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Giulio Stocchi – Melma

Giulio Stocchi

Melma

è una parola che deriva dal longobardo
e significa
-leggo sul vocabolario-:
Terra abbondantemente intrisa d’acqua
attaccaticcia
che si trova spesso sul fondo dei fiumi
E in senso figurato:
endemica bruttura morale
Chissà se lo sanno le camicie verdi
che raccolgono in
un’ampolla l’acqua del grande fiume
invocando i longobardi loro avi?

Cesare Pavese – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Mario Luzzi – 11 settembre

Mario Luzzi

11 settembre

Dimettete la vostra alterigia

sorelle di opulenza

gemelle di dominanza,

cessate di torreggiare

nel lutto e nel compianto

dopo il crollo e la voragine,

dopo lo scempio.

Vi ha una fede sanguinosa

in un attimo

ridotte a niente.

Sia umile e dolente,

non sia furibondo

lo strazio dell’ecatombe.

Si sono mescolati

in quella frenesia di morte

dell’estremo affronto i sangui,

l’arabo, l’ebreo,

il cristiano, l’indio.

E ora vi richiamerà

qualcuno ai vostri fasti.

Risorgete, risorgete,

non più torri, ma steli,

gigli di preghiera.

Avvenga per desiderio

di pace. Di pace vera.

Mario Luzi

Roberto Roversi Da «Il tedesco imperatore»

Roberto Roversi

Da «Il tedesco imperatore»

Quando venni in Lombardia

ero giovane, allora.

Per strade róse dai fischi dei vapori

il pianto di un ragazzo

migrò libero verso la frontiera:

l’ombra dei montanari saliva verso il cielo

e in tiepidi restaurants i camerieri

scoprivano agli ufficiali

distratti da un occhio adolescente

fragili zuppiere.

Nel rifugio della stazione,

mentre i treni bruciavano

bianchi neri contro le vetrate,

la donna appoggiò i chiari

capelli sul mio zaino.

Terra per eserciti

in fuga verso i monti.

Tremano al lume della luna le giovani foglie.

Austria, Svizzera, Francia alla frontiera.

In due giorni di cammino

sui laghi volarono,

col balzo delle trote, le speranze.

A Novara, a Novara;

oh a Novara, in un osteria

avvinghiata da caserme bruciate;

un uomo grida sul prato della periferia,

al mattino era morto. Ivrea, Aosta…

su quelle strade marciavo e per i monti

frustrato da tristezza, dai ricordi.

da «Tutto bruciato»

Marco appare. "Il paese bruciato.

Guarda le case, tronchi senza vita,

macerie, polvere.

La forte gioventù morta, fuggita".

Il sole indora la campagna,

cade dai nevai;

odore di un fuoco calmo dentro al vento.

La gente ferma sulla piazza.

M’azzanna il cuore una vespa infuriata.

"I mongoli affamati

dànno alla nostra carne questi morsi.

I tedeschi li armano, li avventano

ubriacandoli; bruciati dalla grappa

cadono urlando sulla strada,

prendono le donne come cani.

Pecore siamo nell’Italia morta".

M’avvio nella valle solcata

da un fiume, con cime fuggenti,

stormire d’alberi,

ruscelli stenti migrano, fra onde

di foglie i castelli persi nelle ombre.

Case incendiate specchiano le nubi;

dentro ai paesi occhi e ossa d’uomini

tendono la mano, pellegrini

vinti da una sciagura.

Pendono le travi delle case.

"Le donne uccise", dicono, "o scampate

al massacro, spente di paura

giacciono nel buio delle stalle.

Da uscio a uscio per fienili e case

i mongoli cercarono, fra le balle

di paglia, carrette rovesciate;

bruciò il paese, fuggono le donne

rauche disfatte pazze di terrore".

I vigorosi uomini lontani.

Pagarono le donne con la vita

la breve età felice

e i neri capelli.

Tornano adesso i giovani strisciando

lungo le siepi della valle.

da «La piazza è in festa»

Carri armati posano

sotto gli alberi, i negri

ridono, stendono le mani,

la gente nelle vie,

tutte le finestre al sole.

Giorno sacro d’aprile. Alti vocianti

feroci uomini nuovi.

"E’ finita la guerra", questo

il popolo grida; gli anni si frantumano,

un mondo nuovo affiora ribollendo

dalle schiuma aspra del dolore.

La piazza bianca di calce, bianca nell’aria d’aprile,

tacque; un uomo apparve sul palco,

parlò poche parole aprendo

la nuova storia.

(Ad Un Partigiano Caduto – Giuseppe Bartali)

(Ad Un Partigiano Caduto – Giuseppe Bartali)

la strada che conduce

a quei giorni lontani di smeraldo

dove sostammo come creduli ragazzi

a creare coi sogni nelle vene

fantasie di speranze e di parole

fra pugni di “canaglie in armi”

Forse potrei dimenticare il giogo

che mi lega all’arco dei rimpianti

se soltanto le voci dei compagni

tornassero a cantare

come quando la vita dilagava

e tu portavi alla gioia di tutti

il tuo sorriso di fanciullo

e la forza serena dei tuoi occhi

Ma anche se il tempo non ricama

che fili d’ombra sulla memoria

e il tormento di quel assurdo giorno

quando attoniti restammo

davanti alla pietà della tua forca

è pur sempre l’ora della tua lotta

del tuo caldo vento di libertà

immenso come grembi di colombe

in volo fra fiori d’acquadiluna

Tu solo amico adesso

puoi scegliere i ritorni

e dirci ancora

col battito delle tue ali

le bellezze della vita

e le dolci innocenze della morte.

Pietro Gori – Inno dei lavoratori del mare

Pietro Gori

Inno dei lavoratori del mare

 

Lavoratori del mar s’intoni
l’inno che il mare con noi cantò
da che fatiche stenti e cicloni
la nostra errante vita affrontò
quando con baci d’oro ai velieri
l’ultimo raggio di sol morì
e giù tra i gorghi de’ flutti neri
qualcun de’ nostri cadde e sparì.
Su canta, o mare, l’opra e gli eroi
tempeste e calme, gioia e dolor
o mare canta, canta con noi
l’inno di sdegno, l’inno d’amor.
Canto d’aurore di rabbie atroci
sogni e singhiozzi del marinar
raccogli e irradia tutte le voci
che il nembo porta da mare a mar
e soffia dentro le vele forti
che al sole sciolse la nostra fè
e chiama e chiama da tutti i porti
tutta la gente che al mar si die’.
Su canta, o mare, l’opra e gli eroi
tempeste e calme, gioia e dolor
o mare canta, canta con noi
l’inno di sdegno, l’inno d’amor.
Solo una voce da sponda a sponda
sollevi al patto di redenzion
quanti sudano solcando l’onda
per questa al pane sacra tenzon
mentre marosi gonfi di fronde
e irose attardan forze il cammin
noi da la nave scorgiam le prode
dove le genti van col destin.
Su canta, o mare, l’opra e gli eroi
tempeste e calme, gioia e dolor
o mare canta, canta con noi
l’inno di sdegno, l’inno d’amor.
Già da ogni prora che il corso affretta
la evocatrice diana squillò
e all’alba il grido della vendetta
la verde terra già salutò
terra ideale dell’alleanza
tra menti e braccia giustizia e cor
salute o porto de la speranza
che invoca il mesto navigator.
Su canta, o mare, l’opra e gli eroi
tempeste e calme, gioia e dolor
o mare canta, canta con noi
l’inno di sdegno, l’inno d’amor.
Noi sugli abissi tra le nazioni
di fratellanza ponti gettiam
coi nostri corpi su dai pennoni
dell’uomo i nuovi diritti dettiam
ciò che dai mille muscoli spreme
con torchi immani la civiltà
portiam pel mondo gettando il seme
che un dì per tutti germoglierà.
Su canta, o mare, l’opra e gli eroi
tempeste e calme, gioia e dolor
o mare canta, canta con noi
l’inno di sdegno, l’inno d’amor.

Pietro Gori Canto della prigione

 

Pietro Gori
Canto della prigione

 

Quando muore triste il giorno,
e ne l’ombra è la prigione
de’ reietti e de’ perduti
intuoniamo la canzone.

 

La canzone maledetta
che ne’ fieri petti rugge,
affocata* da la rabbia
che c’infiamma e che ci strugge.

 

La canzon che di bestemmie
e di lacrime è contesta**;
la canzone disperata
de l’uman dolore è questa.

 

Noi nascemmo e fanciullini
per il pane abbiam lottato,
senza gioia di sorrisi
sotto un tetto sconsolato.

 

Noi soffrimmo, e niun ci volse
un conforto, o porse aita***
niuno il cor ci ritemprava
a le pugne de la vita.

 

Noi cademmo, e giù sospinti
rotolammo per la china,
supplicammo, e de li sdegni
ci travolse la ruina.

 

Or, crucciosi e senza speme
qui da tutti abbandonati,
maledetto abbiamo l’ora
ed il giorno in cui siam nati.

 

Ma su voi, che luce e pane
a noi miseri negaste,
e caduti sotto il peso
de la croce c’insultaste;

 

Sopra voi di questo canto
che ne l’aura morta trema,
come strale di vendetta
si rovescia l’anatema.

 

Pietro Gori Canto dei coatti

Pietro Gori

Canto dei coatti

Addio compagni addio

sorelle spose e madri.
La società dei ladri
ci ha fatto relegar
sepolti in riva al mar!
Siamo coatti e baldi
per l’isola partiamo
e non ci vergognamo
perché questo soffrir
è sacro all’avvenir.
Ma la sublime idea
che il nostro cor sorregge
sfida l’infame legge
che ai cari ci strappò
e qui ci incatenò.
A viso aperto i diritti
al popolo insegnammo
e a liberar pugnammo
da tanta iniquità
l’oppressa umanità.
Sognammo una felice
famiglia di fratelli
perciò fummo ribelli
contro ogni sfruttator
contro ogni oppressor.
Vedemmo l’alba immensa
delle speranze umane
lottammo per il pane
e per la libertà
contro ogni autorità.
Vi giunga o plebi ignare
da questa fossa infame
del freddo e delle fame
sdegnoso incitator
quest’inno di dolor.
O borghesia crudele
tu non ci fai paura
la società futura
per la tua gran viltà
te pur condannerà.
Ma voi lavoratori
voi poveri sfruttati
per questi relegati
rei di bandire il ver
avrete un pio pensier.
Addio dolente Italia
d’illustri ladri ostello
di tresche ree bordello
stretti alla nostra fé
oggi partiam da te.
Ma un dì ritorneremo
più fieri ed implacati
finché rivendicati
non sieno i diritti ancor
di ogni lavorator!
Straziate o sgherri vili
le carni e i corpi nostri
ma sotto i colpi vostri
il cor non piegherà
l’idea non morirà.

Pietro Gori – Amore ribelle

Pietro Gori

Amore ribelle

All’amor tuo fanciulla
Altro amor io preferìa
E’ un ideal l’amante mia
A cui detti braccio e cor.
Il mio cuore aborre e sfida
I potenti della terra
Il mio braccio muove guerra
Al codardo e all’oppressor.
Perché amiamo l’uguaglianza
Ci han chiamati malfattori
Ma noi siam lavoratori
Che padroni non vogliam.
Dei ribelli sventoliamo
Le bandiere insanguinate
E innalziam le barricate
Per la vera libertà.
Se tu vuoi fanciulla cara
Noi lassù combatteremo
E nel dì che vinceremo
Braccio e cor ti donerò.
Se tu vuoi fanciulla cara
Noi lassù combatteremo
E nel dì che vinceremo
Braccio e cor ti donerò.

Pietro Gori – Addio, Lugano bella

Pietro Gori

Addio, Lugano bella,
o dolce terra pia,
scacciati senza colpa
gli anarchici van via
e partono cantando
colla speranza in cor,
e partono cantando
colla speranza in cor.
Ed è per voi sfruttati,
per voi lavoratori,
che siamo ammanettati
al par dei malfattori;
eppur la nostra idea
è solo idea d’amor,
eppur la nostra idea
è solo idea d’amor.
Anonimi compagni,
amici che restate,
le verità sociali
da forti propagate:
e questa è la vendetta.
che noi vi domandiam,
e questa è la vendetta
che noi vi domandiam.
Ma tu che ci discacci
con una vil menzogna,
repubblica borghese,
un dì ne avrai vergogna
ed ora t’accusiamo
in faccia all’avvenir,
ed ora t’accusiamo
in faccia all’avvenir.
Scacciati senza tregua,
andrem di terra in terra
a predicar la pace
ed a bandir la guerra:
la pace tra gli oppressi,
la guerra agli oppressor,
la pace tra gli oppressi,
la guerra agli oppressor.
Elvezia, il tuo governo
schiavo d’altrui si rende,
di un popolo gagliardo
le tradizioni offende
e insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell,
e insulta la leggenda
del tuo Guglielmo Tell.
Addio, cari compagni,
amici luganesi,
addio, bianche di neve
montagne ticinesi,
i cavalieri erranti
son trascinati al nord,
e partono cantando
con la speranza in cor.