Dante Livio Bianco – L’esercito di liberazione
Dante Livio Bianco
L’esercito di liberazione
In dicembre [‘43], oltreché sul piano strettamente militare, come organizzazione armata, il partigianato cuneese era ottimamente avviato ad affermarsi e consolidarsi anche sul piano politico, come movimento popolare.
1 partigiani non erano dei soldati, dei gruppi di combattenti isolati, estranei alle masse popolari. v’era invece fra queste e quelli una corrispondenza, che si manifestava nei modi più vari, dall’applauso pubblico ad atti più sostanziosi, come la fornitura di viveri, il ricovero di feriti, il trasporto e l’occultamento di armi e via dicendo.
Questa corrispondenza, questa simpatia si manifestava particolarmente, più ancora che da parte delle popolazioni cittadine, da parte di quelle montane, che coi partigiani vivevano più intimamente in contatto. Chi ha vissuto in montagna le giornate che tennero dietro al disastro dell’8 settembre, non può ricordare senza commozione la generosità e lo spirito di fraternità di cui diedero prova, a prezzo di gravi sacrifici, quei poveri montanari, costretti ad una vita poco meno che da bruti, in condizioni di miseria paurosa. Questa commovente solidarietà popolare si manifestò dapprima verso gli sbandati, poi verso i partigiani.
Di fronte all’immensa tragedia dell’8 settembre che era anche una tragedia umana, l’umanità di quei rozzi montanari si risvegliava e vinceva i limiti della dura povertà e della gretta avarizia: forse, nel dar da mangiare o da dormire agli sbandati affamati e sfiniti, qualcuno avrà pensato al figlio o al fratello analogamente soccorso, nella lontana Russia, da gente egualmente povera. ..1
Se poi vogliamo approfondire un po’ l’esame della situazione, al di là di quelle che possono essere le dislocazioni, gli organici, la forza e l’armamento, possiamo cogliere una nota degna di rilievo: vale a dire, che le formazioni partigiane del Cuneese sostituiscono ormai, pur nella particolarità delle circostanze e colla limitatezza delle possibilità che queste circostanze comportano, delle vere unità, a modo loro, «regolari».
Il processo di militarizzazione si è accentuato ed ora è davvero un piccolo esercito che tiene il campo: un piccolo esercito con una precisa struttura gerarchica, una seria disciplina, un netto ordinamento, e un insieme di servizi che danno a tutta l’organizzazione un’impronta di complessività.
Questo quadro contrasta naturalmente con l’immagine del partigiano come d’un essere straordinario, «invisibile e fluido come l’aria», «capace di volatilizzarsi», «inafferrabile», «diabolico», «fantasma della montagna che scompare e riappare», simile a un «camoscio». Ma è bene dir subito e decisamente che tale immagine, e altre analoghe, sono – almeno per quanto riguarda il partigiano cuneese – false e convenzionali. appartengono al regno della fantasia, non al mondo della realtà.
Quando si occupano stabilmente intere valli, quando si tratta di centinaia e di migliaia di partigiani, regolarmente organizzati ed inquadrati, altro che muoversi con la fulminea rapidità ed agilità dei camosci! Si fa presto a dire, stando a tavolino: i partigiani devono soltanto fare imboscate e colpi di mano e sabotaggi, non devono mai accettare combattimento, devono sempre fare il vuoto, sparire senza nemmeno lasciarsi avvistare. Son belle parole, che però non reggono quando le formazioni partigiane hanno dimensioni e caratteristiche come quelle di cui stavamo parlando per il cuneese.
Ecco perché qui, in contrasto coi proclamati canoni di quella astratta ed immaginaria strategia partigiana, la resistenza armata non ha preso soltanto l’andamento rotto e minuto •della guerriglia, ma ha talvolta assunto l’aspetto di una vera – sia pur, naturalmente, su scala ridotta – guerra guerreggiata, d’una serie di combattimenti regolari. Ecco perché è stata cura dei dirigenti quella di creare e addestrare delle unità, capaci di sostenere tale prove, e di manovrare in modo organico. Ed ecco ancora perché, con la disciplina e l’educazione, ci si è sforzati di allevare dei veri combattenti, dei veri soldati.(…]
Anche adesso, però, come già in primavera questa più accentuata militarizzazione non è altro che l’aspetto tecnico ed esteriore di un.
sempre aperto processo ideale, che esprimere conla brutta parola «politicizzazione».
Militarizzazione e politicizzazione, guardate al di là dell’immediata superficie, son due processi complementari ed interdipendenti, uno in funzione dell’altro: grosso modo, potrebbe dirsi che mentre i
politici di militarizzano, i militari si politicizzano.
Dante Livio Bianco. «Guerra Partigiana»
Einaudi
Articolo tratto dal Settimanale “Il Manifesto 1995
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