Dina Ermini

image

I Compagni di Firenze
Memorie della Resistenza 1943 / 1944
Istituto Gramsci Toscano
1984
bandierarossa

DINA ERMINI
Nata a S. Giovanni Valdarno il 4 aprile 1908, di famiglia operaia e antifascista iniziò a lavorare ad 11 anni in una fabbrica tessile. Nel 1929 si trasferì ad Empoli e in questa città prese i contatti con il Partito Comunista lavorando per la diffusione della stampa illegale. Nel 1931, espatriata clandestinamente, fu utilizzata dal Partito come corriere e lavorando per il Soccorso Rosso. Dal 1935 al 1938 risiedette in URSS, dove lavorò e studiò alla scuola leninista. Richiamata in Francia lavorò nella segreteria illegale del Partito con incarichi politici e organizzativi e viaggi clandestini in Italia. Nel marzo del 1944, rientrata in Italia, si occupò del lavoro politico e militare in varie parti d’Italia. Fu segretaria del Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Ai primi di giugno del 1944, per decisione del Partito assieme al compagno Roasio fu inviata a Firenze. Qui restò fino al marzo del 1945 quando fu chiamata a Roma a dirigere la Commissione Femminile Nazionale del Partito; lavorò poi all’UDI nazionale. Dal 1947 al 1956 fu responsabile femminile presso il Comitato Regionale dell’Emilia Romagna. Dal 1956 fu segretaria del l’UDI a Torino. È riconosciuta partigiana in Francia e in Italia con il grado di capitano, è invalida di guerra e attualmente vive con il marito a Roma.

 

 

Io sono arrivata a Firenze con Roasio perché lavoravo con lui prima in Emilia e poi dopo al comando generale delle brigate Garibaldi a Milano. Io provenivo da Parigi e sono arrivata i primi di marzo del ’44 a Milano. Lì ho preso contatto con il centro del partito con Longo e con Secchia, ho lavorato qualche giorno a Milano e poi mi hanno detto tu vai a Bologna e ti metti a disposizione di Roasio e quindi ho lavorato con lui in Emilia sempre al lavoro militare anche se davo delle indicazioni per il lavoro femminile ai vari dirigenti. È qui che ho incontrato Giuseppe Rossi.
Poi siamo partiti per Firenze. È stato un viaggio molto difficile perché il camioncino non andava. Erano i primi di giugno. I primi contatti a Firenze sono stati con Rossi. I primi dieci giorni ho fatto sempre il lavoro militare; ero in contatto con Roasio e tenevo il collegamento. Non ero solo staffetta perché prendevo anche delle iniziative politiche. lo ero in contatto con Roasio, con Gaiani, con Rossi, con Fabiani. Un giorno, verso il 18 o 19, Rossi mi dice: « guarda, Miranda », che era il mio vecchio nome di battaglia, « tu devi prendere il lavoro femminile perché è diretto da un compagno ma questo compagno non ce la fa ». A me vennero quasi le lacrime agli occhi. « Ma ora io sono già dentro il lavoro militare » gli dico, ma lui ri sponde: « tu lo sai bene che non c’è differenza tra lavoro femminile e lavoro militare; ora sono legati l’uno all’altro. Soltanto al lavoro femminile bisogna dargli più consistenza anche in vista di questo sciopero politico insurrezionale ». Quindi, non lo nascondo, un po’ a malincuore presi la di rezione del lavoro femminile e allora presi contatti con questo compagno Sandro, che mi presentò le tre compagne che lui dirigeva e attraverso queste tre compagne io creai una commissione femminile di sette compagne: erano rappresentanti della Superpila della Manetti e Roberts, della Galileo, della Fiat, della Rangoni e una della Skoda.
Creai questa commissione femminile e si fece un giornalino ‘noi donne’ prima ciclostilato, poi stampato. Oltre il giornalino il lavoro più che altro era militare, volto ad organizzare i gruppi di difesa della donna, composti da tre o quattro compagne al massimo, in modo particolare nelle fabbriche. Avevamo tanti e tanti gruppi di difesa delle donne in tutte le fabbriche e specialmente nelle fabbriche che lavoravano per i Tedeschi come la manifattura Tabacchi, la Rangoni, anche la Superpila. Con i gruppi abbiamo iniziato un lavoro di sabotaggio della produzione che andava ai Tedeschi, e qui si è fatto un gran lavoro di sabotaggio.
Poi il lavoro consisteva nel diffondere i manifestini e mi dispiace che di questi manifestini oggi non ho copia perché sono stati tutti diffusi; poi la lotta nei mercati contro il carovita, per la difesa dei razziati, per organizzare movimenti, proteste, per chiedere la distribuzione dei prodotti.
E quindi da un lato sabotaggio nelle fabbriche, dall’altro lavoro nelle strade in difesa dei cittadini, abbiamo fatto degli assalti anche dove c’erano dei razziati, li abbiamo liberati anche nelle strade. Le donne si agganciavano ai camion dei Tedeschi e liberavano gli uomini e poi li facevano andare sui tetti. Poi abbiamo creato le squadre, squadre d’assalto, che erano dirette da Anna Nuti, un’operaia della Galileo di Rifredi. Le squadre d’assalto erano piccoline, staccate, perché erano molto pericolose una specie di GAP femminili con un’altra mansione.
Cambiavano i cartelli indicatori per le strade, contavano i camion dei tedeschi che andavano verso Bologna, seminavano per la strada i chiodi a tre punte, assalivano i magazzini. Negli ultimi giorni abbiamo organizzato l’assistenza ai duecento e più partigiani nascosti a Firenze; poi io sono rimasta tagliata fuori di qua dell’Arno e la direzione di questo gruppo che portava da mangiare ai partigiani, fu data a Iva Rossi, la moglie di Rossi. Per riuscire a lavorare anche con il coprifuoco prendemmo i lenzuoli di casa, ci facemmo delle vestaglie e ci mettemmo dietro una grande croce rossa e anche un fazzoletto in testa con la croce rossa. Susanna Agnelli nel suo libro ‘Vestivamo alla marinara’ dice che incontrava per Firenze delle strane crocerossine: queste strane crocerossine erano delle nostre partigiane con queste vestaglie fatte male, mentre le crocerossine italiane erano vestite tutte di seta e i tedeschi non sparavano. Andavamo con dei carrettini, con ruote grosse, ci mettevamo sopra da mangiare e una damigiana, perché non c’era acqua e bisognava andare a prenderla con la damigiana, e poi le facevamo scivolare sotto le macerie dove stavano i partigiani. E così abbiamo potuto portare da mangiare e anche da bere a questi partigiani per una decina di giorni.
Poi un altro particolare, un particolare di colore: quando sono arrivati i partigiani dopo che Roasio aveva finito di parlare a Porta Romana, Potente mi ha regalato una rivoltella a nome della divisione Arno e mi ha detto: « Franca te la regaliamo a nome della nostra divisione, tu sai che siamo dei soldati senza uniformi ma che abbiamo combattuto, abbiamo fatto la guerra e continueremo a fare la guerra; ma abbiamo fatto la guerra perché volevamo la pace. Facciamo tutti insieme in modo che queste armi non abbiano più a sparare »; queste furono le parole di Potente e mi regalò a nome della Divisione la rivoltella e io l’ho ancora nascosta; è un pacco rilegato in un fazzoletto di punizione.
Il giorno dopo la liberazione dell’Oltrarno gli alleati arrestarono la sorella di Fanciullacci, che era una mia staffetta e un’altra compagna anche quella una mia staffetta, perché avevano rapato una fascista. Vennero arrestate e portate al comando, alla villa dell’ex podestà di Firenze, da quelli della Militar Police. Sono venuti a chiamarmi al comando dicendomi: guarda Franca, hanno arrestato le due staffette. Io insieme a sei o sette di queste nostre compagne siamo andate al comando, ma il comandante che dirigeva la parte già liberata non c’era e ho parlato con un maggiore e con un capitano, reazionari al massimo, e mi dissero: « Che cosa vi credete di essere, che cosa credete di fare? Noi siamo venuti qui mica per fare la lotta a Mussolini e al fascismo, siamo venuti qui per fare la guerra, questa ve la vedete voi ». Io gli ho spiegato che una di queste staffette era la sorella dell’eroe Fanciullacci, che il fratello era stato arrestato proprio per una spiata, il meno che potevano fare era stato quello, perché poi io gli ho detto che avevano anche la possibilità di farla fuori perché era una spia.
E poi gli dico: « Se entro le otto stasera non mi libererete queste due partigiane io vi dò l’assalto al comando. Vi porto seimila donne. È con grande dolore che vi dico queste cose, perché noi non vogliamo combattere contro di voi ma vogliamo combattere contro i tedeschi, ma voi mi ci portate a questo, non possiamo noi ammettere che voi ci arrestiate due partigiane ». Lui disse: « Noi riferiremo al comandante ».
Mentre io esco dalla villa dopo aver discusso per più di un’ora, mentre mi aprono il cancello della villa dell’ex podestà di Firenze, vedo una macchina e da questa macchina scende Potente e mi saluta e dice: « Franca, che cosa fai qua? » Io gli racconto il fatto e lui mi dice « brava » e mi stringe di nuovo la mano, « ora io ho l’appuntamento con il generale e parlerò di questa cosa, hai fatto molto bene anche a minacciarlo ».
Dopo neanche un’ora Potente andava lì per discutere per riprendere le armi, per andare a combattere, perché non ci permettevano ancora di combattere. Verso le una e un quarto arriva con una faccia sorridente al nostro comando che era vicino lì, a Porta Romana, e mi dice: « Franca, vittoria. Ho ottenuto, che stasera alle otto le due partigiane vengano rilasciate e abbiamo ottenuto anche di riprendere le armi ».
La sera alle otto non ne ho portate seimila, ma alcune centinaia e le ho fatte sfilare lungo i muri, perché ci sparavano dalle finestre e abbiamo aspettato. Non era finito il rintocco delle otto la sera che le partigiane uscivano.
Quando sono arrivati i partigiani sono riuscita a mobilitare il convento di Porta Romana: trentadue monache. Fu la compagna Gina Censimenti a dirmi del convento e allora io parlai con la Superiora e loro si sono messe tutte a nostra disposizione. In un primo tempo mandavano le più brutte e le più vecchie al comando per cucire le mutande, poi le due monache che venivano a portare e a riprendere la roba durante il giorno, che facevano la staffetta, sono rimaste talmente entusiaste dal modo in cui sono state trattate dai nostri partigiani (perché per arrivare su al mio ufficio dovevano attraversare tutto un salone pieno di bombe di mitragliatrici e armi, di mitra e di partigiani, tanti partigiani) che lo hanno raccontato e dopo questo fatto venivano delle monache più giovani, più belle e anche la superiora è venuta e ci hanno aiutato in un modo fantastico, perché c’erano da fare molte, ma molte migliaia di queste mutande e camicie.
Ma vorrei tornare un momento indietro. Una ventina di giorni prima della liberazione, alla metà di luglio, abbiamo dato veramente tutte le nostre forze per organizzare lo sciopero insurrezionale e nelle fabbriche abbiamo lavorato fondamentalmente in direzione dell’insurrezione armata, cioè orientando i gruppi di difesa della donna a partecipare attivamente allo sciopero generale, a fare chiudere le fabbriche e infatti dieci giorni prima era tutto fermo. La parola d’ordine era « sciopero politico insurrezionale ». E qui bisogna dire che abbiamo avuto un grande entusiasmo; i gruppi di difesa della donna si sono creati a centinaia e a centinaia, alla Manetti e Roberts, alla Manifattura Tabacchi, alla Rangoni. Alla preparazione dello sciopero politico insurrezionale le donne hanno dato un grande contributo. Poi abbiamo fatto l’azione per liberare le donne di Santa Verdiana: diciassette partigiane anche straniere, anche inglesi. Poi tenevamo collegamenti con i partigiani, mandavamo delle staffette con delle lettere in tutte le brigate. Il lavoro era articolato nei vari settori: rivendicativo, militare e insurrezionale, queste erano le tre linee. Queste squadre, che noi prima chiamavamo squadre, e poi, quando dal centro ci hanno mandato una lettera dicendo che alle squadre era bene dargli un nome, furono chiamate « Edra Francesca » che era un’eroina di diciannove anni, trucidata Bologna.
Il giorno della liberazione incontrai un gruppo di giovani della Azione Cattolica, che mi dissero: « cosa dobbiamo fare? Non ci sono carri funebri, non ci sono lettighe per portare i feriti ». E io ho detto: « Andate in Boboli, tagliate degli alberelli e con delle lenzuola fate delle barelle ». E così hanno portato morti e feriti nella chiesa di Santo Spirito e quella chiesa fu trasformata in ospedale e in obitorio. Bisogna dire che il parroco e il sagrestano hanno fatto un grande lavoro per aiutarci, si sono trasformati in medico, in infermiere, aiutati dalle nostre donne.

Lascia un commento