestinese alterasse gli equilibri della regione. Messo a ferro e fuoco per 53 giorni, Tall el Zaatar cadde il 12 agosto 1976 quando i falangisti, che il giorno prima avevano firmato un trattato di tregua, garantito dai siriani, entrarono nel campo col pretesto di evacuare donne e bambini e compirono una strage in cui morirono migliaia di persone.
Le giovani del campo, scampate al massacro, vennero condotte alle caserme di Asharafieh come premio per l’eroismo dei soldati.
Anonimo – La Partigiana
Anonimo
La Partigiana
La vien giù dalla montagna,
è vestita da partigiana,
ha di fiamma la sottana
ed ha al collo il tricolor.
Non è nata cittadina
e nemmeno paesana:
essa è nata partigiana
e sui monti ha il casolar…
La montagna fu sua madre
ed il bosco fu suo padre,
sue sorelle son le stelle
che scintillano nel ciel.
Se la guarda un giovanotto
e l’invita a far l’amore,
lei gli mostra il tricolore
è la fiamma del suo cuor.
Contro i vili e i traditori
essa ha dato la sua vita
e con gioia infinita
essa vuol la libertà.
Tullia De Mayo – Staffetta Partigiana
Tullia De Mayo
Staffetta Partigiana
Lidia non pianse
oppose il suo silenzio
come sfida all’oltraggio,
mentre corpo e mente
erano tutto un grido
e il cuore invocava
con ansia la morte.
Giovanni Serbandini “Bini” Come la Resistenza hai resistito
Giovanni Serbandini “Bini”
Come la Resistenza hai resistito
Come la Resistenza hai resistito
Vecchia Quercia
Che i tuoi sette rami
Gagliardi d’avvenire
Opponesti alla nera tempesta
Tutti e sette insieme
In un’alba solo stroncati
Come la Resistenza hai resistito
Perché oggi i ragazzi italiani
Sopra il tuo tronco nodoso
In uno squarcio libero di cielo
Vedano
Sette stelle d’argento.
Giovanni Serbandini "Bini"
Motivazione dettata dal poeta partigiano Giovanni Serbandini "Bini"