Egidio Bellandi – Il Lonco

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Scarpe rotte
E pur bisogna andar…..

Racconti del premio Prato
1951 – 1954

Egidio Bellandi

Il Lonco *

* Premio Letterario Prato 1951.
Racconto vincitore del terzo premio.

« Io dico che siamo stati fortunati », continuò Dorino. « Come avremmo fatto se non ci fossero state le montagne, I boschi?… ».
« Ma senti che discorsi mi fa quello! », s’irritò il Lungo. « C’è altro da pensare, ora ». _
Il Lungo « in montagna » non c’era mai stato e non ce lo avrebbero mandato mai, questo l’aveva capito da un pezzo: « Almeno ogni tanto ci si riposerebbe… Ma qui!… Eppoi con questo Capoccia!… ».
Stavano nel rifugio ad aspettare per vedere che razza d’incursione fosse quella che aveva annunciato l’allarme. Era domenica mattina, e dovevano andare nel Lonco di Tisanello. Faceva un caldo d’inferno in quella buca coperta di frasche che serviva da rifugio, e il Lungo non vedeva l’ora di uscirne.
« Vedi, compagno », si limitò a dire il Capoccia senza muovere nemmeno una gamba dalla posizione di dolce riposo che aveva preso, « se non ci fossero stati i monti, ci sarebbero state altre cose al loro posto e la lotta ne avrebbe approfittato lo stesso ».
Dorino annuiva.
« Hai capito finalmente? », disse il Lungo squadrandolo di traverso. « Al posto dei monti non ci sarebbe stata una buca. Monti o non monti, l’essenziale è che ci sia gente che combatte contro questi cani».
« Ma quelli ci sono», affermò Dorino.
« Ah sí! E allora che cosa ci mandano a fare laggiú, noi? ».

« Sicuro che ci sono! E chi non è stufo della guerra e della prepotenza e delle promesse che ci hanno fatto’? Nessuno ci dirà di no, soltanto non sanno ancora cosa fare, ecco! ».
« Anche questi non dicono di no, se ci pigliano; e lo sanno cosa fare, vedrai! ».
« Avete ragione tutti e due. Piantatela e usciamo! , disse il Capoccia. « Bombe o non bombe, è ora d’andare. Tanto quelli lassú non ce l’hanno con noi ».
« E chi volete che venga di là », ripeteva sempre Antonio, contadino, barbiere e merciaio, mentre radeva le barbe sotto un noce del Lonco. « Quelli sono dei disertori, sapete. Tornereste in giù, voi, per farvi fucilare? ».
« Ma, e tutti gli altri che son lassú? », ribattevano Pippo, Menico, figliolo del Paoli, e Buzzino, attaccafili alla filanda, che avevano sentito ragionar diversamente in fabbrica dove lavoravano.
« Ma quali altri, ma quali altri? Lassù non c’è nessun altro. Siamo tutti qui. Ma cosa volete che vada ad aspettare lassù la gente che ha un po’ di giudizio’ ». Il Moschini, che era « quasi direttore » in un lanificio, veniva apposta a farsi la barba nel Lonco per polemizzare coi ragazzi, ma soprattutto con gli uomini anziani, che secondo lui dovevano tenere a freno i giovani invece d’infatuarsi come loro. « Ma fatemi il piacere! Invece di ragionare sempre di codeste fantasie, pensate alle vostre famiglie. Noi dobbiamo star calmi, lasciatela fare ai generali la guerra, e che se la sbrighino fra loro. Pensiamo a salvarci, che è meglio; tanto noi non conteremo mai nulla ».
Tutti zitti; ma quando se ne fu andato, il figliuolo dei Paoli, che era scampato dalla Russia, disse: « A quello però la barba devi andare a fargliela a casa. Ci sta poco bene qui fra noi. Ne abbiamo avuti abbastanza di tirapiedi ».

« Sicuro! Questa volta un po’ di giustizia ci vuol davvero anche per chi lavora ».
« E ci dobbiamo essere anche noi a sistemar le cose, dopo ».
AI Lonco di Tisanello erano frequenti questi discorsi. In tutti i lonchi erano frequenti. Ogni mucchio dì case ha il, suo lonco, cioè i suoi confini di poderi, e proprio nel mezzo i suoi canneti, il suo fossato, e ogni lonco brulicava d’uomini, contadini, operai sfollati di città e anche gente che prima avrebbe arricciato il naso a viverci.
Tutti dicevano: « Siamo scappati di città per via dei bombardamenti, ora si scappa per non essere rastrellati. O si va nel lonco, o si va in montagna, non c’è scampo ».
Ai segnali che venivano di fondo ai filari delle viti, í gruppi degli uomini, che sonnecchiavano lunghe ore sdraiati fra i canneti o al fresco delle fosse, si scioglievano rapidamente. Altri segnali si alzavano e piú lontano altra gente si muoveva, spariva fra i cespugli. Ai piedi dei filari, l’ultimo che entrava nella buca si tirava dietro la manciata d’erba che nascondeva il rifugio: rifugi sotterranei, con le fascine e le tavole per sedere e i tubi di canna che facevano da sfiatatoi.
Anche lungo il fosso di Capreta e lungo, la Barsana e il Colacchione corsero i segnali. Era finita l’incursione e i tedeschi ricominciavano a muoversi sulle strade. Nelle case non c’era rimasto quasi nessuno, e anche un goccio d’acqua i tedeschi bisognava che se lo cercassero da sé e che rubassero le patate, rincorressero i polli e frugassero i pollai per le uova. Vitelli e maiali erano tutti nei lonchi, e avevano imparato a non mugghiare. A ogni carro che passava sulle strade con qualche soldato appollaiato sopra, mezzo addormentato, centinaia d’occhi lo seguivano, e, oltre le siepi, ogni duecento metri, si alzavano le canne dei segnali. Nessuno dava una mano ai tedeschi e anche le fontane erano secche.
Distanti chilometri, ma di fronte, i monti si ergevano alti e possenti, uno dietro l’altro, e le strade entravano in gole sempre piú strette, sempre piú ripide, sempre più orride. La gente guardava a quei monti lontani.
« Eppure ci sono, ci sono lassú. Ragazzi, c’è qualcuno lassù, credete a me. Non avete visto stanotte i falò? ».
« Altro che falò! C’è stato un aeroplano che ha girato tutta la notte».
Ora gli allarmi si susseguivano, quattro volte al giorno, e anche i ragazzi smettevano di rincorrersi nei prati e per i viottoli e scappavano subito nei rifugi. I paesi restavano deserti; si sentivano i rombi nel cielo, il crepitio delle mitragliere e le esplosioni che venivano. dalla città.
Nel Lonco di Tisanello era stato primo il Ciaba a portarci il deschetto con gli arnesi, poi Antonio s’era messo a radere le barbe, e ora chi ci riparava la bicicletta, chi ci accomodava la ruota del carro: tutti ormai ci andavano a far qualcosa; nel fondo dei canneti, la notte, forestieri e giovanotti ci macellavano ie bestie, pesavano la carne e si spartivano i quattrini. A giorno, poi, la povera gente che canì• pava sfamando i signori, si metteva in giro per le strade secondarie e i viottoli e le scorciatoie e i sentieri e arrivava fino ai paesi, fino alla città semideserta. E chi aveva quattrini pagava, eccome se pagava! « Se volete mangiar pasta e carne ben condita dovete lasciarci sfamare anche noi », pensava la gente. « E’ cara la carne? Ma ci andate voi, che la mangiate, a macellarla di notte nei Tonchi? E i rischi che corriamo a portarvela fino a casa tagliata, pesata, incartata? Voi a papparvela in barba di micio, eh! e noi non si dovrebbe aver nemmeno di che sfamare le creature che abbiamo lasciate sole laggiù? Cara? Dite piuttosto che è ingiusto che s’abbia a vivere con simili differenze. Ma finita la guerra e levàti di mezzo questi manigoldi, deve venire, un po’ di giustizia anche per noi ».
In tutti i lonchi si ragionava così, e in tutte le case, e anche la gente che stava bene e gli amanti dell’ordine, e tutti, tutti erano costretti a riconoscere che si, il mondo era messo male e che bisognava cambiarlo per il bene futuro dei figlioli e di tutti.
La gente intanto imparava a conoscersi; facendo chilometri per comprare uno spillo, si sapeva di tutti dove sta dare un pezzo di camera d’aria e se quell’altro ti poteva fare un pezzo di camera d’aria e se quell’altro ti poteva vendere un po’ di sapone. Certe botteghe, certi incroci e strade erano come le colonne d’un gazzettino, ma non tutte le strade: sulle strade principali andavano avanti e, indietro i carri armati e qualche pattuglia di fascisti, e sulle stradicciole e scorciatoie dei campi camminavano gli altri, brulicavano di gente, i piú fortunati con biciclette cigolanti e coi fascioni che cadevano a pezzi.
Ma anche i carri armati non erano piú quelli, lucidi e fiammanti come quando andavano a sud, e ora tutti vedevano le ammaccature e la ruggine, e ogni tanto qualcuno che non ne poteva piú finiva in un fosso; ma anche gli uomini finivano lí non nel fosso, ma sulla proda, vicino all’accampamento. Ce n’avevano seppelliti già tre; Hans, uno si chiamava Hans. Li avevano ammazzati tutti e tre i partigiani. Del resto anche i tedeschi borbottavano impauriti: «Partisan, Partisan ».
« Non date retta, non li hanno ammazzati tutti lassù, li hanno ammazzati anche qui ».
« Come qui? ».
« Qui, qui sull’autostrada; non lo sapete che fanno una scarica e via, quando passa un camion carico di loro? Di notte… e che agonie! Una mattina in un punto dell’autostrada ci saranno state venti pozze di sangue»,

« Ma allora volete che non ci siano i partigiani lassù? ».
Poi qualcuno continuava a dire: « Macché partigiani! Per me i partigiani sono un’invenzione della Voce di Londra. Chi li ha mai visti? Per ora… uhm! Ci saranno, ma io non ci credo ».
« Il figliolo di Pilade, quel ragazzo che andava alle filande, si, quello, non ha mandato a dire d’essere entrato in una banda? ».
« E il Lucchino e i suoi amici, allora? », insistevano gli altri. « Perché sono tornati indietro? Perché? Perché non hanno trovato nessuno lassù ».
Il Lucchino veramente non diceva questo. Diceva di aver trovato gente lassù e che gli avevano detto che non ce lo volevano perché non aveva armi. E coi compagni s’era fermato a mezzo monte e aveva passato due giorni e due notti senza mangiare ad aspettare uno che gli aveva promesso un fucile. Erano tornati uno a uno un po’ mogi, ultimo il Lucchino, che, quando era stato vicino a Tisanello, dall’argine del fiume aveva fatto cenni di saluto.
E per chi non ci credeva, il Lucchino era vivo e verde, perché stava nel borgo di sotto, in quel mucchio di case rimpiattate fra fossi e argini, e in casa sua c’era sempre riunione di gente, e a molti lui stesso l’aveva detto: ,« Non c’è bisogno che vada piú in montagna, perché abbiamo avuto l’ordine di farla qui una banda armata ».
E qualcuno non si dava da fare per comprarsi un mitra?
« Comprare? Troppo comodo comprare », disse il Lungo, che conosceva tutti i loschi. « Hanno a far come… come certuni che… che ho sentito dir io ».
,«Come noi», gli stava per scappar detto. « Bum bum bum, e tutto risparmiato ».
Ma non era facile far bum bum bum; i tedeschi, quando si fermavano, erano dappertutto, come la gramigna, e ora che s’erano accampati li a Tisanello per via dei rifornimenti con Bologna, dall’argine della Barsana si vedevano, andare, e venire per la casa della Virginiona, che, stava proprio sul ponte, alla confluenza del fosso col fiume. Andavano e venivano come padroni, si cuocevano i cibi sull’aia e perfino ci portavano il bottino, e i figlioli della Virginiona si mettevano le mani nei capelli e dicevano che la vecchia avrebbe fatto passare a tutta la famiglia un brutto quarto d’ora coi partigiani. Già c’era venuta gente d’altri paesi a reclamare quello che avevano rubato i tedeschi e nel discutere e nell’andarsene, quasi sempre a mani vuote, davano certe guardatacce alla casa e alla vecchia come per metterseìa bene in mente e ricordarsela al momento opportuno. Ma poi i figlioli ce l’avevano con la vecchia e coi tedeschi anche per via della sorella, che era stata costretta a sloggiare presso un’altra famiglia e ora che nessuno poteva piú sorvegliarla, con la scusa di badare che al suo fidanzato non succedesse nulla, stava sempre per i campi con lui, e lui sembrava che ci provasse gusto ad avercela coi tedeschi e coi fascisti. E la mamma di lui a raccomandarsi a tutti che non gli compromettessero il figliolo e all’Assunta della Virginia che non glielo lasciasse andare sui monti coi partigiani, che dopo la guerra l’avrebbe presa per nuora anche senza camicia. Intanto la Virginiona, che aveva sempre comandato lei in casa, al marito e ai figlioli, aveva trattenuto una mucca nella stalla per dare il latte ai tedeschini biondi. « Altrimenti », diceva ai figlioli, « si accorgono che le abbiamo nascoste e vengono a cercarle nel Lonco, e cosí trovano anche voialtri ».
E a chi diceva che i tedeschi in ultimo le avrebbero mangiato la mucca, lei rispondeva che era sicura di no. Per ora la mucca ce l’aveva sempre, e anche quando era venuto quell’usciere a requisire i maiali e i vitelli per i fascisti, lei s’era rivolta ai tedeschi e i maiali erano rimasti a casa.
Buono l’usciere! che s’era messo addirittura a frugar nel Lonco perché sapeva di tutti i contadini chi aveva e chi non aveva, e tutti avevano ragionato di fargli la pelle, di sotterrarlo nel Lonco: tutti, contadini e sfollati, e quelli che ammazzavano le bestie; ma nessuno la pelle gliel’aveva fatta, e invece per due giorni non avevano fatto altro che star nascosti nei rifugi. E l’usciere, che era un vecchio squadrista e marciava diritto, coi gambali, come se dietro ci avesse la squadraccia dei tempi dei tempi, aveva smesso di frugar per il Lonco in cerca di maiali e di vitelli, non perché gli avessero tirato almeno una delle randellate che gli avevano promesso, ma perché gli avevano « allungato » bravi chili di fior di farina e fiaschi d’olio di Bacchereto, che è il migliore di tutta la provincia.
I contadini non si sbilanciavano tanto, ma i giovani… « Morto di fame », dicevano. « Cosa ci rimetterebbe lui a dire che i contadini bestie non ce n’hanno piú perché gliele hanno portate via i tedeschi. Di già, se fosse un galantuomo dovrebbe venir nel Lonco con noi ».
« Segno che non gli è passata la fregola del camerata’ ». « Ma verranno anche i partigiani », finivano tutti col dire. « Si, aspettali! », rispondeva Antonio, che andava a radere le barbe nel Lonco.

Quell’Antonio ragionava proprio come il Commissario Prefettizio, che in città faceva da capo della Pubblica Sicurezza e da Podestà, e gli pareva d’esser chissà chi perché il Prefetto l’aveva nominato Commissario Straordinario. Ma ìn tanto il vero Podestà se l’era svignata al Nord e non gli era importato nulla del dovere civico, delle fabbriche, della popolazione abbandonata e dei forni sprovvisti.
Questo Commissario Prefettizio qualcuno degli agenti l’aveva consigliato in segreto: « Cavalie’, si metta d’accordo anche con gli altri. Questi prima o poi se ne vanno ».
E lui duro a dir di no e a insistere che i partigiani, ppffú! chi li aveva mai visti? Erano un’invenzione di Radio Londra, e quanto al Comitato di Liberazione Nazionale, quelli erano i capibanda di gentaglia pregiudicata e sovverriva, che non si sapeva bene nemmeno chi fossero. Cioè, si sapeva sí: tutta gente schedata, con tanto di fascicolo e fotografia nell’archivio, gente quella che era stata in galera e al confino, gente rimasta viva per troppa clemenza del Duce, ma che proprio dagli americani sarebbe stata rimessa in galera, se avessero vinto loro. Ma lui non lo sapeva, che proprio i suoi agenti e anche il suo Signor Maresciallo, quando la sera sfollavano, riferivano tutto a gente che appariva e spariva continuamente, e loro stessi avevano già preparato la lista dei fascisti da arrestare, e fra questi figurava proprio anche lui, il Signor Commissario Prefettizio!
Quando Dorino, il Lungo e il Capoccia arrivarono nel Lonco di Tisanello le cose cambiarono subito, con soddisfazione del Paoli, l’unico vecchio sovversivo di tutto il paese, che si lamentava sempre dicendo: « sapete cosa manca qui? Qui manca la mente direttiva ».

Il Capoccia mostrò subito che fiato avesse. Se ne andò, solo solo, fino al « castello », cioè a quel quadrato di case col cortile grande nel mezzo, dove c’erano dei tedeschi, e s’affacciò tranquillamente a guardare cosa facevano, ed entrò, perfino nell’aia, dalla Virginiona, che stava sbucciando le patate, ma non le sue, quelle per i tedeschini biondi, e nessuno gli disse mai nulla; poi attraversò la Barsana senza mai acquattarsi, entrò nel Lonco di sotto e andò difilato alla casuccia di Pietro, quello che andava a opera da tutti.
Il Capoccia entrò e chiese alla moglie di Pietro: « Dove l’hai il tuo uomo? ».
E quella: « Oh! sei tu, Capoccia? ».
« Si sono io. Lui come sta? ».
« Ci ha fatto passare brutte settimane, Capoccia. Si credeva che morisse; poi il dottore non è venuto piú e c’è toccato medicarlo a noi ».
« Lo so. Ma dov’è ora? ».
« E’ di sopra, in camera sua ».
« Come sta ora? ».
« Ora sta bene. Puoi salire, Capoccia ».
La bambina di Pietro, che aveva dieci anni ma stava sempre seria e attenta, gli fece strada. L’amico del Capoccia stava sdraiato sui materassi a leggere un libriccino tanto piccino che gli sarebbe entrato nel pugno della mano, lunga e fine. Era ancora un po’ pallido, ma si alzò subito, sorpreso e contento.
« Ti cercano sempre laggiù e tu non devi muoverti », gli disse il Capoccia dopo averlo salutato. « Però puoi darci una mano, tanto siamo, agli sgoccioli. Lavorerai qui. Ti va? ».
« Lo sai già che va bene », disse l’amico. Poi rise e diede un colpetto al Capoccia. « Almeno piglierò qualche boccata d’aria ».
Fu così che quel giovane, che era sfollato da Pietro e che tutti dicevano che era un professore e che era tanto malato,, andò insieme al Capoccia di casa in casa a parlare coi contadini. E accipicchia! Come spiegava bene le cose. Altro che malato, quello era una scienza, un uomo da dargli subito retta! Con loro c’erano anche il Paoli e un impiegato del conte Spinetti, che aveva tanti e tanti poderi con le case tutte rosse, e tutti seppero che esisteva un Comitato di Liberazione Nazionale, che dirigeva la guerra contro i tedeschi e i fascisti, che la liberazione era questione di giorni e che intanto ordinava agli operai di difendere le fabbriche dalla distruzione e ai contadini di non mietere il grano o di lasciarlo affastellato nei campi. Il Comitato di Liberazione Nazionale non scherzava: aveva perfino stampato su volantini quello che voleva.
Ma il Capoccia non fu contento. « Digli anche che i partigiani vogliono che i padroni diano più libertà ai contadini, e anche la ripartizione dei raccolti sarà fatta in altro modo d’ora in poi ».

Il Lungo e il figliolo del Paoli girarono il Lonco e parlarono con gli altri giovani, e tutti si accorsero che ci doveva esser già da prima qualche accordo, e primo di tutti se n’accorse Antonio, che ora non diceva più nulla dei partigiani, perché gli sembrava di sentirseli proprio alle costole.
Il Professore, il Capoccia, il Paoli e l’impiegato del Conte andarono negli altri lonchi, e dell’usciere, che girava a sequestrare i maiali e i vitelli, nessuno seppe più nulla, e i contrabbandieri seguitarono ad ammazzare di notte.
Ormai giorno e notte s’udiva rombare il cannone, e la notte passavano i carriaggi tedeschi sempre più numerosi e sempre piú sgangherati. Minavano i ponti e le case vicine, poi di giorno cominciarono a volteggiare sempre piú spesso gli aerei e a buttarsi giù sulle strade a mitragliare ogni carro. E che notti! Sparatorie dappertutto, e la « cicogna » che volava ín ricognizione e le lunghe file di carri tedeschi che se n’andavano a nord, e tutti li contavano come aveva ordinato il Comitato di Liberazione Nazionale. Ora a star per le case c’era da aver paura coi guastatori e le SS ubriache, sempre col mitra a tracolla, e le donne e i bambini s’erano accampati nei lonchi insieme con le bestie proprio come aveva fatto la madonna con Gesù bambino.
Un giorno vennero altri a dare ordini: « Bisogna battere il grano altrimenti la gente di città muore di fame ». O chi erano quelli? Erano guardie comunali e guardie giurate e c’erano anche certuni del consorzio agrario. I contadini stavano a sentire zitti, scuotevano la testa e se n’andavano per i campi. Cosa volevano? Credevano di comandare sempre loro? Non lo sapevano che c’era il CLN? E dopo cosa avrebbero detto i partigiani?
« Ma almeno un poco bisogna batterlo », si disperavano quelli. « Ma non lo sapete che, se non ci sarà piú pane, il popolo darà l’assalto ai forni? E i tedeschi lo sapete cosa hanno detto? Che fucileranno cinquanta fra fornai, mugnai e impiegati dell’annona. E noi cosa c’entriamo se non c’è piú grano? Il grano ce l’avete voi, dovete darcelo voi. Vi daremo tanto di buoni per riscuotere ».
Ma nessuno voleva battere il grano. Tornarono però il Capoccia e il Professore, che parlò coi contadini e spiegò che in città si moriva di fame davvero e che il CLN diceva di battere un pochino di grano, non certamente per i fascisti e per i tedeschi.
Il Capoccia non si contentò neanche quella volta. « Spiegaglielo che i contadini non devono rimetterci nulla e che la parte che verrà consegnata alla trebbia sarà sottratta dalla quota padronale ».
Il grano fu battuto, E i tedeschi che volevano fucilare gli innocenti davano il permesso di trasportarlo e poi sequestravano i mezzi di trasporto e lo bruciavano in mezzo alle strade. Cosí il grano fu portato ai mulini nascosto nei barroccini a mano e perfino nelle autoambulanze, e la trebbiatrice era costretta a viaggiar di notte sulle scorciatoie.
Tornarono il Capoccia e il Lungo e Dorino e confabularono nuovamente col Paoli, con l’impiegato del conte Spinetti e con altri.
E i giovani formarono delle squadre e la notte accompagnarono il grano fino a un punto dei campi dove c’erano altri ad aspettare, e nessuno lo diceva, ma in quelle spedizioni andavano armati di pistole; ma nel tratto di sotto c’era il Lucchino che comandava una squadra, come se non avesse fatto altro in vita sua, e viaggiava con un mitra a spalla che luccicava come l’argento.
E qualcuno girava ormai di notte anche senza il grano, e al, mattino si lavavano il viso tardi e si davano certe occhiate fra loro tanto che Antonio non diceva nulla, ma faceva capire che se n’era accorto, lui, dove andavano.

Poi il Capoccia tornò un pomeriggio e bussò alla casa di e Pietro e sua moglie, che erano in camera a fare all’amore, subito si alzarono e gli aprirono che erano ancora mezzi discinti. Il Capoccia li squadrò. « Ma voialtri due non le sentite le cannonate che battono laggiù sulla provinciale? ».
« E che! », disse Pietro. « Non-1 è mica la fine del mondo. Uno non può più fare i suoi comodi nemmeno una volta ogni tanto? ».
Anche il Professore stava nella sua camera sdraiato sui materassi e posò il solito libriccino che stava leggendo. Dalla finestra aperta si vedeva il polverone prodotto dalle cannonate sulla provinciale e si sentivano i sibili e gli scoppi. Il Capoccia era curioso di sapere cosa ci fosse scritto in quel libriccino.
« Non riuscirò a finirlo! », disse il Professore alzandosi. « E se non lo leggo ora, credo che non lo leggerò mai più ».
« Compagno professore », disse il Capoccia, « non pre tenderai mica che non finisca la guerra. Ti ordineremo di leggerlo dopo. Ora non ne vale molto la pena, mi sembra ».
« Lo credo anch’io », disse il Professore posandolo. « Cosa c’è di nuovo? ».
« Iù, venuto il momento di dire ai contadini che battano il grano e lo nascondano; che vadano nei Tonchi e s’impegnino a proteggere le donne e i ragazzi. Io sono venuto per raccogliere le squadre e tu domani te n’andrai con Pietro e con il Lungo. Ma prima parliamo ai contadini, io e te; tu parli e io ti farò la guardia, come le altre volte ».
Il Professore parlò per l’ultima volta. « Amici! ora dovete battere il grano e nasconderlo perché i tedeschi non lo possano bruciare. Tra poco i tedeschi se ne andranno o li cacceremo con la forza, e perciò voi dovete stare attenti a non farvi prendere. Rifugiatevi nel Lonco, voi, le donne e i bambini; portate e nascondete le armi che avete, le rivoltelle, i fucili da caccia, ma se nessuno vi molesta, state tranquilli, che sparare è compito nostro. Voi dovete soltanto cercare di salvarvi, voi e la vostra roba, come fanno in città gli operai che hanno organizzato le squadre per difendere le fabbriche dalla distruzione… ».
« Amici », aggiunse il Capoccia, « noi vi lasciamo. Arrivederci a dopo la liberazione! Ma una cosa dovete tener presente. Questo grano e quelle fabbriche, insieme ai nostri ragazzi e alle nostre donne sono ciò che ci resta di tutto quello che si aveva prima di questa maledetta guerra, e ora sono l’unica speranza per il nostro avvenire. Fate, quello che vi abbiamo detto, come a nostra volta noi faremo quello che ci hanno ordinato ».

Edizioni Avanti!
1955

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