Archivio mensile:novembre 2018

Sergio Piombelli (Fiore)

È destino dei popoli che il loro cammino
verso la libertà e la giustizia sociale sia
segnato dal sangue dei suoi martiri,
forse perché questo cammino non sia smarrito,
ma chi muore per una causa giusta, vive sempre
nel cuore di chi per questa causa si batte.”

Sergio Piombelli (Fiore)
Di anni 18 – studente – nato a Genova Rivarolo (Genova) il 5 aprile 1926 -.Indivi- duato per la sua attività nelle formazioni cittadine di Genova, nel giugno ’44 raggiunge la Divisione « Cichero », distaccamento « Forca », per poi passare alla costituita Brigata « Berto » – partecipa a numerose azioni e colpi di mano -. Catturato l’ii febbraio r945 a Lorsica (Genova), nel corso di un rastrellamento condotto da reparti della Divisione « Monterosa » – tradotto nelle carceri dì Chiavati -. Processato il io marzo 1945, a Chiavavi, dal ‘tribunale Militare Speciale della « Monterosa » -. Fucilato il 2 marzo 1945 in località Parafa (Calvari, Genova), con Dino Berisso, Dino Beretta, Domenico Cardillo, Paolo Motta, Romeo Nessano, Quinto Persico, Rinaldo Simonetta, Carlo Smide e Cesare Talassano.

Cara mamma e papà,
muoio per voler bene all’Italia, perdonatemi per il male che vi ho Matto e beneditemi come io benedico voi.
Tanti baci ad Evelina, Marisa, mamma, papà, nonni, nonne, zii e cugini.
Vostro per sempre
Sergio

Tratto da
Lettere di condannati a morte
Della
Resistenza Italiana

Einaudi Editore 1952

Renato Bindi

È destino dei popoli che il loro cammino
verso la libertà e la giustizia sociale sia
segnato dal sangue dei suoi martiri,
forse perché questo cammino non sia smarrito,
ma chi muore per una causa giusta, vive sempre
nel cuore di chi per questa causa si batte.”

Renato Bindi
Di anni 19 – contadino – nato ad Asciano (Siena) il 12 agosto 1924 — Bersagliere del 5° Reggimento, il 10 gennaio 1944 abbandona il reparto – si unisce ad un distaccamento della Divisione d’assalto Garibaldi « Spartaco Lavagnini » operante nella zona di Siena ~. Catturato all’alba dell’11 marzo 1944 nel corso di un rastrellamento condotto in Comune di Monticiano da militi della G.N.R. di Siena – (dei compagni catturati con lui Giovanni Bovini e Robert Handen vengono fucilati sul posto, Lilioso Antonucci, Aliz­zardo Avi, Alvaro Avi, Cesare Barri, Solimano Boschi, Armando Fabbri, Ezio Filippini, Faustino Masi e Azeglio Pieri vengono fucilati il giorno stesso al Cimitero di Scalvaia) – tradotto con altri tre compagni a Monticiano, poi nella Casermetta di Siena -. Processato il 13 marzo 1944 dal Tribunale Militare Straordinario di Siena, nella Caserma di Santa Chiara -. Fucilato con Tommaso Masi nella Caserma Lamarmora di Siena alle ore 18 del 13 marzo 1944•
13marzo 1944
Cari genitori e tutti i familiari,
il giorno 11 marzo mi prese la milizia che mi ha portato a Siena. Cara mamma gli uomini mi condannano a morte e ho fatto la confes­sione e la Santa Comunione perdono a tutti e bacioni a tutti Voi e pregherò sempre Voi. Desidero che stiate contenti e pensatemi sempre felice che muoio contento senza peccato.
Un giorno ci rivedremo in paradiso. Sono stato assistito dal mio Cappellano. Vi domando la Santa benedizione e Vi bacio con tutto il cuore mamma e babbo e famiglia e tutti i parenti e il Priore.
Il vostro figlio
Renato

Tratto da
Lettere di condannati a morte
Della
Resistenza Italiana

Einaudi Editore 1952

Paolo Braccini

È destino dei popoli che il loro cammino
verso la libertà e la giustizia sociale sia
segnato dal sangue dei suoi martiri,
forse perché questo cammino non sia smarrito,
ma chi muore per una causa giusta, vive sempre
nel cuore di chi per questa causa si batte.”

Paolo Braccini (Verdi)
Di anni 36 – docente universitario – nato a Canepina (Víterbo) il 16 maggio 1907 — Incaricato della cattedra di zootecnia generale e speciale all’università di Torino, specializzato nelle ricerche sulla fecondazione artificiale degli animali presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte e della Liguria – nel 1931 allontanato dal corso allievi ufficiali per professione di idee antifasciste – all’indomani dell’8 settembre 1943 abbandona ogni attività privata ed entra nel movimento clandestino di Torino – è designato a far parte del I° Comitato Militare Regionale Piemontese quale rappresentante dei Partito d’Azione – pur essendo braccato dalla polizia fascista, per quattro mesi dirige l’organizzazione delle formazioni GL -. Arrestato il 31 marzo 1944 da elementi della Federazione dei Fasci Repubblicani di Torino, mentre partecipa ad una riunione del CMRP nella sacrestia di San Giovanni in Torino -. Processato nei giorni 2-3 aprile 1944, insieme ai membri del CMRP, dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato -. Fucilato il 5 aprile 1944 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della GNR, Con Franco Balbís ed altri sei membri del CMRP. – Medaglia d’Oro al Valor Militare.

3 aprile 1944
Gianna, figlia mia adorata,
è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te.
Sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno.
Non piangere mai per la mia mancanza, come non ho mai pianto io: il tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarderà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà sempre tutto l’infinito bene che ti vuole ora e che ti ha sempre voluto fin da quando ti sentì vivere nelle viscere di tua Madre. So di non morire, anche perché la tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo: quel tuo Babbo al quale vuoi tanto bene, quel tuo Babbo che vuoi tutto tuo, solo per te e del quale sei tanto gelosa.
Riversa su tua Madre tutto il bene che vuoi a lui: ella ti vorrà anche tutto il mio bene, ti curerà anche per me, ti coprirà dei miei baci e delle mie tenerezze. Sapessi quante cose vorrei dirti ma mentre scrivo il mio pensiero corre, galoppa nel tempo futuro che per te sarà, deve essere felice. Ma non importa che io ti dica tutto ora, te lo dirò sempre, di volta in volta, colla bocca di tua Madre nel cui cuore entrerà la mia anima intera, quando lascerà il mio cuore.
Tua Madre resti sempre per te al di sopra di tutto.
Vai sempre a fronte alta per la morte di tuo Padre.

Tratto da
Lettere di condannati a morte
Della
Resistenza Italiana

Einaudi Editore 1952

Walt Whitman O Capitano! mio Capitano!

Walt Whitman

O Capitano! mio Capitano!

O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l’ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,

Gli occhi seguono la solida chiglia, l’audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O Capitano! mio Capitano! alzati e ascolta le campane; alzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua Capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
É un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto, freddato.

Ma non risponde il mio Capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato

Walt Whitman – Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo

Walt Whitman

Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo

Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo,

mai che l’uno lasci l’altro,

sempre su e giù lungo le strade, compiendo escursioni a Nord e a Sud,

godiamo della nostra forza, gomiti in fuori, pugni serrati,

armati e senza paura, mangiamo, beviamo, dormiamo, amiamo,

non riconoscendo altra legge all’infuori di noi,

marinai, soldati, ladri, pronti alle minacce,

impauriamo avari, servi e preti, respirando aria,

bevendo acqua, danzando sui prati o sulle spiagge,

depredando città, disprezzando ogni agio, ci beffiamo delle leggi,

cacciando ogni debolezza, compiendo le nostre scorrerie.

Giuseppe Giusti LA GUIGLIOTTINA A VAPORE

Giuseppe Giusti

LA GUIGLIOTTINA A VAPORE
Hanno fatto nella China
una macchina a vapore
per mandar la guigliottina:
questa macchina in tre ore
fa la testa a centomila
messi in fila.

L’istrumento ha fatto chiasso,
e quei preti han presagito
che il paese passo passo
sarà presto incivilito:
rimarrà come un babbeo
l’Europeo.

L’Imperante è un uomo onesto,
un po’ duro, un po’ tirato,
un po’ ciuco, ma del resto
ama i sudditi e lo Stato,
e protegge i bell’ingegni
de’ suoi regni.

V’era un popolo ribelle
che pagava a malincuore
i catasti e le gabelle:
il benigno imperatore
ha provato in quel paese
quest’arnese.

La virtù dell’istrumento
ha fruttato una pensione
a quel boia di talento
col brevetto d’invenzione,
e l’ha fatto mandarino
di Pekino.

Grida un frate: Oh bella cosa!
gli va dato anche il battesimo.
Ah perché (dice al Canosa
un Tiberio in diciottesimo)
questo genio non m’è nato
nel Ducato!

Pietro Gori – Sante Caserio

Pietro Gori

Sante Caserio

Lavoratori a voi diretto è il canto
di questa mia canzon che sa di pianto
e che ricorda un baldo giovin forte
che per amor di voi sfidò la morte.
A te Caserio ardea nella pupilla
delle vendette umane la scintilla
ed alla plebe che lavora e geme
donasti ogni tuo affetto ogni tua speme.

Eri nello splendore della vita
e non vedesti che lotta infinita
la notte dei dolori e della fame
che incombe sull’immenso uman carname.

E ti levasti in atto di dolore
d’ignoti strazi altier vendicatore
e ti avventasti tu sì buono e mite
a scuoter l’alme schiave ed avvilite.

Tremarono i potenti all’atto fiero
e nuove insidie tesero al pensiero
ma il popolo a cui l’anima donasti
non ti comprese, eppur tu non piegasti.

E i tuoi vent’anni una feral mattina
gettasti al vento dalla ghigliottina
e al mondo vil la tua grand’alma pia
alto gridando: Viva l’anarchia!

Ma il dì s’appressa o bel ghigliottinato
che il tuo nome verrà purificato
quando sacre saran le vite umane
e diritto d’ognun la scienza e il pane.

Dormi, Caserio, entro la fredda terra
donde ruggire udrai la final guerra
la gran battaglia contro gli oppressori
la pugna tra sfruttati e sfruttatori.

Voi che la vita e l’avvenir fatale
offriste su l’altar dell’ideale
o falangi di morti sul lavoro
vittime de l’altrui ozio e dell’oro,

Martiri ignoti o schiera benedetta
già spunta il giorno della gran vendetta
della giustizia già si leva il sole
il popolo tiranni più non vuole.

Giuseppe Giusti LA TERRA DE MORTI

Giuseppe Giusti

LA TERRA DEl MORTI

A G.C.

A noi, larve d’Italia,

mummie dalla matrice,

è becchino la balia,

anzi la levatrice;

con noi sciupa il priore

l’acqua battesimale,

e quando si rimuore

ci ruba il funerale.

Eccoci qui confitti

coll’effigie d’Adamo;

si par di carne, e siamo

costole e stinchi ritti.

O anime ingannate,

che ci fate quassù?

Rassegnatevi, andate

nel numero dei più.

Ah d’una gente morta

non si giova la storia!

Di libertà, di gloria,

scheletri, che v’importa?

A che serve un’esequie

di ghirlande o di torsi?

Brontoliamoci un requie

senza tanti discorsi.

Ecco, su tutti i punti

della tomba funesta

vagar di testa in testa

ai miseri defunti

il pensiero abbrunato

d’un panno mortuario.

L’artistico, il togato,

il regno letterario

è tutto una morìa.

Niccolini è spedito,

Manzoni è seppellito

co’ morti in libreria.

E tu giunto a compieta,

Lorenzo, come mai

infondi nella creta

la vita che non hai?

Cos’era Romagnosi?

Un’ombra che pensava,

e i vivi sgomentava

dagli eterni riposi.

Per morto era una cima,

ma per vivo era corto;

difatto, dopo morto

è più vivo di prima.

Dei morti nuovi e vecchi

l’eredità giacenti

arricchiron parecchi

in terra di viventi;

campando in buona fede

sull’asse ereditario,

lo scrupoloso erede

ci fa l’anniversario.

Con che forza si campa

in quelle parti là!

La gran vitalità

si vede dalla stampa.

Scrivi, scrivi e riscrivi,

que’ Geni moriranno

dodici volte l’anno,

e son lì sempre vivi.

O voi, genti piovute

di là dai vivi, dite,

con che faccia venite

tra i morti per salute?

Sentite, o prima o poi

quest’aria vi fa male,

quest’aria anco per voi

è un’aria sepolcrale.

O frati soprastanti,

o birri inquisitori,

posate di censori

le forbici ignoranti.

Proprio de’ morti, o ciuchi,

è il ben dell’intelletto:

perché volerci eunuchi

anco nel cataletto?

Perché ci stanno addosso

selve di baionette

e s’ungono a quest’osso

le nordiche basette?

Come! guardate i morti

con tanta gelosia?

Studiate anatomia,

che il diavolo vi porti.

Ma il libro di natura

ha l’entrata e l’uscita;

tocca a loro la vita

e a noi la sepoltura.

E poi, se lo domandi,

assai siamo campati:

Gino, eravamo grandi,

e là non eran nati.

O mura cittadine,

sepolcri maestosi,

fin le vostre ruine

sono un’apoteosi.

Cancella anco la fossa,

o barbaro inquïeto,

ché temerarie l’ossa

scuotono il sepolcreto.

Veglia sul monumento,

perpetuo lume, il sole,

e fa da torcia a vento:

le rose, le vïole,

i pampani, gli olivi,

son simboli di pianto:

oh che bel camposanto

da fare invidia ai vivi!

Cadaveri, alle corte,

lasciamoli cantare,

e vediam questa morte

dov’anderà a cascare.

Tra i salmi dell’Uffizio

c’è anco il Dies irae:

o che non ha a venire

il giorno del Giudizio?

Giuseppe Giusti LA GUIGLIOTTINA A VAPORE

Giuseppe Giusti

LA GUIGLIOTTINA A VAPORE

Hanno fatto nella China

una macchina a vapore

per mandar la guigliottina:

questa macchina in tre ore

fa la testa a centomila

messi in fila.

L’istrumento ha fatto chiasso,

e quei preti han presagito

che il paese passo passo

sarà presto incivilito:

rimarrà come un babbeo

l’Europeo.

L’Imperante è un uomo onesto,

un po’ duro, un po’ tirato,

un po’ ciuco, ma del resto

ama i sudditi e lo Stato,

e protegge i bell’ingegni

de’ suoi regni.

V’era un popolo ribelle

che pagava a malincuore

i catasti e le gabelle:

il benigno imperatore

ha provato in quel paese

quest’arnese.

La virtù dell’istrumento

ha fruttato una pensione

a quel boia di talento

col brevetto d’invenzione,

e l’ha fatto mandarino

di Pekino.

Grida un frate: Oh bella cosa!

gli va dato anche il battesimo.

Ah perché (dice al Canosa

un Tiberio in diciottesimo)

questo genio non m’è nato

nel Ducato!

Pietro Gori -Inno della canaglia

Pietro Gori

Inno della canaglia

O fratelli di miseria,
o compagni di lavoro
che ai vigliacchi eroi de l’oro
deste il braccio ed il vigor;
o sorelle di fatica,
o compagne di catene
nate ai triboli, a le pene,
e cresciute nel dolor.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Noi la terra fecondiamo
noi versiam sudore e pianto
per ornar di un ricco ammanto
questa infame civiltà.
Le miniere e le officine,
le risaie, il campo, il mare,
ci hanno visto faticare
per l’altrui felicità.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
I padroni ci han rubato
sul salario e su la vita,
ogni gioia ci han rapita,
ogni speme ed ogni ardor.
Le sorelle ci han sedotte
o per fame hanno comprate,
poi nel trivio abbandonate
senza pane e senza onor.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
I signori ci han promesso
eque leggi e mite affetto
ed i preti ci hanno detto
che ci attende un gaudio in ciel.
E frattanto questa terra
di noi poveri è l’inferno,
sol pei ricchi è il gaudio eterno,
de la vita e de l’avel.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Se noi scienza e pan chiedemmo
ci buttaron su la faccia
un insulto e una minaccia
nel negarci scienza e pan.
Se ribelli al duro giogo
obliammo le preghiere,
ci hanno schiuso le galere
e ribelli fummo invan.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Se scendemmo per le vie,
i fratelli a guerra armata
dei fratelli ammutinati
venner le ire ad affrontar.
Mentre i ricchi dai palagi
che per loro abbiam costrutto
senza pietà e senza lutto
ci hanno fatto mitragliar.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Su leviamo il canto e il braccio
contro i vili ed i tiranni;
ribelliamoci agli inganni
d’una ipocrita società.
Oltre i monti ed oltre i mari
i manipoli serriamo,
combattiamo, combattiamo
per la nostra umanità.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Innalziam le nostre insegne,
sventoliamo le bandiere;
le orifiamme rosse e nere
de la balda nova età.
Combattiam per la giustizia
con l’ardor de la speranza,
per l’umana fratellanza,
per l’umana libertà.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.
Combattiam finché un oppresso
sotto il peso della croce
levi a noi la flebil voce
fin che regni un oppressor.
Splenda in alto il sol lucente
de la Idea solenne e pia…
Viva il sol dell’Anarchia,
tutto pace e tutto amor.
Su, moviamo alla battaglia!…
vogliam vincere o morir,
su, marciam, santa canaglia,
e inneggiamo a l’avvenir.