La battaglia dell’ospedale Maggiore e del Macello I° Parte

 

clip_image002

 

Monumento celebrativo della
Battaglia di Porta Lame

 

La battaglia dell’ospedale Maggiore e del Macello

 

I° Parte

 

Epico novembre
Il Comando angloamericano che dirigeva le operazioni sul fronte italiano, nel mese di settembre, trasmise l’ordine al C.U.M.E.R. di concentrare le forze partigiane in città. Ormai il fronte si era spostato ancora verso il Nord e gli alleati stavano arrivando alle porte di Bologna. Il concentramento delle forze partigiane era dunque il preludio del.. l’insurrezione. Questo almeno lasciava intendere il Comando angloamericano. La verità tuttavia era un’altra: gli alleati avrebbero tardato la loro avanzata su Bologna e oltre Bologna di ben sei mesi: ciò voleva dire che l’ordine di concentrare in città le forze partigiane per dare il via all’insurrezione nascondeva il proposito di mandare allo sbaraglio tali forze per vedere il moto insurrezionale soffocato nel sangue. Soltanto l’intelligenza e la prudenza del Comando patriottico impedí che il fiore delle forze partigiane bolognesi fosse distrutto in uno scontro disuguale e prematuro. Tuttavia il concentramento in città avvenne.

 

Le due basi cittadine più grandi erano quelle dell’Ospedale Maggiore e del Macello: Erano « basi » dunque situate nella parte forse piú devastata di Bologna, dove cioè i bombardamenti alleati avevano colpito con maggiore violenza. In queste « basi » furono raccolti i distaccamenti gappisti della 7′.
Percorrendo via Lame, ad un tratto, ci si trovava davanti alle gigantesche rovine dell’Ospedale Maggiore. L’edificio centrale, nei suoi muri maestri rimasti in piedi, era ancora imponente. Diroccato, crollato, scalcinato, con le vaste aperture delle finestre scardinate, la mole aveva un po’ l’aria di una vecchia fortezza abbandonata e smantellata dal tempo. Da una parte, come in un vero fòro romano, erano anche rimaste alzate tre colonne della cappella funeraria.
In questa « base » furono nascosti circa 230 uomini, che vi abitarono per un mese. Nei sotterranei erano state sistemate le cucine e in seguito il distaccamento di Anzola comandato da « Sugano »; al pianterreno tre squadre di città e il distaccamento di Castelmaggiore comandato da « Bill »; al primo piano il distaccamento di Castenaso, guidato dal « Monello ».
Il comandante della « base » era « Paolo », il commissario politico « Giacomo ». L’armamento era buono: una decina di mitragliatori, circa 130 armi automatiche corte e poi i moschetti e le pistole personali. Nel sottotetto non crollato era stata inoltre piazzata una mitragliatrice che dominava lo sbocco di via Riva di Reno in via San Felice. Nella « base » c’erano anche dei camion e delle automobili sottratti ai tedeschi.

 

La « base » del Macello era situata poco distante e precisamente sull’angolo di via del Macello con via Azzogardino, che poco più su sbocca in via Lame. Si trattava di un piazzale cintato e munito di un malfermo cancello: nel piazzale c’era una palazzina a due piani, che dava in via Azzogardino; giù dal piazzale, sul retro della palazzina, c’era un altro edificio piú grande, che sporgeva sul piazzale ma aveva le fondamenta lungo un canale detto Navile che costeggia un tratto di via del Porto.
In questa « base » dunque avevano preso stanza circa 75 tra Gap e staffette: nella palazzina c’era il comando e il magazzino, nella casa sul canale era acquartierato il grosso degli uomini.
« Aldo » comanda la « base » e « William » è il commissario politico. Con loro ci sono cinque staffette: « Tosca », « Rina », « Diana », « Bruna » e « Loredana », piú una quindicina di partigiani, tra cui « Gino », « Polivo », « Sganapino » e « Sergio » venuti dalla montagna. E poi « Primo », « Walter », « L’Americano », « Marino », « Slim » « Carlone » e « Arturo ».
Nell’altro casamento abitano 55 Gap: 42 del distaccamento di Medicina e 13 di città. « Libero » è il comandante del Distaccamento Medicina. « Drago » ne è il vice, « Magrino » il commissario. ‘Fra i Gap troviamo, « La nonna », « Perpetua », « Sparafucile », « Poker », « Gabor », « Cadivela ». Tra i Gap di città s’incontrano invece « Repubblica », « Rudi », « Remo », « Piva », « Giulio », « Cognac », « Sealabrìno », « Bridge », il « Toscano », « Romagnino », « Franz » e « Giulio » il cuoco.

 

Ci sono pure gli stranieri – un ufficiale inglese, giovane e coraggioso; un olandese, biondo e tarchiato, che non sa una parola d’italiano; Enz, un tedesco di vent’anni, pallido, biondo e secco come un bastone: era un disertore, un antinazista, e raccontava che la sua famiglia era stata massacrata; i Gap però lo controllavano e lui, accorgendosene, si disperava. « Non avete fiducia in me », diceva. E c’era anche un russo, « Nicolai », di Odessa: era stato portato via giovanissimo dai tedeschi e poi messo a fare il soldato nell’esercito hitleriano.
La vita delle « basi » trascorreva piuttosto inattiva, in attesa del momento insurrezionale. I Gap avrebbero dovuto guidare l’insurrezione e salvaguardare le centrali elettriche e telefoniche e ogni altro genere di impianti d’interesse pubblico. Nelle due « basi », in questo periodo, si intensificò anche l’educazione politica dei gappisti attraverso discussioni e conversazioni sui problemi più vivi del momento. Tuttavia nei Gap c’era piú impazienza di metter mani alle armi che di far discussioni.
Ilio Barontini, « Dario », ai primi di novembre visitò la « base » dell’Ospedale Maggiore e parlò agli uomini. Disse che i tedeschi erano in ritirata su tutto il fronte e che il momento dell’insurrezione si avvicinava; tuttavia disse anche che era difficile stabilire quando l’insurrezione avrebbe dovuto incominciare: ciò dipendeva dai movimenti degli alleati, i quali non sembrava si preoccupassero troppo di mantenere le parole date.
Cosí, in un’attesa rotta soltanto da qualche breve sortita di due o tre Gap per giustiziare una spia
o un comandante repubblichino, i giorni passavano monotoni. Gli uomini incominciavano a sentirsi a disagio.

 

E venne l’alba del 7 novembre.

 

Quel mattino « Pietro », l’artificiere, era uscito da uno dei suoi magazzini con un triciclo carico di bombe. Lo accompagnava il « Piccio » in bicicletta.
Faceva ancora buio. Avvolto in un mantello grigioverde, « Pietro » pedalava verso la « base » del Macello. Quando fu in via dei Mille s’imbatté in un folto sbarramento di fascisti. Lo fermarono. « Scendi », gli disse uno. « Pietro » scese e vide poco distante un gruppo di altri passanti essi pure fermati. I fascisti li spingevano dentro al Seminario disabitato. Anche « Pietro » e il « Piccio » furono messi con quella gente. Un tale domandò ai fascisti: « Ma che cosa succede? ». Un brigatista nero gli rispose: « Abbiamo messo le mani su un covo di ribelli e adesso li liquidiamo ».
In questo istante si udí un fitto crepitare d’armi da fuoco. « Pietro » e il « Piccio » si guardarono in volto; poi, tra la gente racchiusa in un enorme stanzone del Seminario, parve ad essi di riconoscere due staffette gappiste: la « Rina » e la « Diana ». Si avvicinarono. « Pietro » toccò « Diana » a una spalla. La « Diana » si voltò e fu quasi per gridare. Poi informò subito « Pietro»: « La “base” del Macello è circondata. Sono parecchie centinaia di fascisti. Eravamo uscite in perlustrazione e non abbiamo più potuto rientrare ».
« Pietro » si guardò attorno: nello stanzone c’erano dei finestroni aperti. Egli pensava al suo
furgoncino carico di bombe abbandonato sulla strada in mezzo ai fascisti. Se lo scoprivano era la fine. « Usciamo di là », disse. I quattro patrioti si arrampicarono e si trovarono in una cantina. Poi, di cantina in cantina, riuscirono a sbucare all’aperto. Quando furono di nuovo fuori, intesero ancora più forte, dalla parte del Macello, il fragore della fucileria.
I Gap di via Azzogardino erano infatti circondati. Ma come avevano fatto i nazifascisti a scoprire la « base »? Il fatto era accaduto soltanto una ora prima. Al di là del Navile, dal lato di via del Porto, era in atto un rastrellamento. La « base » dei Gap sembrava praticamente fuori dalla zona battuta dai tedeschi e dai fascisti. Invece alcuni di essi, scorgendo nel canale di via del Porto, giù dalla scarpata, un ponticello di cemento che l’attraversava, conducendo proprio alla porta del casamento dov’erano alloggiati i Gap di Medicina, furono tentati di andare a vedere: infatti scesero, passarono il canale e si diedero a bussare alla porta. I Gap però sono in parte svegli. « Libero » e « Sparafucile » stanno anzi dietro la porta puntellata e spiano fuori.

 

Viene dato l’allarme. I Gap occupano i loro posti di combattimento al primo piano. Sono silenziosi, precisi, veloci. Intanto i tedeschi percuotono la porta sempre più forte. Poi si ritirarono sul ponticello chiamando rinforzi: « Kamarad! Kamarad! ». La « base » è scoperta; ma è a questo punto che, dal primo piano, i Gap aprono il fuoco .
I soldati che stanno riattraversando il ponticelio sono falciati: cadono l’uno addosso all’altro, spendolando sull’acqua.

 

segue

Lascia un commento