Archivio mensile:marzo 2017

Santino Spinelli – Liberate le catene

Santino Spinelli
Liberate le catene

Liberate le catene che avvinghiano il cuore,
spezzatele di tenero amore!
Liberate le catene
che imprigionano la verità,
aprite gli occhi d’umana solidarietà.
Liberate le catene
che seminano dolore,
morti, lutti e cataclismi!
Liberate la catene
che soffocano l’amata libertà
Liberate, liberate, liberate…
il mondo dalle fredde catene dell’indifferenza!

Santino Spinelli – Libertà

Santino Spinelli
Libertà

Ascolto in silenzio
il muto canto dell’erba
che dondola l’anima al vento
disprezzando le vanità
e le ricchezze vane;
adoro i sospiri degli abeti
che s’infrangono nei gelidi turbini;
amo gli umili pianti del salice
che non si sciolgono alle carezze della neve.
Adoro le solitarie danze del castagno
che trema le palmipedi foglie
come mani al cielo;
adoro il sole che non si maschera per apparire;
la luna che non si trucca per ingannare.
Amo la nudità e il soave profumo
dell’eterna libertà.

Mimmo Franzinelli – Le stragi nazifasciste

Mimmo Franzinelli
Le stragi nazifasciste
La penetrazione tedesca in Italia, dall’estate del 1943, trasforma il territorio nazionale in uno dei fronti principali della guerra tra esercito del Reich ed eserciti anglo-americani. Le popolazioni dei territori invasi si trovano esattamente “tra due fuochi” (T. Baris, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Roma-Bari, Laterza, 2003), finendo coinvolte, quali vittime “collaterali”, in questa nuova modalità ed espressione della guerra totale. A ciò si aggiunge, fin dal luglio del 1943 – quando l’alleanza tra Italia e Germania è ancora pienamente in vigore – l’esplicitazione della violenza, nelle sue forme più brutali, da parte dei tedeschi, che si rendono responsabili di stragi ed eccidi di “inermi”. Nei 20 mesi in cui si sviluppa la lotta resistenziale, gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti – i quali non esitano, in numerose occasioni, a rendersi protagonisti in modo autonomo dell’esercizio della brutalità –, infieriscono nei confronti della popolazione, dei partigiani, dei soldati disarmati, delle minoranze religiose, degli ex prigionieri di guerra in mani italiane.
Le ragioni della violenza sono le più varie; le vittime, secondo l’analisi dettagliata che ha prodotto l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia – al quale si rimanda – sono più di 23.000 in circa 5.550 episodi, compresi nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945. L’Atlante è il prodotto di una ricerca voluta dall’ANPI e dall’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) e finanziata dal governo della Repubblica Federale Tedesca. È stato reso disponibile online il 7 aprile 2016.
Al di là degli episodi noti – Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto-Monte Sole etc. – quello delle stragi naziste e fasciste risulta un fenomeno diffuso e capillare sul territorio nazionale. I reparti responsabili appartengono sia alle forze armate regolari del Reich (la Wehrmacht), sia alle SS, sia alle formazioni della RSI.
Oltre agli eccidi in Italia, rientrano nel fenomeno delle stragi, le violenze ai danni dei militari italiani all’estero, avvenute soprattutto nella fase immediatamente post-armistiziale, e quelle che hanno come vittime gli internati in Germania e nell’Europa orientale.
Tutti gli episodi di violenza, che avrebbero dovuto, nell’immediato dopoguerra, essere indagati dall’autorità giudiziaria al fine di giungere all’individuazione di presunti responsabili da sottoporre a processo, sono stati illecitamente tenuti nascosti, con i fascicoli d’indagine occultati nei locali della procura generale militare, a Roma. Tali fascicoli, rinvenuti nel 1994, rappresentano uno dei più imponenti e gravi occultamenti avvenuti nella storia dell’Italia repubblicana. Le cause del loro nascondimento sono state oggetto di indagini da parte di una commissione interna alla magistratura militare e di una commissione parlamentare d’inchiesta, nonché di approfondite analisi da parte della storiografia. Secondo le teorie più accreditate1, condivise peraltro dal Consiglio della magistratura militare (1999), dalla II Commissione Giustizia della Camera dei deputati (2001) e da parte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta (quest’ultima ha concluso i suoi lavori, nel 2006, in modo non univoco, con una relazione di maggioranza e una di minoranza), tali cause fanno riferimento a sostanziali ragioni politiche: nel mondo diviso della guerra fredda, inchieste e processi a criminali nazisti avrebbero “disturbato” una Repubblica Federale Tedesca in fase di ricostruzione materiale e politica, nonché baluardo del mondo occidentale. Inoltre, richieste italiane relative a criminali tedeschi avrebbero rinnovato le istanze di paesi terzi – Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Urss, Etiopia, Libia – relative a criminali italiani, mai sottoposti a giudizio, né all’estero né in Italia, per gli eccidi e le violenze commessi nei territori d’occupazione dal 1935-36 al 1943 (e oltre, per ciò che riguarda i militi della RSI).
Dopo il 1994, e soprattutto dall’inizio degli anni 2000 presso la Procura Militare di La Spezia, sono state finalmente portate avanti le indagini e celebrati i processi – con gli imputati regolarmente contumaci – relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell’Italia centro-settentrionale (le sentenze sono disponibili qui: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=137). Nel 2013, presso il Tribunale Militare di Roma, è giunto a sentenza anche il procedimento relativo alla strage di Cefalonia. Molti altri casi, però, non sono mai stati indagati, finendo frettolosamente archiviati, di nuovo, tra la metà e la fine degli anni Novanta del secolo scorso (I. Insolvibile, Archiviazione “definitiva”. La sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, “Giornale di storia contemporanea”, XVIII (2 n.s.), 1, 2015).
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1 Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001. Mondadori, Milano, 2003; Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza, Roma-Bari 2003; Filippo Focardi, Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto tra Italia e Germania, Carocci, Roma 2008; Alessandro Borri. Visioni contrapposte. L’istituzione e i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, I.S.R.Pt, Pistoia, 2010; Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (a cura di), Le stragi nazifasciste del 1943-1945. Memoria, responsabilità e riparazione, Carocci, Roma 2013

Giovanni Pinfetti – Ode alle penne mozze del Cattarino

Giovanni Pinfetti
Ode alle penne mozze del Cattarino
(Resistenza Jugoslavia)

 

Oh… Tu grande figlio d’Italia
Generoso eroe della "Libertà",
Cadesti sotto la mitraglia
Le Tue ossa or riposan là
*
Sulle bianche pietraie aguzze
Il Tuo sangue hai versato,
Per difender Ledenice
La Tua vita hai donato
*
Noi alpini, tutti quanti
diventati "Partigiani",
Combattiamo chi T’uccise
Con potenti mezzi arcani.
*
Se in Italia torneremo
Ti faremo un "Monumento"
Che racconti la Tua storia,
Tuo coraggio ed ardimento!
*
Caro alpino "Penna Mozza"
Non temere che noi tutti
Pugneremo con fermezza…
Contro i vili farabutti!
*
Or riposa combattente
Della "sacra Libertà"
Noi diremo alla tua gente,
Che per essa tu sei qua.
*
Sulle "Lande Cattarino"
Senza nome e senza croce
Non narcisi o stelle alpine
… Hai trovato la Tua "Pace".
*
Se un dì su questa terra
Noi dovessimo tornare,
Da borghesi, senza guerra,
Ti verremo a salutare!

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Delvisio Deli – Lager Brunnenthal "Arburge"

Delvisio Deli
Lager Brunnenthal "Arburge"
1 settembre 1944

I
Sorge il canto mio come l’Aurora,
Che spunta Febo alle nostre colline.
Lo stesso il canto mio si ristora,
Perché ve bevve l’acque cristalline.
Pronto lo ritrovo a qualunq’ora,
Come si gioca con dama e pedine.
Con la mossa pronta al suo dovello,
Come l’alpino è adatto al suo fardello.
II
È quasi un anno e non mi sembra bello,
Tirar fuori questa mia Musa,
Perché l’ho messa dentro ad un castello,
Come ‘na monachella l’ho rinchiusa.
Chiedo perdono su di questo e quello,
Per primo uso io la mia scusa.
Se manca su di me tale cultura,
Che non adotto la giusta misura.
III
Son prigioniero chiuso dentro le mura,
E là meno una vita tribolata.
Ma su di questo non uso paura,
La musa è la mia vecchia fidanzata.
Voglio mettermi ancora con premura
A far sentire la voce tanto amata.
Come quando io ero ventenne,
Poi grigio-verde la mia vita venne.
IV
Lontano sono io da ogni parente,
Non vedo notizia paesana,
Nemmeno un sacco per dar gusto al dente,
Per mangiare un po’ di roba sana.
Ma dentro il cuore mio tutto è presente,
Un desiderio d’amor sempre brama.
Quello d’aver salute fino in fondo,
Al ciclo operativo furibondo.
V
0 Dio del ciel proteggi tutto il mondo,
Dona la pace, ché l’è molto attesa.
A questi capi fai saldare il conto,
Che han fatto la guerra per pretesa.
Contro di loro è tutto il mondo,
Vonno tenere ancor la guerra accesa.
Per dominare i popoli latini,
Così ne pensa Hitler e Mussolini.
VI
Ma tutti i giorni vengono i cugini,
Buttando giù le dette caramelle.
Sono convinti ancor questi assassini,
Benché sanno lasciarci, si, la pelle.
Stanno per consegnare i confini,
Restando tutti con le parolelle.
Sono convinti ancor della vittoria
E la campana già gli sona gloria.
VII
Tutto ne verrà scritto sulla storia,
Ciò che fa questo popolo brutale.
Resterà inciso nella memoria
E per me resterà vecchio rivale.
Se salvo resterò su questa boria,
Per ritornar nella casa natale,
farò preghiera di ringraziamento
A Iddio supremo su nel firmamento.
VIII
Mi richiudo di nuovo a ‘sto commento,
Seguitando or la vita tribolata.
Ma la prego in ogni momento,
la Divina Madre Immacolata.
Ché un giorno finirà questo tormento,
Questa vita mia sia liberata.
Così posso tornare a casa mia,
Ringraziando la Vergine Maria.

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Michele Mostabilini – Ave Maria dei Prigioniero

Michele Mostabilini
Ave Maria dei Prigioniero

(Canzoni del Prigioniero dei Lager tedeschi)
I
Ave Maria grazia plena
fa che non suoni la sirena
fa che non vengano gli aeroplani
fammi dormire fino a domani
e se una bomba cade quaggiù
o Santa vergine aiutami tu
fa che io vedi il cielo blù
fa che la dicat non spari più.
II
O Madonnina che tutto vedi
fa che i muri restino in piedi
e se le case debbono crollare
facci la grazia di noi salvare
anche gli Angeli sono tutti soldati
Se l’asino è a Roma
ed il bue a Berlino
come può nascere Gesù Bambino
III
Il papa veglia sospira e prega
i santi tutti di amore accesi
perché tutte le notti vengono gli Inglesi
O mia cara e buona Madonnina
tutte le notti dormo in cantina
O mio caro e Buon Gesù
in tutta la Germania non si dorme più
IV
Per l’insalata ci vuole l’olio
non si può vivere senza Badoglio
Solo ascoltando quel Mussolini
abbiamo perduto tutti i confini
intanto tutti dobbiamo soffrire
o Padre Santo fallo morire
V
Dhe! chiami il Duce con te lassù
Lui se lo merita o Buon Gesù
chiama pur Hitler in compagnia
fammi questa grazia e così sia.

Tratto da
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Francesco Guccini – Dio è morto

 

Francesco Guccini
Dio è morto
Ho visto la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già
dentro le notti che dal vino son bagnate
dentro le stanze da pastiglie trasformate
dentro le nuvole di fumo
nel mondo fatto di città
essere contro od ingoiare
la nostra stanca civiltà.
È un Dio che è morto
ai bordi delle strade, Dio è morto
nelle auto prese a rate, Dio è morto
nei miti dell’estate, Dio è morto.
M’han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede
nei miti eterni della patria e dell’eroe
perché è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità
le fedi fatti di abitudini e paura
una politica che è solo far carriera
il perbenismo interessato
la dignità fatta di vuoto
l’ipocrisia di chi sta sempre
con la ragione e mai col torto.
È un Dio che è morto
nei campi di sterminio, Dio è morto
coi miti della razza, Dio è morto
con gli odi di partito, Dio è morto.
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi
perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore è per tre giorni
e poi risorge.
In ciò che noi crediamo Dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
nel mondo che faremo Dio è risorto!

Anonimi – Piccole poesie garibaldine

Piccole poesie garibaldine

Evviva i delegati
la giunta, il podestà.
Con tutta 4 questa gente
a mangiar come si fa?
Rosso

Io, ci credo, son minchione;
ma il perché vorrei sapere
perché non si possa avere
un sol pezzo di sapone.
Cello

Ho la giacca rattoppata
ho i calzoni un po’ sfondati,
cosa fanno i delegati?
L’intendente di Brigata?
Napoli

Porca l’oca quei pidocchi
sono come i patrioti,
più rastrelli più ne schiacci,
più ne trovi nei tuoi stracci.
Pedro

Io proprio non capire,
certo, la ni panimaiu
perché non poter dormire
per pidocchio, io niesnaiu.
Joseph

Sono il più giovane
della brigata
e voglio a pranzo la marmellata.
Armando

Il comunismo miei signori
è una grave malattia
e per forza, in fede mia,
non è bello si lavori.
Io vorrei sempre fumare
sigarette in quantità,
e la radio ascoltare
con soave voluttà,
e lisciarmi i favoriti
alla faccia dei partiti
Maria Gilberta,

Oi gibi oi gibi …..
non posso continuare perché ho visto
qualcuno guardarmi con viso truce.
Giggi

Poeta io son,
Ettor mi nomo,
e la mia musa
a Niella sta.
Da Cravanzana
è troppo lontana.
Come si fa?
Ettore

Eccolo qui
il commissario
che monta in sci
con stile vario
si crede ognor
bravo sciator
e di gran fama
Ettor si chiama.
Fieramosca

Pier Paolo Pasolini – Alla mia nazione

Pier Paolo Pasolini

Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico,
        ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
        governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
        funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
        Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
        tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
        proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
        che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Oradour sur Glane, la Marzabotto francese

Oradour sur Glane, la Marzabotto francese

Oradour sur Glane, luogo di un atroce massacro, è una delle più tremende testimonianze degli orrori della seconda guerra mondiale.

Oradour sur Glane si trova a venti chilometri a nord-ovest di Limoges, nella regione Limousin, dipartimento Haute-Vienne. Seicentoquarantadue furono le vittime del massacro operato da SS tedesche, uomini, donne e bambini: tra di loro anche una famiglia di contadini italiani, composta di sette persone

La strage fu operata da un distaccamento del 1° battaglione del 4° reggimento dei Panzergrenadier Der Führer, appartenente alla Panzedivision Das Reich delle Waffen-SS. È il più grande massacro di civili commesso in Francia dall’esercito tedesco, il 10 giugno 1944, assai simile a quello di Marzabotto in Italia o di Distomo in Grecia.

Con lo sbarco degli Alleati in Normandia, il 6 giugno 1944, i partigiani del Limousin intensificano le operazioni di sabotaggio e di disturbo per ostacolare i movimenti delle truppe tedesche.

Il 10 giugno, la 2a SS Panzerdivision Das Reich (15.000 uomini a bordo di 1.400 mezzi di trasporto, tra cui 209 carri armati, al comando del generale SS Lammerding, arriva a Limoges.

A una ventina di chilometri da Limoges, Oradour, in questa prima metà del XX secolo, é un villaggio di mercato. Il sabato, molti abitanti di Limoges vengono a fare le loro provviste, utilizzando il tram che collega Oradour alla città in circa mezz’ora.

Nel 1936, nel territorio del comune di Oradour si contavano 1574 abitanti, di cui 330 risiedevano nel borgo. Politicamente il comune era schierato chiaramente a sinistra, con una predominanza del partito socialista, soprattutto dopo le elezioni del 1935 in cui i partiti di destra avevano perso la loro rappresentanza in Consiglio comunale. I parlamentari eletti nell’Haute-Vienne, tutti socialisti, avevano votato all’unanimità i pieni poteri al maresciallo Pétain, il 10 luglio 1940, ad eccezione di Léon Roche, eletto nella circoscrizione che comprende Oradour.

Dal 1939 al 1944, la popolazione di Oradour era aumentata per l’arrivo di rifugiati, arrivati prima in tre ondate successive, poi in modo costante. All’inizio del 1939 erano arrivati dei repubblicani spagnoli, sconfitti dal franchismo, anarchici, comunisti e socialisti, di cui 22 erano ancora presenti alla fine del 1943. Nel settembre 1939 era stata la volta delle popolazioni evacuate dall’Alsazia, che fuggivano dalla guerra, ma non tanto bene accolte, la maggior parte avevano preso la via del ritorno nell’estate del 1940. La terza ondata era costituita da un‘ottantina di persone espulse dalla Lorena, che non nutrivano alcuna speranza di tornare ai loro paesi. Infine, a partire dalla sconfitta della Francia, arrivano, poco a poco, dei rifugiati provenienti dal Nord, dal Pas-de-Calais, da Montpellier e da Avignone, degli ebrei provenienti dalla regione parigina, dalla Meurthe-et-Mosella o da Bayonne. Nel giugno 1944, Oradour conta un migliaio di abitanti, essenzialmente in seguito a questo afflusso di rifugiati.

La presenza tedesca nella regione ha avuto inizio nel 1942, quando i tedeschi hanno invaso la zona libera della Francia, e, nella primavera del 1944, l’occupazione non sembra essere opprimente.

Non c’erano partigiani a Oradour-sur-Glane o negli immediati dintorni, come risulta dalle testimonianze unanimi degli abitanti, suffragate dai rapporti dell’amministrazione di Vichy e dai principali capi della Resistenza della regione. Oradour-sur-Glane non figura sui documenti dei partigiani ritrovati dalla Gestapo a Limoges. I partigiani più vicini alla località erano quelli dei monti di Bloud. Costituita da sei compagnie di FTP, questa era la più potente formazione di resistenza dell’ Haute-Vienne, dopo quella del comunista George Guingomin, ad est di Limoges. Due di queste compagnie, a circa otto chilometri da Oradour, erano dislocate nei boschi dei comuni vicini. Ad ovest, alla stessa distanza, vi erano altre formazioni di partigiani FTP. Al ritorno da Saint Junien, un paese a tredici chilometri a sud ovest di Oradour, Albert Morablou, fotografo clandestino dei movimenti uniti della Resistenza (MUR) di Limoges, venne arrestato e ucciso a Oradour.

L’esistenza di questi gruppi era nota agli abitanti di Oradour, alcuni dei quali era dei fiancheggiatori dei partigiani, che potevano essere mobilizzati in caso di necessità.

Alla fine di maggio 1944, l’Oberkommando della Wehrmacht (OKW) nota una «forte crescita dell’attività dei movimenti di resistenza nel sud della Francia, particolarmente nelle regioni di Clermont Ferrand e di Limoges e l’annuncio di numerosi reclutamenti nell’esercito segreto». Ciò è confermato dalla relazione del prefetto regionale di Limoges, che nota la moltiplicazione delle azioni della Resistenza: 593 in marzo, 682 in aprile e 1098 in maggio

L’8 e il 9 giugno, in scontri tra partigiani e soldati tedeschi, il comandante Helmut Kämpfe, responsabile di numerosi soprusi, viene catturato e ucciso insieme ad un altro ufficiale, il tenente Karl Gerlach.

La divisione SS Das Reich

All’inizio del 1944, dopo aver subito pesanti perdite sul fronte orientale, la 2a divisione blindata SS Das Reich viene trasferita nella regione di Montauban per essere riformata in previsione di uno sbarco alleato in qualche zona del fronte occidentale. É formata da 18.000 uomini, con l’appoggio di blindati leggeri e carri armati. I suoi membri sono impregnati di ideologia nazional-socialista: hanno combattuto sul fronte orientale, si considera un’unità militare d’elite e a già partecipato ad azioni antipartigiane.

All’indomani dello sbarco in Normandia, la divisione riceve l’ordine di posizionarsi nella regione tra Tulle e Limoges per contrastare i partigiani che, dopo l’annuncio dello sbarco alleato, hanno intensificato le azioni di sabotaggio e di disturbo delle guarnigioni tedesche.

La lotta antipartigiana è regolata da ordini emessi, dopo l’intervento personale di Hitler; sono conosciuti come “ordinanza di Speerle”, dal nome del maresciallo aggiunto all’alto comando dell’Ovest. Stabiliscono che la truppa é tenuta a ribattere immediatamente agli atti terroristici, rispondendo al fuoco e, se dei civili innocenti sono coinvolti, la responsabilità ricade esclusivamente sui terroristi. Le zone devono essere circondate, tutti gli abitanti, qualunque essi siano, devono essere arrestati; le abitazioni che hanno dato rifugio ai partigiani devono essere incendiate. L’ordinanza prosegue precisando che «verrà punito il comandante che mancando di fermezza e di risolutezza mette in pericolo la sicurezza delle truppe che sono ai suoi ordini e l’autorità dell’esercito tedesco». Questa volontà di inasprire la repressione contro la Resistenza è condivisa dal maresciallo Wilhelm Keitel, che dà l’ordine, nel marzo del 1944, di fucilare i partigiani catturati con armi alla mano e di non consegnarli ai tribunali.

Tra l’inizio di maggio e il 9 giugno 1944, la divisione, e in modo particolare il reggimento Der Führer, effettua, in base alle direttive del controspionaggio, numerose missioni alla ricerca di basi e di depositi dei partigiani, ed operazioni di risposta ad azioni della Resistenza. Nel corso di queste operazioni, circa sessanta partigiani sono uccisi e venti inviati nei campi di concentramento; un centinaio di civili vengono uccisi in varie circostanze e un migliaio deportati in Germania. Più di cento abitazioni sono incendiate.

L’8 giugno 1944, due reggimenti dei Panzergrenadier accerchiano la regione di Limoges per preparare il posizionamento della divisione nel settore, per far cessare le azioni partigiane. Il 1o battaglione del 4o reggimento Der Führer, agli ordini del comandante Adolf Diekmann, è impegnato nei pressi di Saint Junien, a 12 chilometri da Oradour. Per far venir meno il sostegno della popolazione ai partigiani e far diminuire la loro attività per timore di rappresaglie, le SS preparano un’azione mirante a produrre terrore. I motivi della scelta della località di Oradour per questa azione sono oscuri e controversi, per la scomparsa dei testimoni e la mancanza di documenti.

Verso le ore 13,30 del 10 giugno 1944, due colonne lasciano Saint Junien; la più importante delle due è composta da 8 camion, due blindati cingolati e un motociclista di collegamento. Prendono la direzione di Oradour sur Glane. É comandata dal Sturmbaunführer Adolf Diekmann, che si mette alla testa del convoglio a bordo di un blindato. Tre squadre della 3a compagnia, alle quali si aggiungono le squadre comando della compagnia e del battaglione, per un totale di cento uomini muniti di armi leggere – fucili, granate, mitragliatrici, fucili lanciafiamme e lanciagranate – oltre ad una squadra di mitragliatrici pesanti, si dirigono verso Oradour. Al momento della partenza, il comandante della 1a squadra, Heinz Barth, dichiara: «i mette male; vedremo quello che sono capaci di fare gli Alsaziani».

Un chilometro prima del villaggio, la colonna si ferma per la suddivisione dei compiti tra ufficiali e sottoufficiali. Un primo gruppo, composto tra i cinque e gli otto veicoli, entra nel borgo da est, passando sul ponte del Glane, verso le ore 13,45, secondo la testimonianza di Clément Boussodier, che assiste al passaggio dei camion. Questo spiegamento di forze non suscita alcun panico, ne apprensione particolare: benché il farmacista ed altri commercianti abbassino le saracinesche, il parrucchiere si reca ad acquistare del tabacco, mentre un suo aiutante si occupa di un cliente. Diversi abitanti del borgo, che praticamente non avevano mai visto di tedeschi, osservano l’arrivo delle SS con curiosità. Altri invece si danno alla fuga o cercano di nascondersi.

Il comandante Adolf Diekmann, insediato in municipio, convoca il dottor Desourteaux, presidente della speciale delegazione designata dal regime di Vichy, che fa le veci del sindaco: gli ordina di far riunire la popolazione nella piazza del mercato. Un banditore, attraversa le vie del borgo, avvertendo gli abitanti e le persone di passaggio, numerose in ragione di una distribuzione di carne e di tabacco. Le SS costringono gli abitanti della periferia a recarsi in centro. Il rastrellamento è sistematico ed interessa anche le quattro scuole comunali, 191 bambini, due maestri e tre maestre. Benché sia sabato pomeriggio, i bambini sono invitati a recarsi a scuola con la motivazione di una visita medica. Nel giro di un’ora, tutti gli scolari e gli insegnanti sono riuniti nelle scuole. Coloro che tentano di fuggire o che non possono muoversi sono immediatamente ammazzati.

Verso le 14,45 un Waffen-SS alsaziano traduce agli uomini riuniti nel piazzale l’ordine del comandante Diekmann: le SS hanno sentito parlare di un nascondiglio di armi e munizioni a Oradour; chiedono a coloro che posseggono un’arma di fare un passo in avanti. Minaccia di incendiare tutte le case per far saltare il deposito clandestino. Di fronte a nessuna reazione, l’ufficiale chiede al sindaco di scegliere trenta ostaggi, ma questi risponde di non poter soddisfare la richiesta: assicura che gli abitanti non sono a conoscenza di un tale deposito di armi e garantisce per loro. Secondo un sopravvissuto, Robert Hébras, di anni diciotto, dopo un va e vieni in municipio del comandante e del sindaco, quest’ultimo conferma il suo rifiuto e si offre come ostaggio, e all’occorrenza, lo stesso faranno i suoi più stretti familiari. A questa proposta, l’ufficiale ride e lancia accuse. Verso le ore 15, le donne e i bambini vengono condotti in chiesa tra scene strazianti. L’interprete ripete la richiesta di denuncia: «Mentre noi facciamo delle perquisizioni, vi raduniamo nei fienili. Se conoscete qualcuno di questi depositi, siete pregati di indicarceli». Dopo un’ora di attesa, gli uomini vennero condotti in diversi locali occupati dalle SS.

Verso le ore 15,40 arriva un tram da Limoges con tre impiegati a bordo: viene fermato poco prima del ponte sul Glane e gli viene impedito ogni movimento con una zeppa sotto le ruote. Uno degli impiegati scende dal tram mentre stanno transitando un gruppo di uomini rastrellati nei casolari circostanti il borgo, controllati da alcuni soldati. Viene immediatamente ucciso e il suo corpo viene gettato nel fiume. Gli altri due, portati davanti ad un ufficiale; gli vengono controllati i documenti e viene ordinato loro di risalire sul tram e tornare a Limoges.

Il massacro

180 tra uomini e giovani al di sopra dei quattordici anni, a gruppi di 30, vengono condotti in sei luoghi di esecuzione. Le mitragliatrici si scatenano verso le ore 16. I corpi vengono poi ricoperti di fieno, di paglia e di fascine a cui viene appiccato il fuoco. Nel gruppo di cui faceva parte il sindaco, sei riescono a fuggire, uno viene subito freddato da una sentinella. I cinque fuggitivi sono gli unici sopravvissuti alla strage.

Le SS che non che non partecipano al macello, quattro o cinque di ogni plotone, attraversano il villaggio dedicandosi a ruberie: gioielli, soldi, vestiti, biciclette, animali. Dopo i furti, le case vengono sistematicamente incendiate. Alcuni abitanti che si erano nascosti sfuggendo al rastrellamento, scoperti durante le ruberie o nel tentativo di scappare dai loro rifugi a causa degli incendi, vengono massacrati. Sentendo i colpi di arma da fuoco, alcuni genitori residenti in periferia, preoccupati per i bambini che non erano ancora ritornati da scuola, si recano nel centro di Oradour, dove vengono uccisi.

Tra le 350 donne rinchiuse nella chiesa, solo Marguerite Rouffanche, di 47 anni, riesce a scappare. La sua testimonianza è unica, ma è suffragata anche dalle deposizioni di alcune SS durante il processo svoltosi a Bordeaux nel dopoguerra. Feritasi durante la fuga, viene ricoverata in ospedale, dove racconta tutto ciò che ha visto e vissuto a un membro della Resistenza, Pierre Poitevin. Il 13 giugno, anche il prefetto di Limoges raccoglie la sua testimonianza e redige un documento: il testo viene ripreso in una nota del 13 luglio del segretario di Stato alla difesa, inviata alla Commissione d’Armistizio franco tedesco di Wiesbaden.

Dopo 18 ore dal massacro, un ingegnere, Jean Pallier, arrivò in camion in vista di Oradour. Viene fermato con i suoi compagni di viaggio a 300 metri dall’ingresso del villaggio. Viene poi raggiunto dai passeggeri del tram arrivato da Limoges con alcuni abitanti di Oradour. Tentando di raggiungere il borgo attraverso i campi, Jean Pallier constata che la località é completamente circondata da un cordone di truppe armate. Un gruppo di una quindicina di persone viene arrestata verso le ore 20 e, dopo diversi controlli d’identità, rilasciati con l’ordine di allontanarsi dal villaggio. Un sottoufficiale, che parla correttamente il francese, dichiara ai componenti del piccolo gruppo: «Potete ritenervi fortunati».

Il massacro é terminato.

Ad eccezione di una squadra di guardia, le SS lasciano Oradour tra le 21 e le 22,30. Le SS passarono la notte nella casa Dupic, nella quale saranno trovate più di centinaia di bottiglie di vino invecchiato e di champagne, svuotate di recente.

L’11, poi il 12 giugno, gruppi di SS ritornano a Oradour per seppellire i cadaveri e per rendere impossibile l’identificazione, pratica usuale sul fronte orientale. Jean Pallier è stato una delle prime persone ad entrare a Oradour: «Tutti gli edifici, compresa la chiesa, le scuole, il municipio, la posta, la casa dove abitava la mia famiglia, non erano che delle rovine fumanti».

Nella serata dell’11 giugno o nella giornata del 12, il sottoprefetto di Rochechonart, arrivò ad Oradour: «Non ho trovato che dei resti fumanti e mi son reso conto che non erano necessari soccorsi immediati». Il 13 il prefetto regionale di Limoges ottiene l’autorizzazione delle autorità tedesche di recarsi ad Oradour, insieme al vescovo. Nel rapporto che invia il 15 giugno a Vichy, benché il prefetto riprenda la versione delle SS secondo a quale l’operazione era seguita alla cattura di un ufficiale, tiene a «sottolineare che il villaggio di Oradour sur Glane era uno dei comuni più tranquilli del dipartimento e che i suoi abitanti, laboriosi e tranquilli, erano conosciuti per la loro moderazione».

Il numero delle vittime fu 642, ma solo 52 corpi furono identificati. Tra i morti, si contarono 393 persone domiciliate, o rifugiate a Oradour, 167 abitanti di villaggi e frazioni del comune, 93 residenti a Limoges, 25 persone residenti nell’Haute-Vienne e 18 di altri dipartimenti. Le vittime comprendevano quaranta cittadini della Lorena, sette o otto dell’Alsazia, tre polacchi e una famiglia italiana di contadini, composta da sette persone.

Le 635 vittime, suddivise per ètà, erano: 25 di ètà inferiore ai cinque anni, 145 tra 5 e 14 anni, 193 giovani maschi e uomini, tra cui il curato del paese di 70 anni e i suoi due vicari, 240 giovani femmine o donne maggiori sei 14 anni.

Una trentina di abitanti sopravvissero alla strage. Circa quarantacinque persone, tra cui 12 passeggeri del tram di Limoges, arrivati dopo la fine del massacro, sono sfuggite in diversi modi alle SS.

In seguito a questo massacro, lo Stato francese decise di costruire un nuovo borgo, con una pianta simile al vecchio, mantenendo le rovine del vecchio villaggio a testimonianza dell’orrore.

Dal 1946, le rovine del Villaggio Martire sono classificate Monumento storico. Nel 1999 è stato inaugurato il Centro della Memoria.

Il trauma causato da questo dramma, la scomparsa di una generazione, la vicinanza delle rovine, hanno reso difficile la «rinascita» che è iniziata solamente agli inizi degli anni ’60 con la nascita di piccole aziende e botteghe artigianali. Oggi Oradour sur Glane è un centro attivo che conta 2200 abitanti con i suoi commerci, le sue attività industriali e le sue numerose associazioni.

Tratto dal

Sito ANPI di Lissone