Archivi categoria: La lotta partigiana a Firenze

La Campana del Bargello

LA CAMPANA DEL BARGELLO

da giorni e giorni, sei per la storia, ma sembravano mesi, le strade vi erano fatte deserte, la città sembrava vuota, piena di sole, di caldo, di puzzo.

Le persiane tutte chiuse, i portoni sprangati, le saracinesche dei negozi abbassate. Il sole d’agosto batteva spietato sopra le pietre, sopra l’asfalto che sembrava liquefarsi e sopra grossi mucchi di spazzatura che sorgevano qua e là per le strade e che ogni giorno crescevano insieme all’odore terribile di marcio, di cadavere, di fogna. Si cercava di passare più lontano possibile da questi mucchi tanto era violento ed insopportabile l’odore che appestava intorno, ma anche da lontano l’aria ne era impregnata, sembrava che tutta la città, ne fosse piena o che addirittura fosse dentro di noi.

Sole, caldo, puzzo, non c’era dunque più nulla, Firenze sembrava vuota, ma ogni tanto in qualche strada, accanto al marciapiede dov’erano le bocchette dell’acqua potabile (poiché le tubature erano state fatte saltare, un gruppetto di donne che rapido si scioglieva per ricomporsi poco dopo, dimostrava chiaramente che non tutti erano andati via e che dietro quei portoni sprangati, dietro quelle persiane chiuse la, gente viveva silenziosa e spaurita, tutta tesa nella speranza di finire presto quell’incubo terribile. Gli uomini che giravano, pochi, radi, guardinghi, e tutti forniti di bracciali della Croce-Rossa, erano quasi tutti partigiani, così come lo erano tutte le donne che non si dedicavano al solo rifornimento dell’acqua.

Anche se non ci si conosceva, anche se non si apparteneva allo stesso partito o alla stessa brigata, mentre ci s’incrociava rasentando i muri ci guardavamo con simpatia, quasi con affetto, sicuri che anche l’altro era uno dei nostri.

Ma che pena camminare da un Comando ad un distaccamento, dal C.L.N. in Via Condotta al Comando Militare in piazza Strozzi, ,dal Comando di Città in Via Roma, alle Gap di, Piazza D’Azeglio. Per quelle strade deserte rasentavamo il più rapidamente possibile i muri caldi di sole, i portoni chiusi, desiderosi di un nascondiglio, ma certi che non un portone si sarebbe schiuso, non una saracinesca sarebbe stata alzata per noi…. Ogni tanto una pattuglia tedesca o un piccolo bivacco; ce n’erano un po’ dappertutto formati in genere da soldati armati, o con i mitra appoggiati accanto, il giorno erano spesso incuranti di tutto, ormai avviliti e stanchi anche, loro. La notte invece non facevano che sparare forse per farci stare fermi e zitti, per tenere tutta la città calma e morta, forse per coraggio.

La notte non passava mai, ma ogni mattina risorgeva la speranza nella giornata si sarebbe avuto l’ordine d’insorgere: gli americani avrebbero attaccato, i tedeschi se ne sarebbero andati; ma ogni sera c’invadeva lo sconforto di un’altra notte da passare.

La notte del 10 agosto, dopo aver dato insieme alla Lea l’ultima occhiata da una terrazza su via Tosinghi, al piccolo bivacco dei cinque o sei tedeschi che si era accampato con pentole e scatolame ed armi dentro il portone dell’UPIM e che noi vedevamo d’infilata attraverso Via dei Medici, ci sdraiammo per terra su di un logoro tappeto (dalla prima sera dell’emergenza non ci spogliavamo più).

_Lea, domani è il mio compleanno, vedrai che domani se ne andranno ».

«-Speriamolo, non ne posso più ».

E il suo viso grassoccio ed infantile ebbe una smorfia di pianto.

Nel profondo sonno qualcuno ci destò. Era Alfio, aveva una voce strana, quasi un falsetto:

– Ragazze i tedeschi sono andati via ».

« Come, davvero’? » fatemi vedere dal terrazzo ». Ci affacciammo tutti e tre, il portone dell’UPIM era vuoto. Mentre Lea svegliava tutto il Comando, io ed Alfio ci precipitammo fuori in ispezione; era ormai giorno chiaro ma l’aria era ancora fresca e la luce rosata dell’alba.

Non sentii più il puzzo, mi sembrò che anche quello fosse sparito con i tedeschi.

Ed Alfio si avviò lungo l’Arcivescovado mentre io correvo lungo la facciata del Duomo. Mi ricordai che in Piazza San Lorenzo la sera prima c’erano tanti tedeschi ma Alfio non vedeva più. Corsi lungo Via Martelli, nessuno all’altezza di Via dei Pucci sull’angolo di Piazza San Lorenzo, Alfio mi fece cenno di proseguire per Via Cavour, lo ritrovai sull’angolo di Via degli Alfani, ci .abbracciammo commossi mormorando:

« Liberi, liberi ».

Si tornò correndo insieme fino in Via Roma al Comando di Città,  Albertoni mi mandò al Comando Militare in Piazza Strozzi, dal Colonnello Niccoli. Da lui ebbi gli ordini da portare in Palazzo Vecchio, di nuovo mi misi a correre: Piazza Strozzi, Via Monalda, Via Porta Rossa, Via Calzaiuoli, Piazza Signoria, Via della Ninna… per le strade deserte tutto era fermo, vuoto, silenzioso; i miei passi, mal¬grado i sandali sottili, risuonavano sul selciato suscitando echi da città morta che mi davano uno strano senso di paura.

In Via della Ninna la porta mi fu subito aperta: finalmente una divisa non tedesca, quasi caddi addosso ad una guardia di città che Mi portò da Stagni ancora mezzo addormentato.

«-La campana del Bargello si deve far suonare subito, si deve alzare il tricolore su Palazzo Vecchio ».

Io dovevo correre ancora ad avvertire il Comitato di Liberazione in Via Condotta erano già passate le cinque. Di nuovo spiccai la corsa, ma non ce la facevo più il mio cuore sembrava volesse scoppiare mi sentivo disperata e felice, affranta e piena di energia. Davanti alla saracinesca abbassata della Farmacia Bizzarri mi arrestai smarrita la campana del Bargello, ferma da quattro anni, aveva dato un rintocco che in quel silenzio sembrava magico, ecco… il secondo, alzai gli occhi verso l’alto ed un altro miracolo mi apparve: lentamente sulla torre di Palazzo Vecchio si alzava il tricolore. M’inginocchiai piangendo sul marciapiede mentre ad una ad una le persiane della piazza si spalancavano, una donna da una finestra bassa mi chiese urlando:

Se ne sono andati? ».

« Siamo liberi, liberi », risposi singhiozzando ed allargando le braccia… un rumore di chiavistelli, un portone si apre, ed un altro ancora, una donna esce correndo da una porta mi si butta tra le braccia gridando: « Sono andati via, sono andati via! ». Lo grido anch’io senza quasi rendermi conto di abbracciarla piangendo. È commovente, meraviglioso, sublime, ma io non posso godere più a lungo della gioia di questa gente che ha finito di aver paura della morte, che crede di novella gioia e nella libertà, io devo correre al C.L.N. Devo andare a dire che facciano presto che si facciano tutti belli che vadano subito a Palazzo Riccardi.

Poi potrò guardare, ridere, cantare, dormire; no, poi ci sono ancora tante cose da fare!

Il CTLN va ad occupare la Prefettura

Ma che confusione tra i membri importanti del C.L.N.! La notizia della liberazione era giunta ancor prima di me, infatti rapidissima da Piazza Signoria si era propagata per mille rivoli insieme all’onda sonora della campana del Bargello. Al mio ingresso mi si parò davanti l’onorevole Martini, così buffo e simpatico che scoppiai a ridere, girava per le stanze del piccolo appartamento, sbracato, con le bretelle ciondoloni dietro, cercando come farsi la barba e stringendosi sul cuore una catinella. L’Adina, la loro bravissima staffetta, era già pronta, elegante, fresca, fresca, pettinata, pulita. Era stata sempre per me fonte di continua ammirazione ed anche d’invidia per come riusciva ad essere sempre fresca ed elegante malgrado quella maledetta vita che si faceva e con tutta la strada che anche lei ogni giorno era costretta a percorrere.

Enzo era il più calmo. Uno del Comitato forse a causa di quella irriverente e risata in faccia a Martini, mi disse con una nota di disappunto nella voce: « Lei, signorina, ora dovrebbe mettersi il bracciale ». Fu la nota stonata di quella giornata (ma presto ne seguirono altre per via di quel benedetto bracciale m’impedirono di entrare in Palazzo Riccardi. Ne avevo confezionati tanti di quei bracciali, nei momenti d’ozio, che proprio non avevo pensato a tenerne uno per me.

Albertoni me ne dette uno e con gesto un po’ melodrammatico, me lo mise al braccio scesa così in istrada notai che la gente mi guardava; erano ancora pochi ad adornarsi del bracciale con il "Cavallino" e suscitava ammirazione e curiosità.

Una ragazza mi fermò per chiedermi come avrebbe fatto d averne uno anche lei: «Bisognava guadagnarselo prima » le risposi asciutta, poi mi vergognai, mi tolsi il bracciale, lo riposi i tasca tasca e non lo misi più.

lnfatti poche ore dopo ero di nuovo dove erano ancora i tedeschi; tornai in centro dopo parecchi giorni il bracciale con il cavallino era giù passato di moda.

Nella stessa mattinata mi trovai a Palazzo Vecchio quando tornava Carlo Ludovico Ragghianti da oltrarno dove era andato a prendere accordi con il Comando alleato, insieme a due ufficiali del Comando inglese. Ragghianti mi presentò loro, ed il più giovane mi disse: « Guaita, proprio Guaita? Allora tanti saluti da suo fratello ».

Mio fratello!… Sei mesi prima, Nino, passando le linee, ci aveva portato una sua fotografia con la moglie ed il bambino nato in quei mesi; da allora non avevamo saputo più nulla, e questa notizia così inaspettata mi rese ancora più sensibile e più scoperta a tutte le emozioni di quella meravigliosa giornata. Erano troppe per sopportarle da sola, dovevo, volevo, vedere mia madre che, pur malata di cuore, aveva in quei lunghi mesi divise con me e per me molte ansie e paure.

Albertoni, il comandante delle squadre di città, doveva darmi il permesso di andare a casa, così tornai in Via Roma. Le strade formicolavano di folla; folla anche sul portone di Via Roma. Mi scontrai in Adriano che traversava di corsa il marciapiede per salire su una macchina insieme a Gigi e ad altri partigiani armati fino ai denti. « Andiamo a fare un’azione sul Mugnone » mi gridò eccitatissimo, già dall’auto in moto. Dio mio, pensai, purchè, non muoiano proprio ora, alla fine!…

Ecco Alfio:" Abbiamo preso tre spie, vuoi vederle? ».

Mi accompagnò al portone accanto, lì nel cortile si fermò davanti ad un grosso canile: accucciato al posto del cane, con l’aria anche lui di un cane rabbioso, c’era un giovanotto biondo con occhi chiarissimi pieni di odio e paura, aveva, stretto ad una coscia, un collare da cane, rinforzato da una catena con lucchetto. Dalla camicia aperta fino alla cintura si vedeva un petto bianco, molliccio, quasi femminile, sul quale luccicava, appesa ad una catena d’oro, una grossa croce, che ogni tanto con gesto nervoso si toccava quasi ad assicurarsi che ci fosse ancora.

« Ma Alfio, che strana idea! ».

« Oh, non vorrai mica che si sprechi un partigiano combattente per stare a guardia di questo qui. E poi in serata verrà la polizia inglese a prenderseli. Le altre sono due ragazze, vuoi vederle? ».

"No, basta così ».

La stanza d’Albertoni era piena di staffette e di comandanti, Albertoni, serio, davanti ad una gran carta di Firenze piena di croci rosse e blù, sembrava quasi un generale vero.

Tutte le staffette chiedevano la stessa cosa, munizioni e rinforzi alla, periferia di Firenze, sul Mugnone e sull’Africo si stava combattendo e le munizioni erano poche.

Albertoni aveva per tutti la solita risposta " Gli inglesi hanno promesso di darci le munizioni e di entrare in azione anche loro ».

Alberto qui non ho più nulla da fare, posso andare a casa? Non c’è più niente da fare? E pari come ci vai? Sulla ferrovia; sia alle Cure che al Campo di Marta, si combatte

Passerò dal Ponte del Pino ». Uhm, hanno ferito anche il dott. Horloch molto

gravemente, pare sia morto. Anche Baratti è stato ferito ». Come arrivavano presto le notizie "Ho bisogno di sapere cosa è successo a mia madre, non posso resistere più ».

Albertoni si tolse la pipa di bocca, mi guardò con quella sua aria assente:

« Va bene, al Ponte del Pino c’è la squadra di Gigi Belli, appena verrà la sua staffetta andrai con lui, ti farà passare ».

« Va bene, grazie, addio ».

Ma non ebbi pazienza di aspettare. Col cuore un po’ peso, ma con un enorme desiderio di abbracciare stretta mia mamma, mi recai al giardino dei Semplici,

Giardino dei Semplici diventato il cimitero della città, sicura di trovare lì qualcuno con cui passare il famoso Ponte del Pino, sul quale i tedeschi sparavano di continuo.

Non mi ero sbagliata, potei subito accodarmi ad una carovana capitaata da Don Poggi, il bravo prete di S.Gervasio che malgrado il suo graan buzzo fu in quel periodo instancabile e coraggiosissimo.

Gran stendardo bianco, due crocerossine, il sagrestano di S. Gervasio un altro vecchio, sei, sette donne. Fu un vero viaggio, a fare mezz’ora di strada ci si mise due ore, ero esasperata ed affranta, le mitragliatrici di Piazza Savonarola e quelle dei Molini Biondi mi facevano più paura di tutti i bombardamenti passati.

Il gruppo di Don Poggi

Trovai mia madre in Via Marconi, era ferma con altre donne ad una di quelle bocchette dalle strade a prendere acqua. Mi vide da lontano, io cominciai a cor¬rere e lei pure, sembrava una ragazzina, ma poi stretta contro di me non 1e riuscì parlare tanto il cuore, povera vecchina, le batteva forte in gola. Divisi la cena con mio padre e mia madre: come tanta altra gente in quei giorni non avevamo che un po’ di piselli secchi lessati nell’acqua.

Anche noi in Via Roma non avevamo molto di più da mangiare, e qualche volta anche meno, all’infuori del giorno nel quale Olìviero (l’oste della Ceviosa la cui cucina dava sul nostro stesso cortile) ci offrì a caro prezzo una testa di vitello. Non contrattammo neppure tanto eravamo preoccupati di dar qualche cosa da mangiare ai partigiani di Didon che erano arrivati, passando diversi blocchi tedeschi,da Monte Giovi per partecipare all’insurrezione di Firenze, e si erano accampati nel cortile dello stabile con grande paura e preoccupazione dei diversi inquilini. La testa di vitello risultò formicolante di vermi, io quasi mi sentii male al solo vederla; la brava Noemi, con la forza della disperazione, aiutata dalla portinaia, la lavò a lungo nell’aceto e la, cucinò … Ma Alberto era furioso di essere stato giuocato e, quale capo responsabile della Sussistenza, decise di far man bassa nottetempo, nella cantina dell’oste. Non c’erano vettovaglie, ma casse e casse di vini pregiati e di liquori di marca. Fu preso tutto e fu tutto distribuito. Furono date delle bottiglie anche, agli inquilini dello stabile che per l’occasione smisero di avere paura. L’indomani ogni staffetta che– arrivava, ripartiva ben provvista di liquori, ritornava dove era par¬tita più contenta, non c’era da mangiare, ma almeno si sarebbero scaldati il cuore per i momenti della lotta con qualche cosa di forte. Anche noi si seguiva così, grazie alla cantina d’Oliviero, la tradizione degli eserciti regolari.

Ora, davanti a quei disgustosi piselli secchi, pensavo che anche a loro, poveri vecchi, una bottiglia di vino vecchio avrebbe fatto tanto bene…..

Finalmente ero nel mio letto: come ci si stava!…

Ma ecco da Fiesole cominciò a sparare il cannone, o forse aveva già cominciato, pur io nell’emozione di quei primi momenti non avevo avuto il avuto il modo di sentirlo. Il colpo partiva con un sibilo ed arrivava con un tonfo, si sentiva partire non si sapeva dove arrivava.

Non so come avvenne, qualcosa crollò dentro di me, forse fu il sen¬tire ehe ormai non ero più con quelli che perdevano sempre perché erano troppo pochi, e con i quali bisognava resistere fino alla fine. Ormai tutti noi, quelli che erano rimasti di noi, erano uniti a quelli che vincevano perciò io non avevo più niente da fare, io mi potevo per¬mettere di avere paura.

Ed ebbi paura, tanta paura, tutta la paura arretrata di mesi e mesi, restai per giorni sdraiata a letto, non, riuscivo né a mangiare né, a bere e neppure a dormire, ero lì intenta ad ascoltare le bombe che arriva¬vano da Fiesole, la partenza e l’arrivo, incapace di pensare e di die altro, altro che:

«E’ partita… è arrivata… è partita… è arrivata… ».

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA DI FIRENZE

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA

DI FIRENZE

LANCIOTTO BALLERINI
« Comandante dal settembre 1943 la P, Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a. ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».
Monte Morello, 3 gennaio 1944
VITTORIO BARBIERI
« Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2" Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo dì continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avan­scoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo ac­compagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».
Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•
ALIGI BARDUCCI (Potente)
Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.
Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costitui la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacrifici in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.
Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.
Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava ì volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.
Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».
Firenze, 9 agosto 1944•
ENRICO BOCCI
« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riusci a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla : saputo del suo destino ».
Firenze, giugno 1944•
ELIO CHIANESI
« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of¬frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle più ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac¬canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet¬tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.
Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».
Firenze, 15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•
ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI
« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra¬telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.
Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.
Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »
1 In realtà, come è detto nel testo, A. M. Enriques Agnoletti fu fucilata nei pressi di Cervina, sulle falde del Monte Morello.
BRUNO FANCIULLACCI
« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio, e temerari colpi di mano che disorientarono l’avversario.
Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertagli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi generosamente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com¬piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stroncava la vita ».
Firenze, settembre 1943 – luglio 1944•
ADRIANO GOZZOLI
« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subí torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affrontava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».
Mugello-Firenze, 8 settembre 1943 – 3 maggio 1944•
TINA LORENZONI
« Purissima patriota della Brigata " V martire della fede italiana compi sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa-trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.
Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».
Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•
LUIGI MORANDI
« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei più delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i più gravi rischi e le più dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentre trasmetteva messaggi segreti, riusciva con mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i nemici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato più volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organizzato col proprio eroico sacrificio ».
Firenze, 7 giugno 1944•
ITALO PICCAGLI
« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta intransigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progressiva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività operativa ed informativa, corso per più mesi i più gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irreparabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente minata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito preziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Durante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla moglie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di offrire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad affrontare coraggiosamente la morte.
A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile,
di purissimo amore di Patria ».
Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944

Le azioni dei GAP fiorentini

Le azioni dei GAP fiorentini dal dicembre 1943 al luglio 1944

La ricostruzione storica delle numerose azioni compiute dai gappisti fiorentini non è semplice perché i documenti relativi, conservati presso l’ANPI di Firenze, andarono distrutti con l’alluvione del 1966. Sono comunque molto informativi sia le relazioni della “Commissione regionale toscana per il riconoscimento della qualifica di partigiano” sia le memorie dei gappisti e dei partigiani fiorentini, materiale confluito in vari saggi a partire da quello di Giovanni Verni del 1964.

L’elenco sintetico che segue, basato su varie fonti memorialistiche e storiche, dà un’idea della rilevante serie di “azioni di guerra” svolte dai GAP a Firenze.

Per ogni azione sono dati tra parentesi quadre i nomi dei gappisti che vi parteciparono, perlomeno quelli che sono noti e accertati. Sono riportati anche gli eventi in cui i gappisti subirono perdite.

__________

1° dicembre 1943 – Esecuzione del tenente colonnello Gino Gobbi, comandante del distretto militare di Firenze, impegnato nel richiamo alla armi per la ricostituzione dell’esercito della RSI [Martini, Scorsipa].

15 gennaio 1944 – Scoppio di bombe nella Federazione fascista in via dei Servi, nell’albergo di piazza dell’Unità d’Italia alloggio degli ufficiali tedeschi, e in altri parti della città [Fanciullacci].

17 gennaio – Agguato al capitano della Milizia fascista Averardo Mazzoli

[Fanciullacci].

21 gennaio – Bomba nella casa di tolleranza di Via delle Terme, frequentata da fascisti e nazisti.

27 gennaio – Esecuzione della sentinella di guardia al ponte della Vittoria, per agevolare il transito dei partigiani [Fanciullacci, Martini].

30 gennaio – Bomba nel Teatro della Pergola durante una manifestazione fascista nella quale sarebbe intervenuto Gino Meschiari, segretario della federazione provinciale del Partito Fascista Repubblicano.

3 febbraio – Esecuzione di un sergente tedesco nel viale Belfiore.

5 febbraio – Attacco a una pattuglia della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) in piazza Donatello (esecuzione di due militi) [Martini e altri].

9 febbraio – Esecuzione di un sergente della G.N.R. alla Fortezza da Basso.

10 febbraio – Tentativo di collocare una bomba nel bar Paskowski in piazza della Repubblica, ritrovo degli ufficiali tedeschi, da parte di Antonio Ignesti e Tosca Bucarelli. Scoperti, i due gappisti fuggono, ma la Bucarelli viene catturata, invano torturata perché parlasse, e poi imprigionata al carcere di s. Verdiana (da dove viene liberata il 9 luglio dai compagni gappisti) [Martini e altri].

11 febbraio – Sette bombe nella Feld-Gendarmerie tedesca di via dei Serragli, con devastazione degli uffici e distruzione di tre automobili.

13 febbraio – Alessandro Sinigaglia viene riconosciuto di fascisti mentre si trova in una trattoria in via Matteo Palmieri, fugge, ma viene colpito a morte.

13 febbraio – La linea Firenze-Roma, nel tratto Varlungo-Rovezzano, viene fatta saltare bloccando il transito di un convoglio con materiale bellico.

22 febbraio – Attacco a un gruppo di soldati tedeschi presso la casa di tolleranza di via delle Belle Donne (feriti due tedeschi).

22 febbraio – Esecuzione di un milite nel viale Amedeo [Martini].

25 febbraio – Spari contro un soldato tedesco in via Incontri.

27 febbraio – Esecuzione di un milite della G.N.R. in viale Amedeo.

29 febbraio – Bomba nella casa di tolleranza di Via delle Terme (tre soldati tedeschi feriti).

2 marzo – La linea ferroviaria Firenze-Roma viene fatta saltare bloccando il transito di un convoglio con materiale bellico.

3 marzo – Bombe al Sindacato Fascista sul lungarno Guicciardini con devastazione dell’intera sede [Scorsipa].

5 marzo – In concomitanza dello sciopero, alle 5 del mattino vengono fatti saltare gli scambi dei tram nel deposito  i viale dei Mille [Becheri, Fanciullacci, Massai].

5 marzo – Esecuzione di un soldato tedesco in via del Pergolino.

6 marzo – Vengo fatti saltare gli scambi della zona industriale sul ponte del Romito.

7 marzo – Esecuzione del maggiore Mauro Giovannelli della G. N. R. in via Ciro Menotti.

7 marzo – La linea ferroviaria Firenze-Roma viene fatta saltare nei pressi di Varlungo.

9 marzo – Bomba contro la caserma della G.N.R. di Lungo l’Affrico (la sentinella viene ferita).

10 marzo – Esecuzione di un milite fascista in via Bolognese.

12 marzo – Bomba contro la sede dell’E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) (la sentinella viene ferita).

14 marzo – Bombe al Sindacato Fascista sul lungarno Guicciardini con devastazione dell’intera sede [Fanciullacci, Massai, Mazzoli, Scorsipa].

17 marzo – Esecuzione del capo della provincia di Pisa e ferimento del figlio alla Costa San Giorgio.

23 marzo – Bomba contro la cripta dei caduti fascisti in piazza S. Croce.

27 marzo – Esecuzione di due sentinelle al ponte della Carraia.

28 marzo – Bombe contro il circolo e mensa ufficiali fascisti (tre feriti).

1 aprile – Bombe contro la nuova sede della Feld-Gendarmerie in via del Campuccio.

2 aprile – La linea ferroviaria tra Sesto e Calenzano viene fatta saltare.

7 aprile – Bombe contro l’ufficio reclutamento Todt in piazza Vittorio Veneto.

7 aprile – Ferimento di Nello Nocentini, spia fascista, e uccisione del figlio e dell’amico Pecchioli, anche loro informatori del Reparto di Carità.

9 aprile – Esecuzione di un sottoufficiale tedesco presso il campo sportivo Giglio Rosso sul viale dei Colli [Martini].

15 aprile – Esecuzione del filosofo Giovanni Gentile, presidente dell’Accademia d’Italia [Fanciullacci, Ignesti, Martini, Serni, Suisola].

21 aprile – Agguato a Bruno Landi, detto “Pollastra”, nota spia fascista, in via Santa Maria.

Cattura di Bruno Fanciullacci

29 aprile – Attentato al colonnello Italo Ingaramo, comandante provinciale della G.N.R. in Lungarno Acciaoli. L’autista muore sul colpo, Ingaramo il 10 maggio [Ignesti, Martini].

aprile (data non nota) – Bombe collocate su due automezzi tedeschi a Varlungo e loro distruzione.

2 maggio – Bombe in piazza del Duomo Bombe contro un tram della linea di Scandicci carico di militi fascisti (tre feriti).

3 maggio – Esecuzione di un caposquadra della G.N.R. in viale De Amicis.

4 maggio – Tentativo di liberazione di Fanciullacci all’Ospedale in via Giusti.

Esecuzione di un milite delle S.S.

8 maggio – Liberazione di Fanciullacci all’Ospedale in via Giusti. Esecuzione di una sentinella [Martini e altri].

10 maggio – Ferimento del maresciallo dei Carabinieri di Sesto, delatore delle S.S.

17 maggio – Esecuzione della sentinella del battaglione “M” al Poggio Imperiale.

26 maggio – Cariche di tritolo contro un compressore delle Officine di Porta a Prato.

29 maggio – Esecuzione di Prevoncini (nome italianizzato di Enrico Prevlosek),milite della G.N.R. e organizzatore del P.F.R. a Rifredi.

14 giugno – Ferimento dell’ispettore del Fascio De Rode.

16 giugno – Bombe contro il negozio di Linda Fantelli, delatrice delle S.S. tedesche.

21 giugno – Esecuzione di un sottoufficiale tedesco sul viale dei Colli.

27 giugno – Esecuzione di un maresciallo tedesco a Monte Oliveto.

7 luglio – Esecuzione di un milite fascista alle Cascine.

9 luglio – Liberazione di Tosca Bucarelli nel carcere di S. Verdiana [Chianesi, Fanciullacci, Martini]

11 luglio – Esecuzione della spia fascista Volpini in piazza S. Maria Novella durante il fallito agguato a Giuseppe Bernasconi, succeduto pochi giorni prima a Carità nel comando del Reparto Servizi Speciali.

12 luglio – Fallito attacco, nei pressi del viale dei Colli, a un ufficiale della Milizia fascista da parte di due gappisti: uno scappa, l’altro viene ferito, catturato e torturato. Le rivelazioni di quest’ultimo consentono al Reparto di Bernasconi di compiere con successo una retata per catturare altri gappisti.

Il 13 luglio viene individuato e ucciso Elio Chianesi e vengono catturati cinque partigiani.

Il 15 luglio viene catturato Bruno Fanciullacci che è sottoposto a durissime torture a Villa Triste da Bernasconi e i suoi militi. Fanciullacci, per evitare di soccombere alle torture e fare rivelazioni nocive per la vita dei compagni e l’organizzazione del Partito, tenta di fuggire gettandosi dalla finestra della stanza in cui veniva interrogato. Per le lesioni causate dalla caduta e le ferite inferte dai colpi sparatigli dai fascisti, Fanciullacci morì il 17 luglio. La sera dello stesso

17 luglio avvenne la strage di piazza Tasso. Verso le ore 19 un autocarro arrivò improvvisamente sulla piazza con un carico di militi fascisti che cominciò a sparare alla cieca alle persone che fuggivano spaventate. Rimasero uccise cinque persone (Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli, Umberto Peri e un bambino di otto anni, Ivo Poli), mentre molte altre furono ferite. Vennero arrestati numerosi partigiani e 17 di loro vennero fucilati alle Cascine il 23 luglio.

Le loro salme furono scoperte casualmente solo nell’aprile 1957.

La resistenza a Firenze

clip_image001

La Resistenza a Firenze

N°2

Naturalmente episodi come questo della fucilazione degli ostaggi non facevano che rinfocolare la lotta, la quale continuò aspra in campagna ed in città.

Difatti — come abbiamo già notato — nei dintorni piú o meno immediati della città, in ogni zona che appena appena offrisse una qualche possibilità, si erano formati raggruppamenti partigiani. Le formazioni fluide di sol­dati sbandati e di renitenti alla leva avevano perso di con­sistenza, per l’abbandono ed il cedimento degli elementi meno consapevoli : le durezze dell’inverno e le prospettive di una guerra piú lunga del previsto aiutavano le defe­zioni. Ma intanto affluivano alle bande elementi politi­cizzati, che fuggivano dalla città perché ricercati: afflui­vano anche commissari politici, ufficiali e tecnici, inviati dal Partito comunista e da quello d’Azione. Le bande quindi, pur riducendo nell’inverno i loro effettivi, gua­dagnarono in mordente e nella serietà degli intenti.

Sorse cosí uno scambio continuo fra la campagna e la città per rifornire i raggruppamenti partigiani di viveri, ve­stiario, armi e denaro. A tale scopo si erano rimediati a Fi­renze alcuni laboratori per falsificare carte annonarie, carte d’identità ed altri documenti, mercé l’aiuto d’impiegati an­tifascisti presso la prefettura ed il comune. E l’intensificarsi di tutta questa attività causava l’intensificarsi della sorve­glianza da parte delle polizie e dei rastrellamenti : da ciò nascevano scontri quasi quotidiani con morti e feriti.

I fascisti nelle loro azioni di repressione si valevano come basi di partenza di quei paesi dove potevano contare su un nucleo organizzato di fedeli seguaci. Come ad esem­pio Montelupo, che fu il primo paese della provincia ad annoverare una sezione del Fascio repubblicano, dimostra­tasi assai attiva nella lotta antipartigiana e nella cattura dei prigionieri alleati, rifugiati nelle zone limitrofe.

Da qui la necessità per gli antifascisti d’ impedire a qualsiasi costo — anche con il terrorismo — il consolidarsi dei repubblichini nei paesi di campagna. Gli scontri fra i singoli uomini ed i gruppi armati erano ormai inevitabili e si facevano anzi di giorno in giorno piú frequenti. Il 2 dicembre sulle colline di Greve una formazione comunista, guidata da Faliero Pucci, fu improvvisamente attaccata da un reparto di fascisti supe­riori di numero, che furono però messi in fuga.Il giorno successivo la cronaca registra lo scontro fra elementi « sovversivi » e militi della « Muti », dei quali due vengono uccisi; è fra essi il pregiudicato Fanciul­lotti . Ma il primo scontro di un certo rilievo ebbe luogo a Valibona, sui monti della Calvana, nella zona dì Prato, ed ebbe come protagonista la banda capitanata da Lan­ciotto Ballerini, banda che faceva parte dì una grande for­mazione operante nella zona del Monte Morello. Questa formazione era rifornita dal P. d’A. ed in diretto contatto col suo comando militare, in modo particolare con Carlo Ragghianti.

clip_image002

Lanciotto Ballerini

(Medaglia d’Oro alla Memoria)

Lanciotto Ballerini era di Campi, faceva il macellaio. Aveva partecipato come sergente alla campagna etiopica e poi a quella di Grecia; dopo l’8 settembre, con alcuni giovani compagni si ritirò tra i boschi di Monte Morello, dando vita ad una formazione armata del Partito d’Azione. Quando la situazione di Monte Morello cominciò ad ag­gravarsi per i frequenti rastrellamenti, la banda si divise in due : i comunisti raggiunsero la loro formazione di Monte Giovi, mentre Lanciotto avrebbe dovuto raggiun­gere Pippo (Manrico Ducceschi), che, collegato anche lui al Partito d’Azione, comandava una formazione di parti­giani nell’alto pistoiese. Con Lanciotto erano rimasti à partigiani trai piú giovani, compresi anche due prigionieri russi evasi dal campo di concentramento.

Avevano fatto tappa a Valibona, dove si trattennero forse píú del necessario, dato che Lanciotto, avendo saputo l’arresto di due suoi fratelli, voleva tentare di liberarli, anche a costo di organizzare un assalto a « villa Triste ». Traditi da un fattore delle vicinanze, la notte del 3 gen- naio vennero assaliti da una colonna di circa 600 uomini’.

Sorpresi nel sonno, furono circondati nel cascinale e fu loro intimata la resa. 1 partigiani reagirono con pron­tezza : si chiusero in difesa, passarono al contrattacco ed infine tentarono la sortita. Guidati da Lanciotto, riusci­rono a rompere l’accerchiamento dalla parte della mon­tagna, nel settore tenuto dai carabinieri, i meno accaniti ed i meno entusiasti del combattimento. Ma Lanciotto, un ufficiale russo ed altri due partigiani rimasero sul terreno : gli altri riuscirono a mettersi in salvo.

Cosí fu descritta la fase culminante dello scontro da uno dei sopravvissuti, nel rapporto presentato al comando militare del P. d’A. :

… lo personalmente e tutti i superstiti ed i nemici stessi possono testimoniare il comportamento eroico di tutti. Ma la figura emer­gente è stato Ballerini Lanciotto che a testa alta, impavido, audace, temerario con una bomba per mano, inseguiva i nemici mettendoli in fuga e terrorizzandoli — sembrava un eroe leggendario — gri­dava: squadra A. a destra, fuori le mitragliepesanti; squadra B. a sinistra, fuori i mortai d’assalto; avanti contro questi vigliacchi, mettiamoli in fuga — e come un leone eccitato dal combattimento trascinava gli altri — terminate le bombe, imbracciato il moschetto, si gettava verso la mitraglia fascista che lo fulminava a dieci metri — mi trovavo a cinque metri da lui — sparavo con la rivol­tella. Un altro giovane di Sesto, Vandalo, scamiciato, come un garibaldino in piedi correva a destra e a sinistra dove si riunivano i fascisti, fulminandoli a moschettate. Sono stati tutti bravi e dovranno essere fieri di aver preso parte ad un combattimento cosí impari ed in condizioni d’inferiorità come armi, come numero e come posizione… 2. 1

Fu questa la prima battaglia sostenuta dai partigiani che ebbe una notevole risonanza nell’opinione pubblica. Molti furono i morti (sul campo, od in seguito alle ferite riportate) nelle file fasciste, composte da militi di Prato (fra questi si diceva allora che fosse presente e attivo anche il noto campione ciclista Fiorenzo Magni dal battaglione « Muti » e da alcuni reparti di carabinieri.

Né il rastrellamento operato di conseguenza su tutta la zona intorno a Firenze, compresa fra la Calvana e il Monte Morello, distrusse l’attività partigiana. Le forma­zioni disperse si riformarono in zone limitrofe un po’ piú arretrate — come ad esempio il Mugello — e nella primavera successiva passarono all’offensiva, rioccupando il territorio perduto. Comunque, al principio dell’inverno 1944 — nonostante i rastrellamenti ed il crescente rigore della stagione — era lecito affermare che in qualsiasi dire­zione uno si avviasse, poteva imbattersi, entro un breve raggio di territorio, nelle zone controllate dai partigiani.

Erano queste formazioni partigiane che assalivano i convogli dei tedeschi, che interrompevano con atti di sabo­taggio le comunicazioni ferroviarie e telefoniche, che deva­stavano i magazzini di viveri. La loro attività non rientra nei limiti di questo studio e meriterebbe una trattazione organica a parte.

Lotta partigiana a Firenze

clip_image002

La lotta Partigiana a Firenze

N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.

Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.

Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.

A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.

Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.

Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì

Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.

Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.

Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.

I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.

Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.

Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.

Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :

Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.

Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.

Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…

Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili

A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.

Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:

i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .

Medaglie d’oro al V. M della provincia di Firenze

clip_image001

MEDAGLIE D’ORO AL V. M. DELLA PROVINCIA
DI FIRENZE

clip_image003

LANCIOTTO BALLERINI

« Comandante dal settembre 1943 la 2a Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e dopo aver inflitto fortissime perdite, sí da costringerle a ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico ».

Monte Morello, 3 gennaio 1944

clip_image005

VITTORIO BARBIERI

«Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intrapren­dere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2° Brigata " Carlo Rosselli " condusse piú volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo di continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avanscoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo accompagnava. Dopo atroci sevizie sopportate con sereno coraggio veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà ».

Paretaia – Fiesole, 7 agosto 1944•

clip_image006

ALIGI BARDUCCI (Potente)

« Sfidando ogni pericolo consacrava la sua attività ad animare, suscitare, rafforzare il fronte della Resistenza in Toscana.

Organizzatore dei primi distaccamenti partigiani in quella zona costituí la Brigata " Garibaldi " Lanciotto, la comandò in ripetuti durissimi scontri guidandola con intrepido valore ed alto spirito di sacri­ficio in vittoriosi combattimenti come quelli ormai leggendari per la difesa di Cetica.

Comandante della Divisione Garibaldi " Arno " portava i propri reparti all’avanguardia dell’esercito alleato nella battaglia per la libera­zione di Firenze.

Affrontava eroicamente l’ostinata e rabbiosa resistenza tedesca, apriva un varco tra le file nemiche e guidava i volontari italiani ad entrare combattendo primi in Firenze, sua città natale.

Alla testa come sempre dei propri uomini mentre dirigeva l’azione dei Garibaldini contro le retroguardie tedesche asserragliate nella città, cadeva colpito da una granata nemica ».

Firenze, 9 agosto 1944

clip_image008

ENRICO BOCCI

« Tempra di patriota dedicò tutta la sua esistenza alla lotta contro l’oppressore per il supremo ideale della libertà e della giustizia. Fu tra i primi ad impugnare le armi, facendosi promotore ed organizzatore della lotta militare clandestina in Toscana. Organizzò e diresse, in ambiente particolarmente sorvegliato dal nemico, il servizio di radio­trasmissione, che, attraverso numerose stazioni clandestine, mantenne il collegamento con gli alleati. Braccato dai nazifascisti, riuscì a sfug­gire alle insidie che quotidianamente gli venivano tese per catturarlo; finché, sorpreso nella sede del comando del servizio radio, fu impri­gionato e sottoposto ad inaudite sevizie. Agli aguzzini che tentavano strappargli con le barbare torture rivelazioni sul servizio radiocollega­mento che tanto loro nuoceva, rispose col contegno dei forti irrobu­stito dalle sofferenze e non una parola che potesse nuocere ai compagni e al servizio usci dalle sue labbra. Nulla si è saputo del suo destino ».

Firenze, giugno 1944•

clip_image010

ELIO CHIANESI

« Vessillifero della lotta contro l’oppressore, fu tra i primi ad of­frire il braccio alla Patria umiliata. Organizzatore dei gruppi di azione partigiana diresse e partecipò alle piú ardite azioni, dimostrando spirito di sacrificio ed abnegazione impareggiabile, animando i dipendenti con la fredda determinazione e la indomita temerarietà. Ricercato ac­canitamente dalla polizia nazi-fascista, piuttosto che arrendersi accet­tava un impari combattimento. Piú volte colpito, con le carni lacere e sanguinolenti, interrogato e seviziato con sadica ferocia, parlò solo per esprimer dispregio al barbaro nemico.

Leggendaria figura di combattente per la libertà, a questa offri la vita in olocausto ».

Firenze,15 ottobre 1943 – 15 luglio 1944•

clip_image012

ANNA MARIA ENRIQUES AGNOLETTI

« Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria, e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fra­telli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice.

Tratta dopo un mese di carcere dalle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice.

Indimenticabile esempio di valore e di sacrificio »

Firenze, 15 maggio – 12 giugno 1944•

clip_image013

BRUNO FANCIULLACCI

« Reduce da confino per motivi politici, 1’8 settembre 1943 iniziò la sua attività partigiana compiendo audaci atti di sabotaggio e teme­rari colpi di mano che disorientarono l’avversario.

Arrestato una prima volta e ridotto in fine di vita dalle pugnalate infertegli dalla sbirraglia, veniva salvato dai compagni accorsi genero­samente a liberarlo. Ripreso, ancora convalescente, il suo posto di lotta, veniva nuovamente arrestato. Venuto a conoscenza che le S.S. nazi-fasciste erano in possesso di un documento compromettente la vita dei suoi compagni, tentava con somma audacia di saltare da una finestra per avvertirli del pericolo incombente su loro ma nel com­piere l’atto veniva raggiunto da una raffica di mitra che gli stron­cava la vita ».

Firenze, settembre1943 – luglio 1944•

clip_image014

ADRIANO GOZZOLI

« Caposquadra partigiano, ardito fra gli arditi, nelle piú dure ed audaci azioni di guerra e nei frangenti piú disperati, con l’esempio lo slancio e la passione sapeva trascinare ad alte gesta i compagni di lotta. San Martino del Mugello, Polcanto, Vicchio di Mugello, Santa Brigida, il Falterona e le campagne di Londa e di Madonna dei Fossi videro l’eroico valore del pugno di uomini da lui guidati che, con il loro sangue, fecondarono per piú alti destini il sacro suolo della Patria oppressa. Catturato per agguato subì torture e sevizie, che alternate a lusinghe, non valsero a piegare la sua tempra e con epica fierezza affron­tava il plotone di esecuzione, suggellando il breve corso della sua giovane vita col grido fatidico di Viva l’Italia ».

Mugello-Firenze, 8 settembre1943 – 3 maggio1944•

clip_image016

TINA LORENZONI

« Purissima patriota della Brigata " V ", martire della fede italiana compì sempre piú del suo dovere. Crocerossina e intelligente informa­trice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia.

Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente pro­vata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde render pos­sibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente al termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale ».

Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944•

clip_image018

LUIGI MORANDI

« Studente universitario, fin dai primi giorni della lotta dedicò la sua attività quotidiana e instancabile a uno dei piú delicati settori della vita clandestina, trasmettendo per radio importanti notizie agli alleati. Benché continuamente braccato dal nemico che cercava con ogni mezzo di stroncare le informazioni sulla propria attività militare e di individuarne la fonte rivelatrice, rimaneva impavidamente al suo posto di combattimento per adempiere, tra i piú gravi rischi e le piú dure difficoltà, il compito che aveva volontariamente assunto. Sorpreso dalle S.S. tedesche mentra trasmetteva messaggi segreti, riusciva con

mirabile sangue freddo a distruggere i cifrari e a dare l’allarme alla stazione ricevente. Sparava quindi, fino all’ultimo colpo, contro i ne­mici, finché dopo averne uccisi tre ed essere stato piú volte colpito, cadeva sopraffatto, salvando il servizio, che egli stesso aveva organiz­zato col proprio eroico sacrificio ».

Firenze 7 giugno 1944

clip_image020

ITALO PICCAGLI

« Ufficiale di elevatissime doti morali e di fermissimo carattere, assunse immediatamente dopo la dichiarazione di armistizio un aperto atteggiamento di ostilità contro i nemici germanici e di assoluta in­transigenza verso i collaborazionisti italiani. Dopo avere, nella progres­siva organizzazione di una vasta ed efficientissima rete di attività ope­rativa ed informativa, corso per piú mesi i piú gravi rischi ed essersi esposto ai peggiori disagi materiali, che da soli costituirono un irre­parabile danno ed una acuta minaccia per la sua fibra fisicamente mi­nata, non esitò in seguito alla scoperta da parte delle S.S. del centro radio-trasmittente, da lui impiantato e col quale aveva stabilito pre­ziosi collegamenti con l’Italia libera e con gli Alleati, a consegnarsi ai tedeschi per scagionare i compagni che vi erano stati sorpresi. Du­rante l’interrogatorio, malgrado le sevizie esercitate su lui e sulla mo­glie, dichiarò apertamente a fronte alta di essere il capo e il solo responsabile, di essersi mantenuto fedele al proprio giuramento ed al proprio dovere di soldato e di esserne fiero. Già condannato a morte, ma lieto di aver potuto salvare i compagni ed orgoglioso di aver potuto superare con la volontà quella malattia che gli aveva impedito di of­frire per il bene d’Italia la vita come combattente dell’aria, nell’ultimo saluto alla moglie che stava per essere internata in Germania, ebbe la suprema forza d’animo di nascondere la decisione che già era stata presa contro di lui. All’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti, che dovevano essere con lui fucilati, ad af­frontare coraggiosamente la morte.

A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra perché il polmone sinistro era già invaso dalla morte. Esempio irraggiungibile di puris­simo amore di Patria ».

Firenze, 9 settembre 1943 – 9 giugno 1944 1-

La lotta partigiana a Firenze

Medaglia d’oro al valor militare alla Città di Firenze

Motivazione

Generosamente e tenacemente nelle operazioni militari che ne assicurarono la Liberazione, prodigò se stessa in ogni forma: resistendo impavida al prolungato, rabbioso bombardamento germanico, mutilata nelle persone e nelle insigni opere d’arte. Combattendo valorosa l’insidia dei franchi tiratori e dei soldati germanici. Contribuendo con ogni forza alla Resistenza e all’insurrezione: nel centro, sulle rive dell’Arno e del Mugnone, a Careggi, a Cercina e dovunque; donava il sangue dei suoi figli copiosamente perché un libero popolo potesse nuovamente esprimere se stesso in una libera nazione.

10 agosto 1945

La Resistenza a Firenze

clip_image001

La Resistenza a Firenze
N°2

Naturalmente episodi come questo della fucilazione degli ostaggi non facevano che rinfocolare la lotta, la quale continuò aspra in campagna ed in città.
Difatti — come abbiamo già notato — nei dintorni piú o meno immediati della città, in ogni zona che appena appena offrisse una qualche possibilità, si erano formati raggruppamenti partigiani. Le formazioni fluide di sol­dati sbandati e di renitenti alla leva avevano perso di con­sistenza, per l’abbandono ed il cedimento degli elementi meno consapevoli : le durezze dell’inverno e le prospettive di una guerra piú lunga del previsto aiutavano le defe­zioni. Ma intanto affluivano alle bande elementi politi­cizzati, che fuggivano dalla città perché ricercati: afflui­vano anche commissari politici, ufficiali e tecnici, inviati dal Partito comunista e da quello d’Azione. Le bande quindi, pur riducendo nell’inverno i loro effettivi, gua­dagnarono in mordente e nella serietà degli intenti.
Sorse cosí uno scambio continuo fra la campagna e la città per rifornire i raggruppamenti partigiani di viveri, ve­stiario, armi e denaro. A tale scopo si erano rimediati a Fi­renze alcuni laboratori per falsificare carte annonarie, carte d’identità ed altri documenti, mercé l’aiuto d’impiegati an­tifascisti presso la prefettura ed il comune. E l’intensificarsi di tutta questa attività causava l’intensificarsi della sorve­glianza da parte delle polizie e dei rastrellamenti : da ciò nascevano scontri quasi quotidiani con morti e feriti.
I fascisti nelle loro azioni di repressione si valevano come basi di partenza di quei paesi dove potevano contare su un nucleo organizzato di fedeli seguaci. Come ad esem­pio Montelupo, che fu il primo paese della provincia ad annoverare una sezione del Fascio repubblicano, dimostra­tasi assai attiva nella lotta antipartigiana e nella cattura dei prigionieri alleati, rifugiati nelle zone limitrofe.
Da qui la necessità per gli antifascisti d’ impedire a qualsiasi costo — anche con il terrorismo — il consolidarsi dei repubblichini nei paesi di campagna. Gli scontri fra i singoli uomini ed i gruppi armati erano ormai inevitabili e si facevano anzi di giorno in giorno piú frequenti. Il 2 dicembre sulle colline di Greve una formazione comunista, guidata da Faliero Pucci, fu improvvisamente attaccata da un reparto di fascisti supe­riori di numero, che furono però messi in fuga.Il giorno successivo la cronaca registra lo scontro fra elementi « sovversivi » e militi della « Muti », dei quali due vengono uccisi; è fra essi il pregiudicato Fanciul­lotti . Ma il primo scontro di un certo rilievo ebbe luogo a Valibona, sui monti della Calvana, nella zona dì Prato, ed ebbe come protagonista la banda capitanata da Lan­ciotto Ballerini, banda che faceva parte dì una grande for­mazione operante nella zona del Monte Morello. Questa formazione era rifornita dal P. d’A. ed in diretto contatto col suo comando militare, in modo particolare con Carlo Ragghianti.
clip_image002
Lanciotto Ballerini
(Medaglia d’Oro alla Memoria)
Lanciotto Ballerini era di Campi, faceva il macellaio. Aveva partecipato come sergente alla campagna etiopica e poi a quella di Grecia; dopo l’8 settembre, con alcuni giovani compagni si ritirò tra i boschi di Monte Morello, dando vita ad una formazione armata del Partito d’Azione. Quando la situazione di Monte Morello cominciò ad ag­gravarsi per i frequenti rastrellamenti, la banda si divise in due : i comunisti raggiunsero la loro formazione di Monte Giovi, mentre Lanciotto avrebbe dovuto raggiun­gere Pippo (Manrico Ducceschi), che, collegato anche lui al Partito d’Azione, comandava una formazione di parti­giani nell’alto pistoiese. Con Lanciotto erano rimasti à partigiani trai piú giovani, compresi anche due prigionieri russi evasi dal campo di concentramento.
Avevano fatto tappa a Valibona, dove si trattennero forse píú del necessario, dato che Lanciotto, avendo saputo l’arresto di due suoi fratelli, voleva tentare di liberarli, anche a costo di organizzare un assalto a « villa Triste ». Traditi da un fattore delle vicinanze, la notte del 3 gen- naio vennero assaliti da una colonna di circa 600 uomini’.
Sorpresi nel sonno, furono circondati nel cascinale e fu loro intimata la resa. 1 partigiani reagirono con pron­tezza : si chiusero in difesa, passarono al contrattacco ed infine tentarono la sortita. Guidati da Lanciotto, riusci­rono a rompere l’accerchiamento dalla parte della mon­tagna, nel settore tenuto dai carabinieri, i meno accaniti ed i meno entusiasti del combattimento. Ma Lanciotto, un ufficiale russo ed altri due partigiani rimasero sul terreno : gli altri riuscirono a mettersi in salvo.
Cosí fu descritta la fase culminante dello scontro da uno dei sopravvissuti, nel rapporto presentato al comando militare del P. d’A. :
… lo personalmente e tutti i superstiti ed i nemici stessi possono testimoniare il comportamento eroico di tutti. Ma la figura emer­gente è stato Ballerini Lanciotto che a testa alta, impavido, audace, temerario con una bomba per mano, inseguiva i nemici mettendoli in fuga e terrorizzandoli — sembrava un eroe leggendario — gri­dava: squadra A. a destra, fuori le mitragliepesanti; squadra B. a sinistra, fuori i mortai d’assalto; avanti contro questi vigliacchi, mettiamoli in fuga — e come un leone eccitato dal combattimento trascinava gli altri — terminate le bombe, imbracciato il moschetto, si gettava verso la mitraglia fascista che lo fulminava a dieci metri — mi trovavo a cinque metri da lui — sparavo con la rivol­tella. Un altro giovane di Sesto, Vandalo, scamiciato, come un garibaldino in piedi correva a destra e a sinistra dove si riunivano i fascisti, fulminandoli a moschettate. Sono stati tutti bravi e dovranno essere fieri di aver preso parte ad un combattimento cosí impari ed in condizioni d’inferiorità come armi, come numero e come posizione… 2. 1
Fu questa la prima battaglia sostenuta dai partigiani che ebbe una notevole risonanza nell’opinione pubblica. Molti furono i morti (sul campo, od in seguito alle ferite riportate) nelle file fasciste, composte da militi di Prato (fra questi si diceva allora che fosse presente e attivo anche il noto campione ciclista Fiorenzo Magni dal battaglione « Muti » e da alcuni reparti di carabinieri.
Né il rastrellamento operato di conseguenza su tutta la zona intorno a Firenze, compresa fra la Calvana e il Monte Morello, distrusse l’attività partigiana. Le forma­zioni disperse si riformarono in zone limitrofe un po’ piú arretrate — come ad esempio il Mugello — e nella primavera successiva passarono all’offensiva, rioccupando il territorio perduto. Comunque, al principio dell’inverno 1944 — nonostante i rastrellamenti ed il crescente rigore della stagione — era lecito affermare che in qualsiasi dire­zione uno si avviasse, poteva imbattersi, entro un breve raggio di territorio, nelle zone controllate dai partigiani.
Erano queste formazioni partigiane che assalivano i convogli dei tedeschi, che interrompevano con atti di sabo­taggio le comunicazioni ferroviarie e telefoniche, che deva­stavano i magazzini di viveri. La loro attività non rientra nei limiti di questo studio e meriterebbe una trattazione organica a parte.

La lotta,partigiana a Firenze

clip_image002

La lotta Partigiana a Firenze
N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.
Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.
Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.
A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.
Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.
Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì
Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.
Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.
Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.
I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.
Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.
Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.
Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :
Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.
Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.
Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…
Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili
A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.
Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:
i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .

La lotta Partigiana a Firenze

clip_image002

La lotta Partigiana a Firenze

N°1

Fu l’azione militare dei comunisti. Costoro, non solo avevano organizzato le loro bande armate in campagna, ma avevano creato con i GAP una efficiente organizzazione terroristica in città, della quale si occu­parono soprattutto Alessandro Sinigaglia, Gino Menconi, Alvo Fontani, Elio Chianesi, Bruno Fanciullacci, Gino Tagliaferri.

Ogni GAP era formato da quattro o cinque elementi, uno dei quali era il « capo-gap », che manteneva contatti regolari e quasi quotidiani con i suoi uomini e con i dirigenti dell’organizzazione, vale a dire gli altri « capo­gap », nonché con Bruno Fanciullacci, il gappista piú audace, e con Elio Chianesi, il vero promotore e respon­sabile di tutto il gruppo.

Ogni GAP aveva una vita autonoma; i componenti, nel caso che non avessero propri mezzi di sussistenza, ricevevano uno stipendio dal partito; non conoscevano gli altri compagni dell’ organizzazione, salvo che l’impresa richiedesse la collaborazione di due GAP, cosa che avve­niva assai di rado. I gappisti venivano informati solo 24 ore prima del colpo da eseguire, studiato in anticipo, nei più minuti particolari, dai dirigenti. In certi casi erano appoggiati dalle SAP (Squadre di azione patriottica), che fungevano da « pali », da « segnalatori », reggevano la bicicletta e davano altra collaborazione di questo tipo.

A Firenze i gappisti veri e propri non superarono mai il numero di venti o di trenta al massimo. Come abbiamo visto, scontri con sparatorie e morti erano già cominciati col 15 di ottobre. L’ 11 novembre la cronaca dei giornali registra l’uccisione di quattro militi a San Godenzo di Prato e la notte stessa altri duefascisti vengono freddati a Sesto Fiorentino.

Ma la prima impresa gappìsta vera e propria (che è forse anche la prima di tutta Italia) fu l’attentato che costò la vita al ten. col. Gobbi, avvenuto la sera del 1 dicembre.

Il ten. col. Gíno Gobbi si era messo completamente a il servizio dei tedeschi ed aveva riordinato il Distretto Milire tare, affrettando il richiamo dei giovani di leva, che avrebbero dovuto servire nel ricostituito esercito fascista. sì

Per quanto concerne questa chiamata alle armi dei giovani del 1924 e del 1925, gli scrittori fascisti dicono che nell’Italia occupata dai tedeschi il numero di coloro che si erano presentati alla chiamata oscilla fra un minimo del 40% e un massimo del 98%, attribuendo questa percentuale così alta ai patriottici appelli di Grazìani e dì Gambara’. Il Ragghiantì invece nella citata lettera al Bauer, per la particolare situazione di Firenze e per i giorni in cui scriveva, dà una percentuale di presentati del 4 o del 5 % ‘. Purtroppo non si possono avere in merito cifre esatte, poiché le carte del Distretto andarono perdute e distrutte durante l’avanzata degli alleati, ma da informazioni assunte presso ufficiali e sottufficiali allora in servizio all’ufficio leva sembrerebbe che la media di coloro che si presentarono alla chiamata nella nostra città non abbia superato di molto, per l’anno 1943 – 1944, la media del 50%. C’è però da osservare che dì tutti quelli che si presentarono al Distretto solo una minima parte rag­giunse poi i reparti : la maggioranza, una volta regolata la propria posizione di fronte alle autorità distrettuali, con una scusa o con la fuga ritornava a casa, o si dava alla macchia.

Comunque i Distretto funzionava e l’aver messo in funzione l’apparato burocratico di questo ufficio merito, o demerito, del ten. col. Gobbi, il quale proprio per tale motivo, la sera del 1 dicembre, alle ore 19,30, fu ucciso con tre colpi di pistola davanti all’uscio della sua casa.

Questa prima impresa dei GAP destò un’impressione enorme nell’ambiente cittadino.

I fascisti, spaventati dall’audacia dell’azione e credendo di dovere stroncare con una vendetta indiscriminata il terrorismo rivoluzionario dei GAP, decisero di ricorrere ad un’impressionante rappresaglia. Nel corso di quella stessa notte, per iniziativa del prefetto Manganiello, si riunirono alcuni individui, che si autocostituirono in Tri­bunale Speciale. Erano costoro, oltre il Manganiello, il maggiore Carità, il gen. Adami Rossi, il luogotenente gen. della milizia Marino, il gen. dei Carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvocato Meschiari e qualche altro. Essi decisero, nonostante l’opposizione dei due che ab­biamo nominato per ultimi, la fucilazione immediata di 10 ostaggi da scegliersi fra i detenuti politici arrestati per misura precauzionale subito dopo l’8 settembre, allorché i tedeschi ebbero occupata la città. Ma di detenuti non ne erano rimasti che cinque, gli altri erano stati rimessi gradatamente in libertà e l’ultimo gruppetto era formato da questi infelici, che fra giorni avrebbero dovuto seguire la sorte fortunata degli altri. Anche di costoro — nell’as­senza del questore — il capo dell’ufficio politico della Questura non avrebbe voluto consegnare al Carità i fasci­coli personali, ma lo zelante dott. Zanti, con minacce lar­vate ai funzionari che opponevano ostacoli di procedura, fece si che la vicenda si risolvesse nel modo voluto da Carità.

Gli altri cinque ostaggi, che mancavano per comple­tare il numero di dieci, avrebbero dovuto essere scelti fra i membri del comando militare del C.T.L.N. già in pre­cedenza arrestati. Essi erano, secondo la richiesta di Ca­rità, Gritti, Frassineti, Barile, Mastropierro e Zoli, ma per buona sorte si trovavano già in mano alle autorità tede­sche, le quali — per la politica da loro adottata ;-prima fase dell’occupazione, che consisteva nello scaricare l’odiosità della violenza sui fascisti — con un pretesto qualsiasi si rifiutarono di consegnarli : benché la tecnica di fucilare gli ostaggi fosse di chiara marca nazista.

Cosí all’alba del 2 dicembre, nel poligono delle Ca­scine, senza nemmeno la formalità di una sentenza scritta, caddero soltanto cinque dei dieci ostaggi stabiliti. Caddero Luigi Pugi, Armando Gualtieri, Orlando Storci, Oreste Ristori, Gino Manetti. Erano anarchici e comunisti di vecchia data, reduci dalla guerra di Spagna e dai campi di concentramento francesi (i primi due si erano resi col­pevoli nel loro passato burrascoso anche di reati comuni); morirono tutti con grande coraggio ed eroismo. Mo­rirono cantando l’Internazionale. « Alcuni di loro non essendo morti subito, si contorcevano fra grida strazianti e sofferenze atroci. Allora il capomanipolo li fini, a colpi di rivoltella. Il sangue cominciò a scorrere sull’erba. Fu allora che il fratello del col. Gobbi, capitano dell’esercito repubblichino, trasfigurato dall’ira, gridò contro le vit­time: — Vigliacchi! Ringrazino Dio che sono morti alla luce del sole; mio fratello e stato ucciso stanotte, a tra­dimento, all’angolo di una strada mentre rincasava dopo avere compiuto il proprio dovere. — Dopo queste parole, alcuni militi fascisti si precipitarono contro le vittime, impugnando i moschetti ed esclamando fra bestemmie e imprecazioni: — Anch’ io voglio tirargli un colpol » ‘.

Fu proprio dopo la fucilazione degli ostaggi che il cardinale Elia Della Costa senti il bisogno ,,di rivolgere al clero e al popolo la seguente notificazione, pubblicata anche sui giornali del 5 dicembre :

Nelle affannose e trepide ore che viviamo è doveroso ufficio dei sacri Pastori rendersi portatori di pace e ministri di riconciliazione, come devono essere i vigili assertori della legge di Dio. Suppli­chiamo pertanto i sacerdoti e quanti sono costituiti in autorità ad adoperarsi perché, cessati i dissensi d’ogni genere che dividono il nostro popolo, si consegua quella interna pacificazione degli animi che è da tutti cosí intensamente desiderata.

Ogni cittadino sia esortato, anzi supplicato, ad astenersi da qualunque violenza. Mentre deve raccomandarsi umanità e rispetto verso i soldati e i Comandanti germanici, occorre avvertire che insulti, vandalismi, uso di armi contro chicchessia non solo non possono migliorare le condizioni ma le aggravano indicibilmente, perché danno origine a reazioni che in nessun modo debbono essere provocate.

Quanto alle uccisioni di arbitrio privato o a tradimento, ricor­diamo a tutti il 5° comandamento della legge: non ammazzare! e tutti scongiuriamo a riflettere che il sangue chiama sangue…

Pertanto rivolgiamo a tutti i figli dell’Archidiocesi supplice preghiera perché non rendano ancor piú triste questa triste ora della nostra storia. Se ognuno si crede sciolto da qualsiasi legge morale e civile e ritiene lecito il delitto, sarà aperta la via ai piú deplorevoli eccessi e a rovine non immaginabili

A questo punto è necessario ricordare che in genere i sacerdoti — soprattutto nelle campagne — si erano schie­rati con la Resistenza. Le belle canoniche e le belle pievi della Toscana si erano trasformate in asili per i militari sbandati e per tutti i perseguitati. Nei conventi e nei mo­nasteri si nascondevano ebrei, ricercati dalla polizia poli­tica, prigionieri alleati. Non di rado vi si raccoglievano viveri e munizioni per le bande armate; non di rado la canonica di un paesello sperduto divenne la sede di un comando partigiano.

Rarissimi in Toscana furono i seguaci di don Calca­gno, come Epaminonda Troia o come don Gregorio Bac­colini, il quale ultimo sulle colonne del foglio ufficiale della Federazione fascista scriverà parole che confermano appieno quanto sopra abbiamo affermato:

i preti dovrebbero essere inchiodati piú d’ogni altro cittadino alle proprie responsabilità. Non bisogna dimenticare che proprio essi sono i responsabili dello sbandamento morale…; sono essi che hanno influito notevolmente sul fenomeno macchia…; sono essi quindi che hanno sulla coscienza le fucilazioni esemplari che la giustizia fascista ha dovuto applicare .