Archivio mensile:agosto 2017

Roberto Roversi … poi è arrivato aprile

Roberto Roversi
… poi è arrivato aprile

Uno prendeva il fucile
saliva sulla montagna
e la montagna era lì che aspettava
un altro prendeva il fucile
andava per la pianura
anche la pianura aspettava
e non aveva pietà
nella città era fuoco
terribile rosso il tramonto
il fuoco bruciava le case
e non aveva pietà
giovani cadevano morti
fra l’erba senza colore
pendevano morti dai rami
spezzati come poveri cani
i mesi gli anni passavano
i giorni non davano tregua
un mitra stretto nel pugno
pianura montagna città
poi è arrivato un aprile
sangue di sole e di rose
come un vulcano che esplode
ha gridato libertà

Francesco Lasorsa – Il campo dei triangoli colorati

Francesco Lasorsa
Il campo dei triangoli colorati
Una gialla stella di David

Per classificare coloro che sembravano
Di malaria ammalati
Il rosso a tutti quelli
brutti o belli
Che il nazismo non poteva sopportare
Gli avversari politici, insomma gente da sterminare
Il verde ai criminali
Che venivano puniti eccessivamente per i loro passati mali
Il viola per i testimoni
di Geova e di
Charles Russell i sostenitori
Trucidati come gli altri per i loro diversi valori
Il blu del mare
Per tutti coloro che per poter lavorare
Nella sua grandezza devono viaggiare
Il marrone per coloro
Che di questa stella hanno il colore
Della propria carnagione
Vivono sparsi nelle città e
Per questo Hitler dal mondo voleva eliminarne l’entità
Il nero del loro cuore
Agli anti-sociali che alla società disturbano l’odore
Il rosa della pelle
Per tutti i maschi
Che potevano anche essere chiamati “quelle”
In questi campi dai triangoli colorati
Gente senza colpa con le armi peggiori sono stati torturati
Bruciati e ammazzati
Non sempre tutto ciò che è reale è lecito
Difatti credo che il Nazismo con la terra abbia un grosso debito…

Anonimo – Pancio

Anonimo
Pancio

Berretto alla spagnola, riccioli fuggenti
Un viso un poco altero, occhi sempre ardenti
Noi ti ricordiamo sempre più:
Pancio, dove sei tu?
*
Piangemmo un dì l’amara tua sorte
Quel tenebroso dì della tua morte
Fu un terribil destino e nulla più
Pancio, cosa fai tu?
*
Sarà per sempre a noi il tuo bel volto
E non lo vedemmo più nemmen da morto
Or non ti avremo più quassù
Pancio, perchè non torni più?
*
La giovinezza tua che il sol cercava
Che libertà e vita un dì sognava
Tace muta ora quaggiù
Pancio, perché non senti più?
*
All’ombra di un cipresso ti nascondi
E al richiamo nostro più non rispondi
E una voce che t’invoca di lassù
Pancio, perché non rispondi più?
*
Ma libertà e vita presto avremo
Perché il nemico nostro fugheremo
A guidarci sarai proprio tu
O nostro amato Pancio di lassù.

Uno che gli fu amico

Margherita Simioni – E’ impossibile dire

E’ impossibile dire di Margherita Simioni

Alle due di notte del 13 gennaio 1945 alcuni militi della banda Carità suonarono alla mia abitazione di Riviera Tito Livio 19, mi arrestarono e mi condussero a Palazzo Giusti in via S. Francesco, dove fui detenuta fino al 2 febbraio. Fui subito messa a confronto con don Apolloni, che non riconobbi, perché era diventato improvvisamente bianco di capelli a seguito della tortura con la corrente elettrica. Vidi poi in vestaglia il professor Meneghetti. Le grida di dolore dei torturati erano coperte da una potente radio che trasmetteva a pieno volume. Il loro aspetto, quando uscivano dalla camera di tortura, mi sconvolgeva. Ricordo tra essi Ida D’Este e la sua amica Elvia Levi, Giorgio Zancan con gli occhi violacei per i pugni ricevuti e con le costole rotte. Udii dai torturati cose che non mi sento di descrivere; dire tutto quello che ho visto in quel luogo mi è impossibile. Uscii da quel famigerato palazzo il giorno 2 febbraio, dopo aver firmato una carta nella quale dichiaravo con giuramento che non avrei riferito nulla di quanto avevo visto. Nei giorni successivi, le persone che mi incontrarono non mi riconoscevano, perché ero quasi distrutta.

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Gaetano Esposito (Pasqualotto) – La sedia elettrica (Mamma sfortunata)

Gaetano Esposito (Pasqualotto)
La sedia elettrica (Mamma sfortunata)

Quando lessi il nome sul giornali
urlai forte davanti a tutti
No, non è vero. Mio figlio è innocente…
Chi lo ha accusato commette un’infamia!
I cuori di tutte le mamme non sentono ragione:
Nessuno può dire alle mamme che i loro figli non sono bravi ragazzi
ma quella mamma si accorse subito
che suo figlio andava a morire sulla sedia elettrica
*
Tutti i gioielli e tutte le cose care,
questo l’ha venduto, quell’altro lo ha impegnato,
sperando che la parola dell’avvocato
rendesse possibile il ritorno a casa del figlio.
Io solo a lui tengo, diceva a tutta la gente,
voglio vivere da pezzente ma voglio che mio figlio esca!
Io che sono madre, posso dire chi è mio figlio:
No! non deve morire sulla sedia elettrica
*
Questa mamma moribonda nel suo letto
mentre il figlio è sul banco degli imputati.
A uno a uno i giurati ritornano:
"omicidio di primo grado, deve morire"
Non lo dite a mia madre che non tornerò a casa,
ditele: "un giorno lo vedrai ritornare"
La madre malata prega e aspetta la grazia…
Ma suo figlio sta morendo sulla sedia elettrica!

Note
La canzone, scritta nel 1924, non è mai stata inserita in nessun fascicolo di Piedigrotta (in questa data), poiché la polizia americana perseguita chiunque spendesse una parola a favore di Sacco e Vanzetti.

Tratto da
Canzoni contro la guerra

25 Aprile 1945 – Canto dei Massacrati

25 Aprile 1945

Canto dei Massacrati

È l’inno dei partigiani che combattevano sulle montagne tra le province di Alessandria e di Genova, nell’area di Capanne di Marcarolo. Nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1944 nazisti e fascisti iniziarono un imponente rastrellamento contro le bande partigiane il cui comando era insediato presso l’antico monastero della Benedicta. Centocinquanta partigiani caddero in combattimento o furono giustiziati, altri 400 avviati verso i lager, soprattutto Mauthausen. Il loro inno è tra i più belli dell’intero canzoniere della Resistenza.

Dalle belle città

Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l’arida montagna
Cercando libertà tra rupe e rupe
Contro la schiavitù del suol tradito
Lasciammo case, scuole ed officine
Mutammo in caserme le vecchie cascine
Armammo le mani di bombe e mitraglia

Temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia
Siamo i ribelli della montagna
Viviam di stenti e di patimenti
Ma quella fede che ci accompagna
Sarà la legge dell’avvenir

Di giustizia è la nostra disciplina
Libertà è l’idea che c’avvicina
Rosso sangue è il color della bandiera
Partigiana è la forte e ardente schiera
Per le strade dal nemico assediate
Lasciammo talvolta le carni straziate
Sentimmo l’odor della grande riscossa

Bertold Brecht – Chi sta in alto dice: pace e guerra

Bertold Brecht

Chi sta in alto dice: pace e guerra
sono di essenza diversa.
La loro pace e la loro guerra
son come vento e tempesta.

La guerra cresce dalla loro pace come
il figlio dalla madre.
Ha in faccia
i suoi lineamenti orridi.

La loro guerra uccide
quel che alla loro pace
è sopravvissuto.

Luigi Vanzan – Il perdono

Il perdono di Luigi Vanzan
Fuggito da Roma nel settembre del ’43, raggiunsi il mio paese, Galzignano, dove trovai conforto e pace. Ma la mia vita fu interrotta un brutto mattino quando le SS tedesche occuparono la disabitata Villa Barbariga. Mi rifugiai a Padova, pensando che una città fosse phi sicura. Illuso! Padova mi fu fatale e venni arrestato e portato a Palazzo Giusti. Qui per diverse notti dovetti subire duri interrogatori. Durante i primi fui forte e riuscii a rispondere a tono dichiarandomi sempre innocente. Poi i pugni, le bastonate alla testa, le scosse elettriche mi ridussero all’impotenza. Una notte fui ricondotto nella mia cella fuori conoscenza. Non so quanto tempo rimasi in queste condizioni. Mi svegliai sentendomi toccare, aprii gli occhi e vidi uno sconosciuto che mi osservava. lo non potevo parlare, capii solo che era un medico. Dopo qualche ora fui portato in un’altra stanza dove trovai il professar Giovanni Apolloni, il professar Giovanni Ponti, il professor Adolfo Zamboni, il professor Francesco De Vivo e altri ancora che mi rincuorarono. Pili di tutto mi sollevò il trovare il mio anziano professore don Apolloni. Il 25 aprile uscimmo da quella triste dimora tutti assieme, liberi. Seppur fisicamente menomato per il trattamento subito, sono felice di poter ora testimoniare, scegliendo il perdono per tutti anziché la vendetta.

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Ricordando Camillo De Piaz il coraggioso frate combattente

Ricordando Camillo De Piaz il coraggioso frate combattente
Camillo De Piaz, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, braccio destro di padre David Maria Turoldo, partigiani durante la guerra, coraggiosi punti di riferimento per l’opposizione cattolica al nazifascismo, è morto nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Sondrio, dove era stato ricoverato d’urgenza per un improvviso malore. Avrebbe compiuto 92 anni il 24 febbraio. I funerali si sono svolti il 2 febbraio, nella basilica della Beata Vergine di Tirano (Sondrio), dove padre Camillo viveva dal 1957, quando, su pressione del Sant’Uffizio, fu costretto a ritirarsi perché considerato “scomodo” a causa delle sue simpatie marxiste e il suo dialogo con i comunisti. Nell’immediato dopoguerra, con un gruppo di amici intellettuali, padre Camillo e padre David Maria fondarono presso il convento di San Carlo a Milano la “Corsia dei Servi” della quale animarono per anni l’attività culturale (conferenze, editoria, cineforum, mostre) attorno alla omonima libreria che divenne un punto di riferimento del mondo culturale cattolico e non, soprattutto durante il Concilio Ecumenico Vaticano II. Per anni padre Camillo seguì le attività della “Corsia dei Servi” dividendosi fra Madonna di Tirano e Milano. In ambito editoriale collaborò come consulente con le case editrici Mondadori, Vallecchi, Il Saggiatore e Bompiani ed è stato autore di numerose traduzioni dal francese fra cui Agonia della Chiesa?, lettera pastorale del 1947 dell’arcivescovo di Parigi cardinale Emanuele Suhard (1948), Il Cristo dilacerato di Jean Guitton (1964) e – a richiesta di Paolo VI, quando ormai i sospetti su di lui erano caduti – l’enciclica Popolorum Progressio (1967). Padre Camillo è stato membro della giuria del Premio “Gallarate”, del Premio di poesia “Clemente Rebora” e, fino alla morte, del Concorso Letterario Renzo Sertoli Salis. Nato a Madonna di Tirano nel 1918, Camillo De Piaz divenne frate dei Servi di Maria nel 1934 e fu ordinato sacerdote nel 1941.Durante gli studi ginnasiali incontrò David Maria Turoldo, frate dei Servi di Maria come lui, a cui lo legò una straordinaria fraternità di esperienze e di ideali per tutta la vita. Nella condizione di frati e di studenti dell’Università Cattolica di Milano, entrambi parteciparono attivamente alla Resistenza, esperienza che segnò profondamente la loro vita e motivò il loro costante impegno democratico. Insieme si dedicarono all’assistenza ai perseguitati e alle loro famiglie ,parteciparono ai gruppi animatori del giornale clandestino L’Uomo e del Fronte della gioventù, movimento unitario antifascista in cui confluirono giovani cattolici e comunisti e di altre formazioni politiche. Nel 1957 a causa dei suoi contatti con il Fronte della gioventù e con i Comunisti Cattolici viene allontanato da Milano per disposizione del Sant’Uffizio e assegnato al convento di Madonna di Tirano. Contro di lui anche l’accusa di aver accettato l’incarico di consigliere della Casa della Cultura di Milano diretta dalla comunista Rossana Rossanda.
Cambiati i tempi nella Chiesa, e vista ormai l’attività di padre De Piaz non più come sospetta, ma fortemente anticipatrice dello spirito conciliare, padre Camillo visse una nuova stagione di impegno dopo il 1968. Ma nuovi motivi di contrasto con la gerarchia cattolica si registrarono anche negli anni successivi. Nel 1973 padre Camillo ricevette dalle mani del segretario del Pci Enrico Berlinguer al Palalido di Milano il «Premio Eugenio Curiel» che gli viene assegnato con la seguente motivazione: «Sacerdote, militante antifascista, compagno di lotta di Curiel, ha saputo unire nel fuoco della Resistenza e nell’impegno civile dalla Liberazione ad oggi le aspirazioni convergenti di libertà e di progresso del popolo italiano espresse da componenti ideali diverse». Nel 1975 la «Corsia dei Servi» venne allontanata dalla chiesa di San Carlo di Milano, continuando come istituzione privata e nel 1977 i Servi di Maria,e in particolare padre De Piaz, vennero allontanati dal Santuario di Tirano: solo nel 1988 il frate fu reintegrato in tutte le sue funzioni sacerdotali. Nel 1995 gran parte dei suoi scritti d’occasione venne raccolta nel volume «Il crocevia,la memoria». Autore di vari libri a commento della Bibbia e dei Vangeli. Nel 2006 è uscita la sua biografia a cura dello storico Giuseppe Gozzini dal titolo Sulla frontiera. Camillo de Piaz, Resistenza , il Concilio e oltre

Tratto da
Patria Indipendente

Salvatore Quasimodo – Epigrafe per i Partigiani di Valenza

Salvatore Quasimodo

Epigrafe per i Partigiani di Valenza

Questa pietra
ricorda i Partigiani di Valenza
e quelli che lottarono nella sua terra,
caduti in combattimento, fucilati, assassinati
da tedeschi e gregari di provvisorie milizie italiane.
Il loro numero e grande.
Qui li contiamo uno per uno teneramente
chiamandoli con nomi giovani
per ogni tempo.
Non maledire, eterno straniero nella tua patria,
e tu saluta, amico della libertà.
Il loro sangue è ancora fresco, silenzioso
il suo frutto.
Gli eroi sono diventati uomini: fortuna
per la civiltà. Di questi uomini
non resti mai povera l’Italia.
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