Una gloriosa battaglia

"Messeri", 29 luglio 1944:

Una gloriosa battaglia

Mentre eravamo lì al Cerchiai una sera venne su una pattuglia di un altro distaccamento insieme a un uomo vestito da prete. Preciso: uno in abiti talari. Non ho mai saputo se fosse stato effettivamente un prete o meno. Si giustificarono: "Mah, ci ha chiesto di venire dai partigiani: se qualcuno avesse bisogno di un’assistenza religiosa e s’è portato". Questi ragazzi non erano dei miei, ma anche loro avevano lo stesso ordine valido per tutti: nascondersi. Con l’altro distaccamento c’erano due ragazzi algerini cattolici, ex militari dell’esercito francese fatti prigionieri, poi scappati e venuti coi partigiani. Questi gli chiesero se la mattina seguente potevano venire a fare la comunione. A me la cosa non tornava, non volevo interferire, scavalcare il loro comandante, ma mi sentii in dovere di redarguirli. Avevano trasgredito l’ordine: avevamo i tedeschi all’uscio di casa ed eravamo nel pieno dei preparativi per scendere a Firenze! Ecco cosa successe l’indomani mattina. Giovedì 29 luglio 1944: alle sei iniziarono a piovere sulle nostre teste delle belle cannonate. Ce le tiravano i tedeschi, distanti mezzo chilometro. Fu un brusco risveglio: eravamo tutti pronti per la marcia verso Firenze. Ognuno rullava il sogno di riabbracciare le famiglie, i propri cari, tornare nella sua città, a casa sua: ma il sogno fu infranto dall’attacco tedesco. Una colonna di automezzi nemici si era spinta fino al Cerchiai. I piani di Brunetto e Moretto rischiavano di saltare. Una pattuglia in perlustrazione avvistò il nemico all’alba. Subito inviato l’avvertimento di quanto stava accadendo al comando di brigata. Ma autoblinda e i mortai tedeschi martellavano la zona a tappeto.

Senza tregua, un uragano di fuoco si abbatté sulla compagnia di Penna e sul distaccamento di Fumo, che erano stanziati al Messeri, la casa dove erano stanziati i due gruppi. I garibaldini reagirono subito, ingaggiando battaglia coi tedeschi. Le avanguardie fecero di tutto per contrastare l’attacco nemico, al fine di impegnarlo :rattenerlo fino all’arrivo delle altre formazioni partigiane dislocate in zona.

In un articolo di giornale dell’epoca, intitolato La Caiani, una delle Brigate di Potente, Leandro Lastrucci così scrive in merito all’episodio:

… L’urto tra quel reparto di animosi e il nemico ha del leggendario. L’obiettivo prefissato dai partigiani, di tenere il nemico a distanza, fu ottenuto col sacrificio del "Rosso". 1 tedeschi non poterono far altro che far fuoco fino a sera, rimanendo a distanza. Questo grazie all’ardimento e all’esperienza dei veterani della montagna, che anche in questa occasione versarono il loro tributo di sangue. Secondo i dettami della guerra partigiana, con violente raffiche da più parti, in modo da rendere caotica la situazione, pochi uomini tennero inchiodate, per un’intera giornata, forze di gran lunga superiori, dando la possibilità al grosso della formazione di sganciarsi brillantemente. E se l’animosità di quei pochi non avesse sorpassato i limiti, certo non avremmo registrato la sola perdita di un compagno e il ferimento di altri.

Questo fatto d’arme non è salito alla ribalta né sulle cronache né tanto men, nei libri di storia, non ha avuto riconoscimenti ufficiali e mai ne avrà. Tuttavia, set bene rimasto nell’ombra della storiografia "ufficiale" e accademica, questo scontro è ben impresso nel ricordo, nel cuore e nell’animo di uno degli ultimi, se no proprio l’ultimo dei protagonisti viventi, che lo conserva ben protetto, custodir gelosamente, nella sua splendida modestia. Ecco di seguito esposto il racconto ( quella battaglia fatto da Fumo, memoria vivente di quel fatto d’arme, narrato con la voce rotta dall’emozione, commosso, con gli occhi lucidi: perché quel giorno decise di immolare la propria vita pur di non cadere in mano nemica!

Io non voglio dar la colpa all’uomo in abito talare, non ho prove o elementi tali da poter dire che quello fosse una spia. Sta di fatto che il bombardamene sulle nostre posizioni coincise con la sua venuta tra noi. Quando i tedeschi avvicinarono si iniziò a sparare anche noi. La casa dove eravamo si chiamava Messeri. Il bosco era molto alberato, in fondo c’era la vallata e poi risaliva. Noi ci disperdemmo tra quegli alberi. 1 tedeschi non entrarono, evidentemente perché non erano di un reparto avvezzo ai rastrellamenti: quelli sarebbero entrati da tutte le parti. 1 tedeschi la guerra la sapevano fare molto, ma molto bene: era, addestratissimi. Tu gli potevi sparare addosso di tutto: ma loro non si spostano di un passo, tenevano la posizione a tutti i costi. Quello era forse un reparto in ritirata che aveva avuto una soffiata circa la presenza lassù di truppe partigiane. Queste sono mie supposizioni. Mentre siamo dentro al bosco i tedeschi iniziano a tirarci coi mortai. Tan! Pum! Bam! Mi avevano insegnato: "Quello che cerca, il cacciatore, l’è più in pericolo del cacciato: tu l’aspetti, lo lasci avvicinare a due metri e tu lo imbulletti. Lui non lo sa mica che tu sei dietro l’albero". Io ai ragazzi l’avevo detto, dopo averlo appreso da quelli più esperti di me. Si sentirono a un tratto i tedeschi che parlavano di fronte al bosco. C’era un polacco con noi, che faceva parte dell’altro distaccamento: un ex prigioniero che capiva il tedesco. Ci disse: "Loro dire ora portare cani’ Fu il panico: tutti si sparpagliarono disordinatamente. Urlai: "Fermi! Fermi’ Due o tre risalirono di là uscendo allo scoperto: uno di Sesto, il Giachetti, fu subito ammazzato. Altri due rimasero feritu, ma furono poi salvati. A causa del movimento incauto di questi tre i tedeschi, dopo averci persi, ci avevano ritrovato. In questi casi è fondamentale mantenere i nervi saldi ed eseguire gli ordini. Fare altrimenti può costare la vita: io son tornato vivo e so che in quei frangenti bisogna avere la massima attenzione. Un passo falso ti costa carissimo. Avevo ordinato: "State fermi, state fermi. Loro non scendano perché lo sanno meglio di noi che i cacciatori possono essere presi uno dopo l’altro. Da dietro un albero noi si vedono arrivare ma loro non vedono noi". Di nuovo riprese il tiro dei mortai sulle nostre posizioni. Noi fermi dentro al macchione: tutti sparpagliati. Io rimasto da solo, cercai di risalire per appostarmi tra gli alberi, nella speranza che qualcuno dei due o trecento uomini presenti al punto di raccolta dove era il comando intervenisse in nostro aiuto.

Mi trovai circondato dai tedeschi: li sentivo tutt’intorno. Avevo il Machinenpistole a tracolla, con solo due pallottole nel caricatore. Mi dissi: "Icché fo? Nulla". Prima di essere catturato dai tedeschi presi l’estrema decisione. Ero deciso a morire! Levai la linguetta, la prima sicura alla bomba a mano. Li sentivo girare intorno a me. Mi dissi: "Se s’affaccia un tedesco dalla parte di là della macchia la lascio andare e si va via tutti’ La mia bomba a mano era un’ananas inglese, che noi chiamavamo "piva". A differenza di quelle italiane, a questa si poteva reinserire lo spinotto una volta tolto. Aveva una leva che se non veniva lasciata impediva alla bomba di esplodere. Mi dicono: "Quando uno si ammazza gli ha perso il cervello". Non è vero: in certe situazioni siamo alla disperata. In me non c’era tanto la paura di morire, ma quella della tortura che non sopportavo. lo ero in pieno possesso delle mie facoltà: la decisione la presi con estrema lucidità. Per fortuna di là, tra le frasche, si affacciò uno dei miei che ci cercava: "Madonna!" esclamai alla sua vista. Rinfilai lo spinotto dentro il suo alloggio e mi rimisi la bomba alla cintura. Quando finalmente scese il buio i tedeschi si ritirarono. Venimmo tutti ritrovati da quelli del comando. Raccolsi tutti i miei anche i due feriti. Il morto venne portato via. A causa di questo intoppo arrivai al monte Giovi in ritardo, quando gli altri reparti avevano già iniziato la marcia verso Firenze: tanti erano già partiti. Per questo ci mettemmo in coda alla colonna. Coi miei c’era anche Moretto, il commissario politico della Brigata Caiani.

Così Leandro Lastrucci conclude il suo articolo:

Dopo l’unificazione delle sue formazioni, la Caiani poteva dirsi orgogliosa di aver scomodato per ben due volte il nemico; di essersi saputa sganciare come forza d’insieme dalla superiorità di armamento dei tedeschi; di avere al suo attivo un buon numero di tedeschi uccisi. Quella giornata di movimento servì a rinvigorire, rinsaldare gli animi dei vari reparti e a spronarli per la nuova fatica.

Tratto da

Fumo l’ultimo della Caiani

Di Pietro Gianassi

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