Edera Giolitto – Polenta e mela
Edera Giolitto
Polenta e mela
«Si lavorava tre giorni alla settimana in fabbrica e tre giorni si andava in campagna a raccogliere fagioli e riso. I contadini, per paga di quel lavoro ti davano un pezzo di lardo o un sala-mino per la giornata. Poi la notte si sgranavano i fagioli. Così per tre giorni, poi il lunedì si tornava a Torino per lavorare in fabbrica. Questo quando c’era qualcosa, d’inverno non c’era
nulla e si andava a rubare la legna sulla collina di Torino. Mia madre mi dava un pezzo di polenta e una mela, ma la polenta era talemnte dura e ghiacciata che dovevamo immergerla nei torrenti per poterla mangiare»
«Tutte le sere, per evitare i bombardamenti, sfollavamo fuori dalla città. Arrivati la sera in campagna si mangiava qualcosa e poi mia madre mi toglieva tutti i pidocchi che avevo sulla testa. Così si faceva tardissimo e poi bisognava alzarsi prima dell’alba per tornare in città» «il sapone era introvabile, come molte altre cose e così le donne se lo facevano in casa, quando ci
si riusciva a procurare le ossa dei maiali che i contadini uccidevano verso Natale. Le facevano bollire e da quel «brodo» si ricavava il sapone»
«Nei negozi c’era pochissimo, quasi niente. Mia madre era disperata, anche se cercava di noi farci mancare le cose essenziali Il pane era ricavato dal riso, ma era duro come il marmo, forse perché ci mettevano proprio il marmo dentro. Le uniche cose che erano abbondanti erano le patate e il riso. Per il resto c’era la borsa nera. Ma noi non potevamo permettercela, l’unica cosa che dovevamo per forza com prave a borsa nera era il sale, che altrimenti era introvabile. I borsari neri andavano nei paes del ferrarese e delle valli di Comacchio, dove c’erano le saline, e lo portavano a Torino».
«La legna la rubavamo in campagna e in città dopo i bombardamenti, tra le macerie delle case distrutte. Il primo bombardamento me lo ricordo bene. Quella notte eravamo a letto e ci siamo svegliati; mia mamma mi ha preso e portato in cucina, spiegandomi che erano arrivati gli apparecchi e stavano bombardando. Successivamente, quando si sentiva l’allarme di partiva di corsa e si andava in cantina tutti svestiti, mentre i razzi venivano giù e illuminavano tutta la strada. Facevamo fatica a correre perché eravamo presi dall’affanno e dallo spavento. Poi abbiamo deciso di sfollare».
Dalla Testimonianza Di Edera Giolitto,
Raccolta Da Giovanna Boursier
Articolo tratto dal Settimanale “Il Manifesto 1995
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