La Battaglia dell’Ospedale Maggiore III° Parte

La Battaglia dell’Ospedale Maggiore

III° Parte

Le istruzioni erano queste: sorprendere il nemico, che si credeva vittorioso della « base » del Macello, con un’azione a fondo, rapida, potente. Per fare ciò bisognava accerchiarlo parzialmente, poiché era inutile cercare di trattenerlo data la sua superiorità numerica che raggiungeva i 1.500 uomini circa, e colpirlo con estrema energia non lasciandogli il tempo di capire cosa stava accadendo e quindi di rimettersi.
L’azione doveva svilupparsi su quattro colonne di uomini, che, per strade diverse, avrebbero raggiunto Porta Lame, concentrando sul grosso del nemico tutta la potenza del loro fuoco.
Il distaccamento di Anzola avrebbe attaccato sul viale Silvagni mantenendone il controllo per impedire l’arrivo a sorpresa di rinforzi nemici; ed era l’ala sinistra dell’offensiva.
Il distaccamento di Castelmaggiore e quello di Castenaso avrebbero, raggiunto la Porta direttamente da via Lame; poi il « Castenaso », per via Azzogardino, doveva sfondare sino alla base accerchiata.
Una squadra poi si sarebbe portata in via Rondone, rappresentante l’estrema destra dell’attacco, per impegnare le forze asserragliate nel Dopolavoro Tabacchi, che erano le più difficili da sloggiare e rappresentavano l’ostacolo maggiore per il raggiungimento della « base » del Macello.
Alle 18 i distaccamenti entrarono in azione di slancio. « Sugano », che conduceva i Gap di Anzola, raggiunto il viale Silvagni, lascia il grosso dei suoi uomini a piazzare le armi pesanti contro le macchine che provengono da Porta S. Felice e avanza invece verso Porta Lame con un gruppo di Gap. A trenta metri dalla Porta grida piú forte che può, per farsi sentire e spaventare i fascisti: « I mortai stiano fermi, entrino in azione le mitraglie, il primo plotone resti al suo posto; il secondo blocchi via Lame e via Pier Crescenza ».
Adesso i mitragliatori appostati su viale Silvagni sparano con fuoco intenso. Una decina di macchine fasciste e tedesche provenienti da Porta San Felice verso Porta Lame, colpite e crivellate dai colpi, prendono fuoco: ardono come enormi torce illuminando di vivi bagliori la piazza. Poi, a un secondo ordine, le mitragliatrici dirigono un tiro basso e fitto proprio su Porta Lame per coprire la squadra di « Sugano » che avanza strisciando.
I Gap adesso sono a una decina di metri dalla Porta. « Poldo » grida ai mitragliatori: « Cessate, il fuoco! », ma il fuoco continua ancora per parecchi minuti. Poi smette.
« Sugano » e i suoi sono a quattro metri dalla Porta. Intorno si è fatto silenzio. Allora i Gap si alzano in piedi: davanti a loro sulla piazza, intorno alla Porta, si vedono numerosi fascisti e tedeschi. Qualcuno li scorge e grida: « Chi siete, ragazzi? »
S.S. », risponde « Sugano ». « Bene, anche noi ».
« Boccaccio » incomincia a rafficare con violenza imitato dagli altri e « Sugano » lancia sotto l’arco della Porta due bombe a mano tedesche: ne saltano fuori pezzi d’automobile. « Boccaccio », allora, s’affaccia dentro sempre sparando: seduto sui resti di un « anfibio » c’è un ufficiale germanico morto.
I nemici stanno fuggendo. Arrivano ancora due macchine che i Gap accolgono a colpi di mitra. Una di esse sbanda e va a sbattere contro una casa. Poi ecco un’altra macchina. « Tobia »-, pronto, le butta contro una bomba a mano tedesca e la blocca: l’autista cade in avanti sul volante, premendo il clacson che urla con un suono continuo e straziato. Nella macchina però un tedesco è ancora vivo e spara: un’altra bomba di « Sugano » dirompe la macchina e la fa incendiare.
Intanto, provenienti da via Lame, già da un po’ erano arrivati i distaccamenti di Castelmaggiore e di Castenaso, facendo la loro parte attiva nella battaglia. « Bill » e il « Monello » erano alla testa dei propri uomini. Sulla loro strada folti gruppi di nemici sorpresi si erano ritirati precipitosamente, ingombrando il terreno di morti.
La parola d’ordine di quella notte risuona ormai da ogni parte: Garibaldi combatte! A Porta Lame tutti gli uomini s’incontrano. I tedeschi e i fascisti hanno piantato armi e automezzi e sono fuggiti. Evidentemente non si attendevano, alla fine di una giornata come quella, una ripresa cosí impetuosa delle forze gappiste. Altri camion intanto sono stati incendiati. Su Porta Lame, per il grande rogo, il cielo rosseggia.
Era una grande vittoria, una vittoria in campo aperto: il nemico era stato vinto e messo in fuga dove piú si sentiva sicuro, un nemico di molto piú potente per numero e per mezzi. Ma non si trattava di una vittoria militare soltanto, si trattava piú ancora di una vittoria in cui il valore della Resistenza e della sua forza, per chiara dimostrazione, appariva ormai come l’elemento decisivo della nuova storia d’Italia.
Qua e là rimanevano ancora dei gruppi di fascisti spauriti e tremanti. A Porta Lame, dietro alcuni mucchi di sabbia, nel buio, si erano rannicchiati una decina di repubblichini. « Bill » guarda in quella direzione, distingue qualcosa, ma non capisce. Allora domanda: « Sono tutti nostri quei morti? » E, cosí dicendo, si avvicina insieme con un altro Gap e con la « Germana », anch’essa armata di mitra. I fascisti terrorizzati sparano, ma senza danno. I tre Gap in un attimo li riducono al silenzio. Il « Monello » non resta molto presso la Porta. Coi suoi uomini ritorna indietro per via Lame e infilando via Azzogardino si porta alla « base » del Macello. Dei difensori nessuna traccia. Allora i Gap inquieti si mettono a cercare in giro e a chiamare per nome i compagni: « Aldo! », « William! », « Libero! ». Ma nessuno risponde.
I gappisti sono padroni assoluti della situazione. Le perdite del nemico sono state forti: piú di 200 sono i suoi morti. I Gap hanno avuto 12 caduti: Pddone Baesi, Oliava Bosi, Nello Casali, Enzo Cesari, Ercole Dalla Valle, Guido Guernelli, John Klemlem, Ettore Magli, Rodolfo Mori, Alfonso Ricchi, Alfonso Tosarelli, Antonio Zucchi. Cessati gli spari, i partigiani dànno loro sepoltura tra le macerie. E’ notte alta, ormai. La luna è apparsa tra le nuvole in corsa. Il tempo passa, ma il nemico non si fa piú vedere. Ne ha avuto abbastanza.
Ora bisognava ritirarsi. Purtroppo il piano della ritirata non è stato studiato altrettanto bene quanto il piano d’attacco. Non è semplice sistemare in città 230 uomini circa e con dei feriti da curare per giunta. Comunque si procede anche a questa operazione avviando gli uomini nelle vecchie « basi ». Il concentramento maggiore viene fatto alla Bolognina.
Certo non era prudente ritornare nelle « basi » già abbandonate. Alcune infatti erano « basi » malsicure e si poteva immaginare che i fascisti e i tedeschi, umiliati dalla sconfitta, avrebbero rovistato nei giorni seguenti tutta la città per mettere le mani sui partigiani. E difendere una « base » attaccata da forze soverchianti non era cosa facile. A parte il combattimento del Macello, i Gap, nella loro esperienza di lotta, avevano dei tristi ricordi al riguardo. Proprio allora, poco piú di un mese prima, una delle loro « basi » era caduta per un attacco di sorpresa e sei tra i migliori Gap del distaccamento cittadino ví avevano trovato la morte. Era la « base » di via Ponte Romano, alla periferia di Bologna : una casetta a un piano che aveva sul fianco alcuni giuochi di bocce cintati di rete metallica. Nella « base » c’erano quattro Gap: « Tito » (Angelo Castagnini), « Rada » (Sergio Galanti), -% Ezio » (Roveno Marchesini), « Renato » (Renato Martelli); e c’erano anche -due staffette: Ada Zucchelli e Irma Pedrielli. Si era trattato di una « spiata ». Fatto sta che i fascisti arrivarono con un motocarro, in una decina, e attaccarono subito. I Gap avevano pochi colpi a testa. Cosí tentarono una sortita: « Rada » e « Renato » morirono appena fuori della porta, gli altri furono fatti prigionieri, torturati e fucilati qualche giorno dopo al Poligono. « Tito », che era rimasto a sparare da una finestra per proteggere la sortita dei compagni, fu arso, insieme con la casa. Era stata una delle perdite piú gravi e dolorose per la 7′. Ed ora, chiusi nelle « basi » vecchie, i gappisti finivano per riandare col pensiero a tutti i fatti degli ultimi tempi che avevano qualcosa di simile con questo e non ne traevano buoni presagi.
La « base » di via Lionello Spada 5 è piena di feriti: c’è un medico austriaco disertore che li cura. Ma quando il giorno dopo « Pino », il dottore inviato dal C.U.M.E.R., si presenta, alla vista dei feriti rimane senza parola: sono una decina di uomini buttati su giacigli improvvisati e coperti di bende insanguinate. In terra ci sono alcuni catini colmi d’acqua rossastra. Feriti al ventre, alla testa, con gambe e braccia spezzate, gli uomini tuttavia non si lamentano. Non è possibile però lasciarli lí. Cosí « Pino » ne organizza il trasporto.
Il noto corridore di moto Guglielmo Sandri, che possiede una piccola officina dove tra l’altro ripara le macchine dei tedeschi, richiestone da « Pino » si offre di guidare personalmente una macchina del Comando germanico per trasferire i feriti. Non è la prima volta che fa cose del genere. Cosí viene la notte e il trasporto incomincia. Il medico austriaco, in divisa, sta sul predellino e risponde in tedesco alle pattuglie che di notte perlustrano la città. Fanno alcuni viaggi. I feriti sono portati nella Villetta Romiti, in via Duca d’Aosta.
Un gruppo di uomini validi, dopo il trasporto dei feriti, si trasferisce in Piazza dell’Unità, in un palazzo che fa angolo con via Tibaldi. Sembra che il piú brutto sia passato. Si parla della lotta di Porta Lame e della vittoria ottenuta, si discute sulle azioni future, si pensa alla liberazione.

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