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Giuseppe Bartoli – Una farfalla di cenere
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
Una farfalla di cenere
Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
– per non dimenticare -
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”
Giuseppe Bartoli – I MORTI ASPETTANO
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli – Un barattolo di latta
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
Un barattolo di latta
La stella dalla coda
aveva appena perso
l’ultimo filaccio
ancora pregno di sangue
Adesso il mondo
poteva piangere
rannicchiato
fra gli spigoli
delle case arse
Ma un bambino
aveva tanta
tanta voglia di vivere
di correre sulla rugiada
che non appassiva più
sulla terra dischiusa
Cercava un barattolo
per giocare a palla
per capire dal suono
di quel giocattolo
che rideva fra i sassi
che il macello era finito
Ma nessuna luna d’argento
– rotolava -
sul grembo della terra
e allora spense
i suoi piedi nudi
fra spine di pietra
e diventò subito un uomo
Giuseppe Bartoli – Un ragazzo dagli occhi di sole
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
Un ragazzo dagli occhi di sole
Sono tornato dove un ragazzo
dai grandi occhi di sole
ha maturato le sue radici
Sono tornato dove abbiamo
sepolto la nostra giovinezza
e dove il nome di battaglia
nasceva tra bagliori di fuoco
Ed ho ritrovato la mia estate
L’estate dei ramarri sui muri
la fionda dall’elastico rosso
i piedi scalzi color di terra
e tutta la luce del giorno
a tingerci d’ambra le mani
Qui “giocavamo” alla guerra
fra siepi di rovi e di more
dietro lo scudo delle foglie
povera “canaglia” della libertà
inerme come grembi di colombe
Raccogliemmo morte e mirtilli
e tra cappotti di lune rosse
rubammo l’oro alle lucciole
Quando tua madre ingobbita
come la collina che ti colse
soffocò l’urlo e i singhiozzi
nella “tana” d’uno scialle nero
per te cantarono le cicale
e si schiusero nidi di viole
C’era un profumo di ginestre
nel cielo della tua ultima estate
Ora ti guardo senza piangere
compagno dagli occhi di sole
e mi chiedo se non fu fortuna
quel tuo andartene allora
col freddo sudore di morte
sul tenerume delle labbra
ancora ebbre di latte materno
Te ne andasti e forse fu meglio
perchè adesso solo le pietre
urlano come monumenti nudi
e perchè ragazzo senza nome
siamo ormai pochi a ricordare
il “sorriso” delle tue tenere vene
che si svuotavano come calici
per l’ultimo brindisi alla vita.
Giuseppe Bartoli – Una farfalla di cenere
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
Una farfalla di cenere
Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
– per non dimenticare -
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”
Giuseppe Bartoli – La disfatta
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
LA DISFATTA
Io non ho perso la guerra
quando combattevo
nella nuda terra africana
seppellito come un pidocchio
dentro una gabbana
fatta di sabbia e di sete
mangiando cavallette
Io non ho sporcato
l’argento delle mie stellette
nella steppa russa
mordendo con dente di lupo
le ossa condite di ghiaccio
dei miei fratelli caduti
Io perdo ancora la guerra
tutte le volte che penso
a me e agli altri ragazzi
che col fucile in mano
tenevamo Anna Frank
sepolta in una soffitta
E fra l’occhio spento del cielo
e l’odio assassino della terra
l’ebrea costruiva col sangue
quel monumento di pace
che schiaccia ancora adesso
l’anima di tutti i boia
Quella si che fu la vera disfatta
il marchio d’una sconfitta
che mi urla sempre addosso
con una bocca larga
come una camera a gas
Giuseppe Bartoli LA MÖRT ED CURBERA
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
LA MÖRT ED CURBERA LA MORTE DI CORBARA
I s’arbuteva coma spig’d grân Si rovesciavano come spighe di grano
cun del biastèm che pareva preghir con delle bestemmie che sembravano preghiere
e vers e’ zêl e verso il cielo
pal’d s-cióp spudedi fra i dént palle di schioppo sputate tra i denti
l’andeva e’nom’d Maria e chietar sént andava il nome di Maria e degli altri santi
E prèm a caschê e fo Curbera Il primo a cadere fu Corbari
e par la bòta e per il tonfo
o tremê la tëra e o fo sobit sera tremò la terra e fu subito sera
A lé stuglé, ribèl senza pio’ él Lì disteso, ribelle senza più ali
u raspeva da e’ mêl raspava dal male
cun cla manaza grânda e cuntadéna con quella manaccia grande e contadina
……. bôna l’era la tëra ……….. ……………… buona era la terra
grasa e féna ……………. grassa e fine
Raspa Curbera, raspa stvò truvé Raspa Corbari, raspa se vuoi trovare
l’eteran cunzem dla libartê: l’eterno concime della libertà:
e’ sangue rumagnöl il sangue romagnolo
cla imbariaghê ogni côr che ha ubriacato ogni cuore
Strèca, strèca la tëra Stringi, stringi la terra
l’è sèmpar cl’udôr è sempre quel profumo
l’è sèmpar l’amôr dla stesa mâma è sempre l’amore della stessa mamma
cut fa da lët pövar fiol’d Rumâgna che ti fa da letto povero figlio di Romagna
Strèca ed elza la tësta, so canàja! Stringi ed alza la testa, su “canaglia”!
L’as drèza la camisa sanguneda Si alza la camicia insanguinata
la pê ôn lôm a Mérz, lôm’d premavera sembra un lume a marzo, lume di primavera
l’è bèl finì e’ su dé par na bangera è bello finire la vita per una bandiera
E cvànd che la prema sfója’d sôl E quando la prima sfoglia di sole
la spôrbia d’ôr tota la campagna spolvera d’oro tutta la campagna
e’partigiân e mör il partigiano muore
Bsén a lô ôn pòpul’d cuntadén Vicino a lui un popolo di contadini
o prega e o biastèma a tësta basa prega e bestemmia a testa bassa
Sôra a lô na bânda d’asasén Sopra di lui una banda d’assassini
la rid cun la vargôgna in faza ride con la vergogna in faccia
E’ sôl c’nas e dà vita a la brèza Il sole che nasce da vita alla brezza
nud coma Crèst, inciudê tna trèza nudo come Cristo inchiodato in una treggia
e pasa per l’amiga campâgna passa per l’amica campagna
l’ultum re dla muntâgna l’ultimo re della montagna
Brigant dla libartê e preputént Brigante della libertà e prepotente
ma s-cét com l’è s-cét la su zént ma schietto come è schietta la sua gente
s-cét coma i nost dê pasê bsén el stël schietto come i nostri giorni passati vicini alle stelle
fra e’ piânt’d mâma e cvèl de parabël tra il pianto di mamma e quello del parabello
(1) Silvio Corbari, medaglia d’oro della Resistenza.
Giuseppe Bartoli – I MORTI ASPETTANO
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Giuseppe Bartoli – DISCORSI D’ALLORA
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Giuseppe Bartoli – A CRESPINO
Pubblicato da toscano
Giuseppe Bartoli
A CRESPINO
Vennero i giorni della primavera
La terra si coprì d’allegria
cantò tutti i colori del cielo
andò a piangere sui seminati
Nell’antica valle del Lamone
fiorì il natale sacro dei ciliegi
e le spighe in curva preghiera
baciarono il rosso dei papaveri
I campi non furono più tristi
quando sopra sbocciarono gentili
le rose selvatiche del maggio
Nessuno parlava di morte
fra le spine dei rossi lamponi
Ma la morte era in ogni pietra
nel filo dell’erbe e delle foglie
La morte vagava lungo il fiume
negli occhi delle bestie inquiete
nel taglio affilato della scure
E venne il giorno del martirio
sull’inerme cuore contadino
sulle mani rotte dal lavoro
sulla vanga ancora impastata
di buona terra e sacro sudore
Quando i barbari furono pronti
tacque il mormorio dell’acque
e una nube scura salì al cielo
a nascondere la rosa del sole
Le mani strinsero altre mani
Le parole e un pianto disperato
narraron sogni e favole smarrite
e negli occhi grandi delle madri
si posò il bacio dei figli
E l’ultimo pensiero andò lontano
ai fuochi spenti alla terra arata
all’oro reciso delle spighe
e ai giorni senza più domani
ai canti che si spegnevano
a loro che salivano il Calvario
e a noi, a noi, che siamo rimasti
a cogliere i frutti d’una stagione
nata da vittime innocenti
Era l’intera valle delle Scalelle
e dei castagni sacri a Campana
che consumava l’ultima ora
Non li chiamavano per nome
per non spaccare la cesta dell’odio
Un cenno, una spinta, un urlo
e la morte li coglieva sul petto
unendo il gemito di chi andava
all’angoscia di chi attendeva
Il campo diventò bara immensa
nel tiepido meriggio estivo
Noch ein! Noch ein! Noch ein!
Ancora uno! Ancora uno! Ancora uno!
E un colpo dopo l’altro
rompeva il grido della carne viva
e il sangue si fondeva in grumi
nel rosario dei ceppi delle mani
nella coppa umida della terra
Quando il silenzio raccolse dai pendii
l’ultimo colpo e l’ultimo grido
– lontano -
oltre la malinconia dei roveti
un requiem di coralli accesi
si scaldava al lume delle case
e noi,, noi, quelli ancora vivi
attendevamo un “nuovo” mattino