La battaglia nel rione di San Jacopino – 2 Parte

Agosto 1944 –

Firenze Insorge, si Libera e si Governa

La battaglia nel rione di San Jacopino

II Parte

 

La Contro offensiva tedesca non si ferma lungo la linea del Mugnone, inse­guendo i partigiani che ripiegano di casa in casa. Furiosi gli scontri avvenuti nella zona tra via Toselli e via Galliano; in uno di questi viene ferito gravemente Mario Del Monaco (Comandante della Terza Brigata Rosselli attestata prima dell’ inizio delle ostilità con la Prima Compagnia, in via P.L. da Palestrina presso il Convento delle Suore Canossiane, dove si era insidiato anche I’ Ispettore della Seconda Zona, il Tenente democristiano Luigi Trenti. Li succede subito al Comando della Brigata il Tenente Marziali che purtroppo di lì a poche ore cadrà in combattimento.

Forti continuano i combattimenti per tutta la giornata e molte sono le perdite della Brigata, ora al Comando dci Tenente “Marcello”, sostítuíto in seguito dal Tenente Furío Sampolí.

Una testimone di questi scontri, Margherita Muccìni, che all’ epoca abitava in via Monteverdi al 19 e che si prodigò nell’ aiuto ai partigiani feriti, portandoli nella sua casa, ci parla di un momento di quel drammatico pomeriggio dell’ undici agosto: <Mi fò corag­gio. Prendo una scaletta lunga e leggera (mi serve per salire nel soppalco) e, aperta la porta, traverso la strada. Una scarica di colpi. Mi tocca lasciar cadere la scala e tornare indietro, ma di li a poco esco di nuovo, appoggio la scala al muro, salgo mi fò scorgere. Ho una bottiglia di Cognac. Mi hanno vista e io vedo loro. Sono tutti più o meno feriti. Quello per terra sembra morto. Uno di loro vien sù, si affaccia sulla sporgenza del tetto, afferra la bottiglia. Colpi di cecchino. Io sono ancora lassù sulla scala. Alzo la voce, e loro finalmente mi intendono quando dico loro di ripararsi in casa mia. Mi fanno cenni: hanno capito. Ma il cecchino pure sembra aver capito e spara mentre io discendo, mentre loro salgono uno alla volta trascinandosi dietro quelli che non possono farlo da soli. Ho lasciato la porta spalancata. Ora attraversano la strada come tanti gatti inseguiti, entrano senza una parola e si buttano, dopo avere attraversato la sala barcollando e sorreggendosi, dovunque trovano un posto da sedersi. Sono tutti più o meno feriti. il sangue cola e macchia dappertutto; sono sette o otto (chi si ricorda quanti era­no?). Sono partigiani: Brigata Rosselli e c’ è anche il Capitano: Del Monaco, che non sò come abbia fatto ad arrampicarsi sulla scala e a ridiscendere dall’ altra parte, con l’anca fracassata ed il piede così gonfio che non riesco a togliergli la scarpa altro che a fatica. Non fà un gemito. E’ arrivata (abita poco lontano) la Signora Bonamici, è crocerossina, ed è lei che su un lenzuolo fa una grossa croce rossa e l’ appende alla finestra. Con altra biancheria prepariamo le bende per fasciare. Inutile però fasciare quello che è per terra; ha un buco fra la coscia e l’ inguine, un buco piccolo, ma che butta sangue come fosse soffiato dal di dentro. Si chiama Vacca, ed è della Sardegna. Me lo dice con un filo di voce, mentre con gli occhi chiusi e la bava alla bocca chiama la mamma … > .

E’ esattamente alle sedici che il Comando tedesco ordina il contro attacco contro la Terza Rosselli che è riuscita a varcare il Mugnone. I paracadutisti tedeschi, forti dell’ appoggio di un carro “Tigre” e più numerosi dopo aver ricevuto rinforzi, costringono i partigiani ad un continuo ripiegamento. Con la tecnica del contrassalto continuo i patrioti cercano di garantirsi nel modo migliore la ritirata; alcune squadre riescono a riunirsi e a raggiun­gere la zona di via Galliano e via Toselli, dove si appostano per organizzare la difesa.

Un altro nucleo di partigiani, con il compito di retroguardia, rimane così isolato dal grosso. In uno degli innumerevoli scontri il Capitano Nannoni, il Tenente Marziali, il Tenente Taiti e il Patriota Tedeschi rimangono fulminati dalle raffiche delle mitraglie tede­sche.

 

Come abbiamo appreso dal precedente racconto, inizia la minaccia dei franchi tiratori, che saranno gli ultimi ad essere eliminati. Uno dei primi partigiani ad essere colpito nel nostro quartiere cade in questo giorno: una squadra del distaccamento della “Sinigaglia” (comandata da Raffaello Ramat, none di batta­glia “Mauritias”), che opera nel nostro settore, viene inviata in perlustrazione in via Mercadante (che collegava i due capisaldi contrapposti, e cioè quello del “Casone dei Ferrovieri” e quello della Manifattura Tabacchi). li cecchino, appostato sul terrazzo dell’ ultima casa verso la Manifattura, riesce a colpire alla testa il Caposquadra “Berto” (Alberto Casini dell’ Antella) ferendolo gra­vemente. A niente gli è valso quell’ elmetto che poco prima aveva raccolto per strada, proprio con lo scopo di proteggersi dai cecchini. In questa prima giornata di combattimenti, che ha dato a molti patrioti il battesimo del fuoco, il fortilizio allestito al “Casone dei Ferrovieri” risulta efficiente: I’ organizzazione pa­triottica funziona con molto rigore e razionalità (grazie anche all’ indipendente struttura ad isola dell’ edificio, ed essenzialmente alla solidarietà dei suoi inquilini), riuscendo a divenire il punto centrale di tutto il movimento clandestino della zona. L’ efficienza dell’apparato logistico del “Casone” verrà messa alla prova anche nei giorni successivi, fino all’ espugnazione del vicino fortilizio tede­sco (la Manifattura Tabacchi), ma già all’ inizio può contare su un buon magazzino viveri (alimentato in precedenza anche da alcuni contadini della vicina periferia), su un buon servizio sanitario (sotto la guida del Dottor Alberto Pardi, in seguito sostituito da Antonio Piccioli, con l’appoggio delle crocerossine José Cervelli e Maria Krobat, e da quattro porta feriti, due uomini e due donne). Non manca un’ efficiente commissione politica che provvede, dopo l’ arresto, a custodire in alcuni locali adibiti a prigione, i fascisti più pericolosi della zona.

Il “Casone” è presieduto in quei giorni da alcune Squadre S.A.P. al comando di Sante Ceccherini, un distaccamento della “Terza Compagnia Lanciotto” comandato da “Luciano” (Luciano Nati) e “Pietrino” (Pietro Corsinovi) giunti la mattina dell’ undici agosto; in seguito anche un Plotone della “Perseo” (I’ organizza­zione militare della D.C.) composto dal Comandante il Capitano Francesco Saverio De Gaudio, I’ ufficiale in seconda Rinaldo Bausi, tre sottufficiali, dodici partigiani e la staffetta Doretta Bonassoli, contribuisce ad aumentare l’organico militare operante al “Casone”.

Con l’arrivo della formazione partigiana democristiana si raf­forza il contingente difensivo al “Casone—, 1* armamento è suffi­ciente, i partigiani dispongono anche di fucili mitragliatori lanciati dagli aerei Alleati alle formazioni di montagna. I tedeschi, attestati alla Manifattura Tabacchi sono numericamente superiori e meglio equipaggiati, disponendo anche di un carro armato. <Giungere a quel grande edificio – racconta Rinaldo Bausi – non fu una cosa facile. In fase di avvicinamento fummo sottoposti ad una gragnuola di colpi. Strisciavamo lungo i muri, balzando di porta in porta per evitare le sventagliate. Una marcia piuttosto lenta. Uno dei miei uomini venne ferito ad una gamba. Tutti gli ingressi al “Casone dei Ferrovieri” erano controllati dal fuoco nemico e quindi raggiunge­re la posizione era un problema. Comunque ce la facemmo. Dentro all’ enorme edificio trovammo un reparto della “Lanciotto” co­mandato da Pietrino e alcune S.A.P. comandate da Ceccherini. li “casone dei Ferrovieri” – ricorda ancora Rinaldo Bausi – era una specie di fortilizio. Alle finestre e sulle terrazze erano stati disposti molti sacchetti di sabbia dietro ai quali ci riparavamo per non essere colpiti mentre ci scambiavamo colpi con i tedeschi asserragliati alla Manifattura e lungo il Mugnone. Insomma, era un vero e proprio fortilizio il “Casone”. Ma non ci limitavamo a scambiare fucilate dalle finestre. Vi erano anche azioni di pattuglia alt’ esterno, dall’ una e dall’ altra parte. Più volte, ad esempio, il nostro fortilizio, chiamiamolo così, rimase isolato perchè i germanici facevano puntate controffensive e ci superavano>.,

 

Per la prima volta, sul fronte del Mugnone, formazioni comu­niste e partigiani cattolici combattono fianco a fianco. Per molti è anche un impatto psicologico. Quando i democristiani fanno il loro ingresso al “Casone” trovano una organizzazione efficiente, tipica dello schema adottato dai comunisti durante la lotta clandestina e nel momento dell’ insurrezione. In un primo momento i rapporti tra i vari comandanti e gli uomini delle brigate nascono in mezzo alla diffidenza. I comunisti forse temono che la presenza dei parti­giani democristiani sia pressoché simbolica, poi, quando gli uni e gli altri si ritrovano gomito a gomito a rispondere al fuoco dei tedeschi, la diffidenza cade e comandanti e partigiani fraternizzano, i rapporti divengono sinceri, leali, di reciproco ri­spetto.

Nel “Casone” oltre ai nuclei partigiani ci sono decine di famiglie che abitano quegli appartamenti. Nel fortilizio sono assi­curati i servizi essenziali, tra cui una mensa (non e’ è acqua sufficiente per lavare le ciotole d’ alluminio e tutti mangiano nello stesso recipiente), un posto di pronto soccorso e addirittura una camera ardente per i caduti, con le bare disposte sui tavoli e dietro la bandiera rossa. < Tra i tanti ricordi – racconta ancora Rinaldo Bausi – vi è quello di quando il reparto della “Lanciotto”, comanda­to da Pietríno, cíoé Pietro Corsinovi, ricevé il cambio da un altro reparto della formazione. Appena quelli della “Lanciotto” misero piede fuori dal “Casone” i tedeschi aprirono un fuoco d’ inferno e noi, a nostra volta, sparammo senza tregua per coprire quelli della “Lanciotto”. I feriti – due miei uomini in quei giorni vennero colpiti – furono curati nella infermeria dello stesso “Casone”.

Rammento che la capo infermiera si chiamava Krobat. Per gli approvvigionamenti non dovevamo attendere aiuti dall’ esterno. Sarebbe stato impossibile far pervenire rifornimenti visto il fuoco nemico.

Il Comando di Zona aveva accumulato prima degli approvvi­gionamenti. La mensa quindi distribuiva una minestra calda agli uomini impegnati nella difesa del “Casone”. Tutto era stato, appun­to organizzato, prevedendo il “Casone dei Ferrovieri” come un centro di resistenza >.

Sulle gesta dei patrioti del “Casone” molti hanno scritto, ma qui preme riportare alcune frasi scritte da Luciano Casella nel libro “La Toscana nella Guerra di Liberazione”:<… I combattimenti davanti alla Manifattura Tabacchi, presi­diata dai nazisti, interessarono quel singolare centro di resistenza che fu costituito dal Casone dei ferrovieri. Lo spirito di lotta degli abitanti del Casone si espresse in manifestazioni considerate esem­plari in tutta la storia dell’ Insurrezione di Firenze. Esemplare proprio per quel tipo di partecipazione diretta e totale ai fatti d’ arme dei giorni dell’ Insurrezione che non ebbe in Firenze molti altri riscontri., o almeno non certo a tale livello, stando alla valuta­zione delle memorie e al giudizio di alcuni storici…

… Vi è pertanto più di un motivo che invita a riguardare con interesse

I’ avvenimento di lotta schiettamente popolare che prese il nome dal Casone dei ferrovieri. Una relazione del “Partigiano F.S. De Gaudio della Brigata Sinigaglia”, come egli si firma, fornisce dettagli appassionati di quel combattimento cui uomini e donne, tutta in genere quella comunità cittadina, parteciparono. Un reparto delle formazioni democristiane inviato in aiuto dal Coman­dante Nereo Tommasi, guidato dal Sottotenente Rinaldo Bausi, venne accolto con entusiasmo e con una disponibilità che ancora commuove, nel ricordo, quei combattenti…> .

Mentre in tutto il rione già dall’ alba imperversavano furiosi i combattimenti, verso le 10,30 di mattina, due pattuglie di dieci uomini ciascuna della divisione “Arno”, si apprestano per incarico del Comando Alleato che vuole conoscere lo schieramento tedesco, a guadare l’ Arno in due diversi punti della città. La prima tenta l’attraversamento all’ altezza di Rovezzano, la seconda dinanzi alle Cascine, presso a poco all’ altezza del Piazzale del Re.

1 tedeschi però, che proprio li vicino hanno uno dei loro maggiori fortilizi di difesa, bloccano la pattuglia aprendo il fuoco e uccidendo il capo squadra “Pantera”, costringendo così i patrioti a ripiegare portandosi la salma del loro comandante. Quasi contem­poraneamente, anche Giorgio Spini, un ufficiale italiano aggregato alla Ottava Armata, sta attraversando l’Arno molto vicino alla pattuglia partigiana. Egli riesce nell’intento. Arrivato però nei pressi di Porta al Prato, alcuni partigiani, forse scambiandolo per un ufficiale tedesco, lo bloccano con le armi spianate. Fortunata­mente fra questi Spini riconosce un amico e l’equivoco è subito chiarito.

Verso le 18,00, dopo continui spostamenti del fronte, seguiti da duri combattimenti, i partigiani riescono finalmente a fermare l’offensiva dei tedeschi.

Al termine della giornata la linea del fuoco è la seguente: via Ponchielli – via Rinuccini compresa la zona di via Ponte alle Mosse, tenuta da una compagnia della “Lanciotto”; via Galliano – via Lulli e piazza S. Jacopino tenuta dalla “Terza Rosselli”; il tratto da piazza S. Jacopino al sottopassaggio di viale Belfiore tenuto dalla “Terza Compagnia Lanciotto”.

In questa prima giornata il contingente partigiano ha dovu­to lamentare molti feriti, fra cui lo stesso comandante Mario Del Monaco, e ben dodici vittime. Esse sono: Achille Di Carlo (del Fronte della Gioventù), Loretta Maggio e Bruno Berti (delle S.A.P. locali), Giorgio Gaudio, Nello Della Torre, Rino Cíoní, Cosimo Vacca, il Tenente Renzo Marziali, Carlo Nannoni, il Tenente Alber­to Taiti e Luciano Tedeschi (della Rosselli), il Caposquadra Pantera (della Brigata Arno). Infine anche un civile: il vigile Guido Pescini ucciso dalla raffica di una mitragliatrice in Ponte alle Mosse men­tre svolgeva il suo servizio.

12 AGOSTO:

Verso le ore 10,00, provenienti dall’ Oltrarno, giungono alcu­ne compagnie della “Sinigaglia” che si acquartierano alla Scuola Sassetti di via Garibaldi, con I’ obbiettivo di intervenire nella parte più occidentale del rione di S. Jacopino; mentre altre due compa­gnie della “Lanciotto”, in un primo momento inviate in via P.L. da Palestrina, si dividono, e la compagnia comandata da “Gostíno” viene dirottata verso il rione delle Cure per dare man forte ai patrioti del Tenente Montaina. L’ altra compagnia, comandata dal leggendario “Timo”, tenta di oltrepassare il Mugnone, in prossimi­tà delle macerie del ponte di S. Donato.

I tedeschi però sono ancora in questa zona molto forti, e bersa­gliano dalle loro postazione i patrioti nel loro tentativo d’ attacco. Il comandante “Timo” viene ferito e ciò provoca un certo sbandamento nelle file partigiane che desistono dal tentativo.

Nelle strade del rione i franchi tiratori continuano a far vitti­me: una di esse è un ragazzino che prestava la sua opera (come gli scugnizzi delle quattro giornate di Napoli); si chiamava Marco Petrucci.

Nel frattempo anche parte della “Sinigaglia— viene richiamata in centro per poter pattugliare le strade dove i cecchini agiscono maggiormente. Nel corso della mattinata due pattuglie tedesche (una trentina di uomini in tutto) muniti di alcuni lanciafiamme, superato il Mugnone, si spingono minacciosamente verso piazza S. Jacopino e via Bartolini (attuale via Maragliano). Immediatamente i patrioti della “Rosselli” respingono I’ attacco dopo una cruenta battaglia, infliggendo sei perdite al nemico, ma lasciando sul cam­po un morto e due feriti.

Sul fronte del Mugnone i tedeschi continuano a colpire con le loro armi automatiche via Lulli, via Bellini, via Doni e via Veracini. Nel pomeriggio con l’aiuto di un “tigre” e di due autoblindo, i tedeschi riescono a raggiungere il sottopassaggio del viale Belfiore, e ad attestarsi sulla via Cassia, dirigendo il fuoco sul viale Belfiore e via B. Marcello, nel tentativo di tagliare il fronte di S. Jacopino.

Verso sera i partigiani della “Terza Rosselli” e la seconda compagnia “Lanciotto” riescono a sventare l’accerchiamento.

Anche sul fronte della Manifattura Tabacchi si susseguono per tutta la giornata i combattimenti, condotti dalle S.A.P. locali e dalla terza compagnia della “Sinigaglia”, comandata da “Varo”, che a poco a poco sostituirà il contingente della “Lanciotto”. Alcune S.A.P. coadiuvate dagli uomini della “Lanciotto” riescono a cattu­rare nella zona compresa tra il Ponte alle Mosse e S. Jacopino, cinque franchi tiratori che vengono immediatamente giudicati da un Tribunale improvvisato e successivamente giustiziati.

Durante la notte i tedeschi non danno tregua e tornano ad attaccare nella zona di S. Jacopino, battendo il settore con un violento fuoco di mortai che costringe il contingente partigiano a ritirarsi e ad attestarsi sulla linea di Porta al Prato. Fortunatamente, le mitragliatri­ci della “Terza Rosselli” riescono ad impedire il passaggio dei tede­schi lungo i viali, respingendo il nemico sulle vecchie posizioni.

Nella giornata i partigiani registrano oltre a vari feriti, altri due morti: il già citato Marco Petrucci (staffetta) e un partigiano della “Terza Rosselli”.

13 AGOSTO:

All’alba finalmente le truppe alleate iniziano l’attraver­samento dell’Arno con la conseguente occupazione del centro storico. Quasi contemporaneamente, nella zona di S. Jacopino si riaccendono le ostilità. Alle nove di mattina i paracadutisti tedeschi con I’ appoggio di mezzi corrazzati e fuoco di mortai, iniziano una nuova offensiva, entrando nel rione dal Ponte all’ Asse e dal Ponte di S. Donato. Ancora una volta spetta alla “Terza Rosselli” impe­gnarsi per ricacciare il nemico al di là del Mugnone.

In questa nuova offensiva le truppe tedesche cercano di infil­trarsi anche in via Ponte alle Mosse.

Pure nella zona della Manifattura si svolgono aspri combatti­menti. Nel corso della giornata al “Casone” si avvicendano i reparti partigiani: la “Sinigaglia” prende definitivamente il posto dei com­battenti della “Lanciotto”, che vengono trasferiti in altre zone calde della città. Durante la giornata, alle spalle delle postazioni partigia­ne si attestano i primi reparti alleati, composti da soldati indiani, prendendo postazione in alcune case di via Bartolini. Ancora però gli alleati non entrano direttamente in azione, lasciando sulla linea del fuoco i soli patrioti. Una richiesta di aiuto da parte dei partigia­ni che ancora a sera sono impegnati presso il Ponte di S. Donato viene rifiutata dall’ ufficiale inglese con le testuali parole : <muni­zioni e sigarette quante ne volete, uomini no: ne ho già perduto uno tra Poggibonsi e Firenze>.

Nella stessa giornata i combattenti della “Sinigaglia” attestati al “Casone”, apprendono la triste notizia della morte del caposquadra “Berto” (Alberto Casini), ferito l’undici in via Mercadante; il comandante “Mauritias”, molto colpito da questa notizia, scrive una poesia dedicata al suo compagno che poi legge a tutti i combattenti. Di questo episodio personale, così ci riferisce Giovanni Frullini nel suo libro “La liberazione di Firenze”: <… appreso che nell’ Ospedale militare di S. Gallo è morto, per la ferita alla testa, il suo caposquadra Berto, “Mauritias”, ovvero il docente di lettere Raffaello Ramat, dedica alla sua memoria una poesia che poi legge commosso ai compagni del suo distaccamen­to. Si tratta di una lirica semplice, scaturita dai sentimenti imme­diati e resa con un linguaggio alquanto enfatico: insomma, versi da non tramandare alla storia della letteratura, forse nemmeno a quel­la della Resistenza, poiché di questa storia le generazioni future mostreranno interesse al massimo per quei fatti che contengono i germi della continuità, ripudiando ad ogni retaggio eroico-senti­mentale, legato al clima irripetibile del momento. E’ fatale che quando della storia si tramandano memorie dilatate dalla retorica, si raccolgono poi pochi frammenti filtrati dalla noncuranza… >\1_

14 AGOSTO:

La giornata del 14 è caratterizzata dall’ attacco posto dai tedeschi al “Casone”. I bombardamenti nemici per la preparazione dell’ offensiva, effettuata con fuoco di mortai, provocano molte vittime fra la popolazione del quartiere. Gli stessi patrioti, che molto devono fare per rintuzzare l’azione nemica, lamentano molte perdite; tra questi viene ferita anche la crocerossina Maria Krobat, soprannominata “l’eroina del Casone”.

Costretti ad indietreggiare sul settore del “Casone”, i tedeschi più tardi subiscono il contrattacco, in prossimità della confluenza del Terzolle con il Mugnone, degli uomini della “Sinigaglia”, che tentano di ricongiungersi con le S.A.P. attanagliate nella zona del Ponte di Mezzo; questo obbiettivo però viene coronato da successo solamente in parte.

15 AGOSTO:

In questo giorno deve purtroppo registrare un fatto di cronaca a dir poco impressionante. Un testimone narra di una donna in stato interessante, colpita da una granata su un angolo di via Lulli. Ecco le poche frasi che testimoniano l’agghiacciante episodio, dopo che le schegge hanno investito la povera donna: <siamo andati a prenderla, e quella disgraziata aveva il ventre squarciato. Le usciva il bambino… Una cosa orribile… Non riesco a dimenticare quello che ho visto…>.

16 AGOSTO:

Sul settore di sinistra la giornata passa in una relativa calma anche per gli abitanti; molti di essi si erano rifugiati, per maggior sicurezza, all’ interno della chiesa di S. Jacopino.

Pattuglie della “Sinigaglia” riescono ancora una volta a varca­re il Mugnone, in prossimità del Terzolle, risalendo in perlustrazione il corso del torrente.

Durante la notte i partigiani svolgono operazioni di pattugliamento del quartiere, questa volta coadiuvati da squadre di soldati indiani. I tedeschi, si fanno sentire con un forte e prolungato bombardamento di artiglieria, che investe tutta la zona. Alcune pattuglie ingaggiano brevi conflitti a fuoco nei pressi di S. Jacopino, riuscendo a catturare due franchi tiratori che vengono giustiziati.

17 AGOSTO:

Mentre nel resto della città si registra una relativa calma, nel nostro quartiere ancora i partigiani devono fare appello a tutte le forze disponibili, In via Lulli si deve erigere una barricata (a tale operazione contribuirono moltissimo anche gli abitanti della stra­da) per potersi meglio proteggere dal fuoco di sbarramento di una mitragliatrice e di un carrarmato dei tedeschi appostati in prossi­mità dei Macelli, che riescono a prendere d’ infilata l’intera via con lo scopo di appoggiare un nuovo ritorno offensivo.

Nel settore del “Casone”, col favore dell’ oscurità, una pattuglia di patrioti composta da cinque uomini, sorprendeva l’appostamento di un gruppo tedesco a poca distanza dalla Manifattura, riuscendo ad uccidere due tedeschi e ferendone altri due, ritornando poi, attraverso i giardini interni, alle proprie postazioni.

18 AGOSTO:

Una azione di disturbo portata a termine poche ore prima dell’ alba dai cinque patrioti ha provocato tra i paracadutisti tedeschi l’impressione di un vasto attacco partigiano avente per scopo la conquista della Manifattura. Ciò è sufficiente, per far temere ai soldati di presidio alla fabbrica un accerchiamento senza via di scampo. I tedeschi pertanto abbandonano con gran fretta le proprie postazioni, senza fortunatamente curarsi di far saltare le mine già predisposte presso i macchinari, credendo che la migliore strategia sia la fuga. Altro non attendevano le squadre partigiane attestate al “Casone”, che immediatamente si pongono all’inseguimento dei fug­giaschi. Devono desistere nell’azione nel parco di villa Demidoff, interamente disseminato di mine, che provocano alcuni ferimenti tra gli inseguitori. Dalla testimonianza di Rinaldo Bausi: < Quando entrammo nella Manifattura da una serie di segni comprendemmo che i nostri avversari si erano allontanati in fretta e furia. Dovevano aver ricevuto l’ordine all’ ultimo momento e all’improvviso >.

Anche sul fronte del Mugnone i tedeschi, incalzati dagli attac­chi della “Sinigaglia”, devono abbandonare le proprie postazioni.

20 AGOSTO:

Ormai i tedeschi hanno preso posizione su una linea del fronte più arretrata rispetto a quella dei giorni precedenti. I parti­giani impegnati nel quartiere sono in continua perlustrazione per snidare i franchi tiratori e controllare le mosse dei tedeschi in prossimità delle loro linee. Una pattuglia in azione nella zona del Ponte alle Mosse riesce ad individuare e a sopprimere tre franchi tiratori. Un altro cecchino viene ucciso nei pressi di via Baracca.

Durante la notte, verso le 22,00, un gruppo di tedeschi com­posto da venticinque uomini, inizia l’assalto alla Manifattura, con lancio di bombe incendiarie e raffiche di mitragliatore; I’ uso di un “panzer-faust”, necessario per abbattere la porta d’ ingresso della fabbrica, li priva del vantaggio determinante della sorpresa, e dopo un tenace combattimento vengono respinti dai patrioti attestati all’interno della Manifattura. 1 tedeschi devono desistere dal loro intento, lasciando sul campo due morti e sette feriti.

Lo stesso giorno gli. uomini del sottotenente Bausi lasciano il “Casone dei Ferrovieri” perchè hanno ricevuto il cambio da un altro reparto della D.C. . Avviene un piccolo episodio significati­vo, che vale la pena di riportare: gli uomini della “Lanciotto”, quelli delle Squadre Comuniste e il nuovo reparto della D.C. presenta le armi al reparto del Bausi e agli uomini della “Teseo”. < Non era una formalità, un semplice rituale militare. Era qualcosa di più la testimonianza di uno spirito che sentivamo vivo in quei momenti: battersi per conquistare la libertà > (da uno scritto di R. Bausi).

23 AGOSTO:

Gli alleati cominciano a far filtrare alcuni loro pattuglie in prima linea, dando la sensazione che si apprestino a riprendere l’offensiva. Purtroppo anche questa giornata si deve registrare la perdita di un patriota: Luigi Svelto, facente parte del contingente del “Casone”, .che mentre è alla testa di una pattuglia alleata nei pressi dello stabilimento FIAT, viene catturato dai tedeschi. Di lui non si saprà più niente.

24 AGOSTO:

1 tedeschi tentano nuovamente di mettere in pratica altre azio­ni offensive su tutto il fronte cittadino. Una prima iniziativa di tale genere viene effettuata in prossimità delle Cascine, immediatamen­te bloccata dalle forze difensive partigiane.

26 AGOSTO:

Una pattuglia del “Casone” riesce ad arrivare nei pressi del Barro, e in seguito alla Torre degli Agli; qui ingaggia un piccolo conflitto a fuoco con i tedeschi, riuscendo ad uccidere la vedetta appostata sulla torre. Nel tragitto di ritorno i patrioti cadono in un’imboscata tesa dai tedeschi nel parco di Villa Demidoff; in tale azione viene ucciso il patriota Enrico Rigarci e tutti gli altri componenti la pattuglia rimangono feriti.

29 AGOSTO:

Nel corso della giornata i tedeschi compiono due azioni offen­sive in direzione del Ponte ali’ Asse e della Manifattura Tabacchi. Nel corso delle due battaglie volte a favore dei reparti difensivi, i nazisti lasciano sul campo quattro morti.

Sono queste le ultime azioni di guerra che i soldati di Hitler compiono nel nostro quartiere.

Con la giornata del primo settembre viene completata la libe­razione della città; la “battaglia di Firenze” è finalmente finita, tutti i fiorentini sono ormai liberi. Nella stessa giornata vengono libera­te Fiesole e Lastra a Signa, rispettivamente dai partigiani della Brigata “Buozzi” con S.A.P. locali e da alcuni reparti di “Giustizia e Libertà”, mentre gli Alleati, scavalcando le postazioni partigiane, si pongono in prima linea.

Dopo la completa liberazione di Firenze tutte le Brigate Parti­giane, dopo aver sfilato per il centro cittadino, il 7 settembre, si riunirono alla Fortezza da Basso, dove nel corso di una cerimonia vennero consegnati i diplomi ai patrioti e ai partigiani per I’ opera svolta in favore della liberazione della città. Nel corso della stessa cerimonia avvenne anche la consegna delle armi e lo scioglimento delle Brigate come formazioni militari. Questo ultimo fatto di­spiacque a molti dei partecipanti, come ci narra il testimone Mario Baldassini: <gli alleati non ci vedevano con simpatia perchè erava­mo in maggioranza comunisti, con i fazzoletti e le bandiere con la falce e il martello.

Molti partigiani si arruolarono nell’ Armata di Liberazione dell’ Esercito Italiano, composto da una forza militare che operava al fronte sulla linea Gotica. Erano state ricostituite le Divisioni “Friuli” e “Cremona”, con i vecchi ufficiali e sottoufficiali; i volontari che si arruolavano, molti comunisti, dopo un corso di perfezionamento, venivano classificati “guastatori” e furono man­dati in prima linea alternandosi ai reparti inglesi e americani. La divisa che indossavano era quella inglese, con in più le stellette, le mostrine e una striscia tricolore sul braccio sinistro. Questi reparti liberarono Bologna e l’Emilia, raggiungendo poi il nord e Milano -dove furono sciolte>.

La guerra ormai si allontana di giorno in giorno, si inizia a lavorare per la ricostruzione.( Tornano alla mente i rancori e le gelosie; dobbiamo abituarci a dimenticare la vendetta, troppi anni sono trascorsi tra angherie e ingiustizie. Forse per una dì queste ragioni viene perpetrato il primo delitto passionale post-bellico, come riportato dal giornale del 13 settembre. La vittima è un industriale assassinato a colpi di rivoltella nel viale Belfiore. Gli inquirenti sospettano che ad ucciderlo sia stato il marito della donna con la quale l’industriale aveva una relazione. E’ un fatto questo che ha una certa importanza o è soltanto il tipico esempio di chi della sofferenza di un popolo non ha recepito niente ?

 

Segue

 

Tratto da

Antifascismo e Resistenza nel rione di San Jacopino – Piazza Puccini

A cura di Bertelli Maurizio & Masini Donatella

Firenze 1992

 

 

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