Mamma Milka – Emilio Rubera

Mamma Milka di Emilio Rubera

La mia sentita e franca amicizia verso la stragrande maggioranza del popolo montenegrino non è mai venuta meno. Ho sempre accarezzato col pensiero il ricordo ed i comportamenti, spesso fraterni, di quell’umile gente di diverse etnie e di diverse religioni.

I montenegrini sono in maggioranza ortodossi, non mancano i musulmani soprattutto nelle città e nei villaggi del nord-est. Pochi sono i cattolici.

– È un popolo che rispecchia visibilmente la natura della sua terra non certamente generosa verso i suoi figli per la struttura geofisica ove i monti e le valli, i boschi ed i fiumi, nello splendore del naturale sistema ecologico, sono i protagonisti nella formazione del carattere degli abitanti per l’orgoglio, la generosità e l’invidiabile senso civico. È un popolo quasi simile alla nostra gente del sud e delle isole. Se ti offrono amicizia puoi andare tranquillo. Riscuoterai amicizia la più sentita e sincera. Il loro motto può essere così sintetizzato: «Con l’amicizia e per l’amicizia non solo con la mente, ma anche e soprattutto col cuore».

Questo è quanto io posso testimoniare!

Questo brano, ispirato alla situazione venutasi a creare fra i popoli della ex Jugoslavia, ove lo scatenarsi di odi quasi tribali, di vendette e di atti della peggiore e feroce criminalità potrebbero portarci a credere di essere di fronte a gente primitiva, convincerà l’attento lettore che quanto sembra nella logica della vita degli slavi del sud, in realtà, pur nella gravità del momento, la gente umile soprattutto dei campi, ama la pace e la fraternità ed è contro lo strumentale furore liberticida in nome di errori commessi nel passato da personaggi senza scrupoli, pronti a fare scudo ai propri interessi ora con la differenza etnica, ora con quella religiosa.

Chi era Mamma Milka D.? Era una anziana vedova con quattro giovanissimi figli, caduti in povertà dopo la morte del marito introdotto nel commercio del posto. Mamma Milka è stata per me una seconda e autentica madre le cui premure verso questo giovane ufficiale non differirono mai da quelle che sarebbero state le attenzioni amorevoli della madre naturale.

In Andrejevica Milka D. riscuoteva il rispetto e l’affetto di tutti. Era una donna con un carattere dolce, ma ferma nei suoi doveri di madre. Quando sorrideva esternava tanto affetto che ti metteva a tuo agio.

Spesso silenziosa perché presa da molti pensieri seri e non certo invitanti alla tranquillità. Io avevo trovato alloggio presso questa famiglia la cui abitazione era prossima al Comando di battaglione.

Come dimenticare le continue premure ed attenzioni non solo per me, ma anche, e direi soprattutto, per il mio portaordini Montanarella.

In qualsiasi circostanza mi dimostrava affetto che ricambiavo religiosamente e non senza commozione nel pensare che ero uno straniero occupante della loro Patria.

I figli, tre femmine ed un maschio, erano stati educati al rispetto ed alla fraternità. A loro riservai tutta la mia ammirazione e la mia solidarietà ed anche il mio aiuto quando mi accorgevo che, a mezzogiorno, spesso la tavola era spoglia. Si sappia che mai nulla ho sottratto dal magazzino militare anche perché, se devo essere sincero, il magazzino civile era sempre ben fornito e non solo di generi di prima necessità.

Ricordo che da Firenze mia madre e mia sorella mi avevano informato che papà si trovava gravemente ammalato e che non riuscivano a trovare lo zucchero. Il magazzino civile di Andrjevica ne possedeva tonnellate, tutto proveniente dall’Italia.

Quella famiglia era diventata la mia seconda famiglia. Non esisteva differenza, la stima era reciproca e l’affetto era il comune denominatore.

Spesso mi assentavo per ragioni di servizio per vari giorni, mai mi fu chiesto dove andavo e per quale motivo uscivo con la mia compagnia dal paese. Al rientro Mamma Milka mi veniva incontro e sulle scale mi chiedeva come stavo e se avevo bisogno di qualcosa. Era la medicina per lo stress causato dalla fatica e, spesso, da lugubri pensieri.

Le tre figlie si chiamavano Lyuba, Draga e Milena. Lyuba era la maggiore – sui vent’anni – non bella, però dolce e affettuosa come la madre. Draga e Milena, più giovani, ma con identico carattere, cioè dolce. Tutte e tre mi volevano bene, bene che io ricambiavo nel rispetto più assoluto soffocando certi stimoli derivanti dalle esigenze dei miei 22-23 anni. Il maschio, Bojo, era sempre in preda alla diffidenza ed alla timidezza. Accettava con riserva la mia amicizia per quel complesso tutto maschile di dover dimostrare, in famiglia, di essere l’uomo.

Venne il momento, purtroppo, della partenza del battaglione. L’inverno era alle porte (1943/44), un inverno che si annunciava rigido e nevoso. La meta da raggiungere era la Bosnia. Informai, ricordo, Mamma Milka di questa novità come educazione mi imponeva. Mamma Milka, con molta evidenza, accusò sinistramente questa notizia. Divenne scura nel volto e dimostrò grande apprensione. Non diedi, ricordo, molto peso alla casa adducendo, come consolazione, che, purtroppo, la guerra è la guerra ed i soldati hanno il dovere di obbedire. Pensai che Mamma Milka si preoccupasse forse per la perdita del mio aiuto materiale nella conduzione di una famiglia così gravosa e in stato di semi povertà.

Venni a sapere, più tardi, che quello non era il motivo. Mamma Milka conosceva la Bosnia e sapeva soprattutto cos’era la Bosnia d’inverno. Era preoccupata per il suo Milane, come dolcemente mi chiamava, per il mio domani in quel precipitare degli eventi non certamente favorevoli al soldato italiano.

Seppi la verità dopo alcune settimane. Prima di partire, Milka mi venne incontro con le lacrime agli occhi e mi disse: «Prendi questa roba e mettila nello zaino. Fui preso dalla commozione nel constatare che di nascosto erano stati confezionati un paio di calzettoni di lana pura, un maglione, un paio di guanti ed un passamontagna. Tutti indumenti da lei lavorati nottetempo ed alacremente non conoscendo la data della mia partenza.

Abbracciai quella vecchia signora con le lacrime agli occhi augurando a lei e ai figli un migliore domani.

Perché ho voluto raccontare anche questa commovente storia vissuta in prima persona? Semplice: i soldati italiani in Jugoslavia avevano trovato migliaia di Milke, migliaia di madri e da loro, molti, sono stati sfamati e curati quando il tifo petecchiale attentò crudelmente alla nostra vita.

Quelle madri ortodosse, musulmane e cattoliche sentivano amore e solidarietà verso quei giovani come se fossero i loro figli, dimostrando così un sentimento ed un cuore simili alle madri che in Italia piangevano per i loro figli.

Ed allora? Quei popoli si odiano? No! L’odio ha tarato, purtroppo, la mente di pochi criminali assetati di potere che, come sempre è avvenuto, giocano sinistramente con l’ignoranza della gente umile e laboriosa.

31 ottobre 1996

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