La III Brigata Garibaldi – Torello Sardi I° Parte

La III Brigata Garibaldi

Ricordi di Torello Sardi

I° Parte

Premessa

Dopo circa tre mesi di duri combattimenti, di sacrifici dolorosi, di adattamento alla guerriglia, di gravi perdite, quanto restava delle Divisioni «Venezia» e «Taurinense», il 2 dicembre 1943 si uni in un’unica Divisione italiana partigiana «Garibaldi».

I suoi circa 10.000 fra caduti e dispersi sono la testimonianza più evidente della dura lotta sostenuta contro i tedeschi ed i loro alleati (cetnici, ustascia ed un buon numero di musulmani), contro la fame, il freddo, gli scarsissimi rifornimenti avuti e le malattie.

Racconterò, sul filo della memoria, l’odissea di una delle sei Brigate della «Venezia» che poi divenne III «Garibaldi».

Il 1° battaglione dell’84 fanteria

L’ordine del Comando tedesco era stato succinto, categorico: raggiungere le basi di Mitrovica e di Priboj con tutte le armi, automezzi, uomini. Ad ogni arma mancante sarebbero stati fucilati 10 uomini ed il proprio comandante di compagnia. Ad ogni automezzo reso inefficiente, sarebbero stati fucilati un ufficiale e 10 uomini.

A tali ignominiose condizioni non si poteva che rispondere negativamente.

Il I battaglione dell’84° fanteria, prima di essere trasformato in IV Brigata «Venezia», volle dimostrare le proprie virtù militari, l’alto spirito di sacrificio dei suoi fanti, la ferrea volontà nel combattere il vero nemico della Patria.

A metà ottobre veniva autotrasportato nei pressi di Lijeva Rjeka e fu là che, sulle quote di Pil Marica e Pil Krusica, dimostrò al nemico tutto il suo valore.

Il 20 dello stesso mese i tedeschi iniziarono la battaglia allo scopo di avere sgombra la rotabile di Berane e giungere tosto a sconvolgere, il nostro centro logistico. A Pil Marica dovettero segnare il passo per le perdite subite, sia dalla nostra artiglieria, sia dalle armi, benché poco idonee, dei fanti. Nella giornata del 21 i tedeschi, ricevuti i rinforzi ed in stretta collaborazione con una compagnia di carri armati ex italiani ed aviazione, ripassavano all’attacco.

Fu in quel giorno che il 1/84 iniziava le sue azioni come un reparto partigiano e non mancò di dimostrare le sue qualità guerrigliere. Lo stesso Col. Ljubo Vuckovic, comandante la IV Brigata proletaria montenegrina, che operava al nostro fianco, ebbe parole di alto elogio a riguardo del nostro reparto per lo sprezzo del pericolo e per il coraggio che aveva dimostrato in questa prima azione.

Si distingueva, in un primo momento, l’artiglieria che riusciva ad infliggere gravi perdite al nemico; la compagnia AA col fuoco dei suoi mortai da 81 che costrinse più di una volta i tedeschi a segnare il passo in attesa di rinforzi. Il Col. Ljubo fu tanto entusiasta nel vedere i mortaisti sparare con tanto accanimento che ebbe a dire al comandante di compagnia: «Con simili uomini non si trema mai». Si distingueva ancora la compagnia fucilieri che ebbe a sostenere l’epicentro della lotta. Questa fu la 3° compagnia, comandata dal Ten. Emilio Rubera, che per il valore dei suoi fanti, riuscì a logorare molto le forze avversarie di quota in quota prima che le stesse potessero occupare le posizioni di Matesevo… Durante questa aspra lotta le nostre perdite non furono rilevanti. Alcune decine di morti, fra i quali la bella figura del S.Ten. Stelvio Firpi, comandante di un plotone mitraglieri, rimanevano sul campo dell’onore.

Il 29 ottobre il 1/84 si costituiva in IV Brigata partigiana «Venezia», con un organico conforme alle Brigate dell’Eplj per rispondere a dei criteri tattici e logistici assolutamente necessari in quella regione montuosa.

Dall’ottobre al febbraio ’44, la Brigata operò in Montenegro non conoscendo tregua, con i più svariati compiti. In gennaio ’44 ebbe a sostenere uno degli attacchi più forti da parte di bande dei cetnici e musulmani e dirette da ufficiali tedeschi, provenienti dalla regione albanese di Plav e Gusinije. In una rapida e decisiva azione in collaborazione con la IV Brigata proletaria montenegrina, la Brigata infliggeva forti perdite al nemico in materiali ed uomini costringendo il nemico a ripiegare. Nel giorno della vittoria, ricordo con orgoglio, la ormai III Brigata «Garibaldi» cedeva, in segno di indelebile amicizia, alla IV montenegrina parte del bottino e cioè due mortai da 81 ed un cannone anticarro da 47/32. La solennità di quel giorno non ebbe precedenti ed i partigiani d’Italia unitamente a quelli della Jugoslavia si strinsero ancor più nelle file per ridonare nel più breve tempo possibile alla Patria l’agognata libertà.

La "Garibaldi"

Come già detto all’inizio, il 2 dicembre 1943 fu operata una ristrutturazione di tutte le forze residue delle Divisioni «Venezia» e «Taurinense» che cessarono di esistere come tali. Fu costituita così una nuova Unità partigiana che fu denominata «Garibaldi», ordinata su tre Brigate. In deroga alle disposizioni fu tenuta in vita la IV Brigata «Venezia» che si chiamò IV «Garibaldi» al comando del Magg. Albertini. A metà febbraio la III «Garibaldi» (che era stata comandata dall’eroico Magg. Piva, caduto il 5 dicembre ’43) fu disciolta ed alcuni suoi reparti passarono alla IV che assunse la denominazione di III, al comando della quale fu assegnato il Magg. Spirito Reyneri, subentrato al Magg. Albertini. Vicecomandante il Cap. G.F. Leonida Bertè.

Il Montenegro, regione povera e incolta, soprattutto per la conformazione del terreno molto montuoso, dovette essere ben presto abbandonato perché le condizioni alimentari si facevano sempre più critiche, non solo per noi, quanto per la popolazione ridotta da quelle alterne vicende quasi alla fame.

Verso la Bosnia

La II e III Brigata ricevettero l’ordine nel febbraio del 1944 di trasferirsi in Bosnia e continuare colà la lotta, il 18 febbraio ebbe inizio l’odissea di migliaia di uomini che scrissero sublimi pagine di storia. Dopo aver superato un inverno alquanto rigido in condizioni precarie, sia come vitto sia come vestiario, i fanti della «Garibaldi» intraprenderanno una marcia faticosissima in alta montagna e su neve mai inferiore al metro. Non doveva essere una marcia trionfale quella, ma per l’ennesima volta il fante andava incontro al sacrificio sempre con quello spirito che seppe distinguerlo in tutti i tempi.

La meta era Vlasenica ove si trovava il Comando del III Korpus dell’EPLJ, comandato dalla nobile persona del Gen. Kosta Nadj.

I chilometri erano molti soprattutto se si consideravano le condizioni ambientali ed atmosferiche. Lenta e con ritmo uguale la marcia proseguiva per monti e per valli; quei monti che da un momento all’altro potevano far apparire la sorpresa di qualche combattimento. I combattimenti non mancarono, come non mancò la stanchezza, come non mancò la fame. Fu nell’attraversare una zona povera ed incolta che i fanti della III «Garibaldi» mangiarono per vari giorni avena cruda ed abbrustolita; fu in quella regione che fu visto mangiare la paglia e le erbe più astruse; fu nell’attraversare quella zona che il fante si abbrutì perché stanchezza, fame, pidocchi si eressero a permanente martirio. Gli organismi naturalmente si logoravano e per conseguenza si sono vedute le scene più terribili. Persone che per la forte stanchezza avevano bisogno dell’aiuto del compagno per le necessità più impellenti; persone che per la forte dissenteria si spossarono tanto da non poter più reggere. E così le file si assottigliavano sempre più. Basti l’accenno che la mia compagnia, sprovvista dei suoi 56 quadrupedi, perduti lungo le lunghe marce per sfinimenti e disagi, ha portato a termine questa gigantesca marcia di trasferimento di più di 350 chilometri portando a spalla tutte le sue mitragliatrici, mortai da 81 e relative munizioni.

I fanti furono grandi, superiori alle loro forze. Mal nutriti, deboli, affamati, pidocchiosi portavano sopra le loro spalle quelle armi che la Patria aveva loro consegnato e fedeli al giuramento, le seppero custodire fino in fondo a costo dei più cari sacrifici.

Un giorno, al termine di una lunga tappa (nella precedente non si era mangiato), mandai indietro il S.Ten. Italo Luminasi per rintracciare alcuni uomini che erano rimasti lungo il cammino a causa della forte debolezza, della fame e della febbre, lo vidi ritornare insieme ad altri con addosso la piastra del mortaio da 81 e con le lacrime agli occhi mi gridò: «Sardi, ho trovato un nostro fante disteso sulla neve con la piastra ancora addosso stretta fra le sue forti mani. L’ho scosso, credendo che si fosse addormentato ed invece era morto».

Quanti ne sono rimasti lungo il cammino a causa dei disagi e soprattutto per la fame! Credo di non errare nel pensare che sacrifici simili a quelli che hanno sopportato in Balcania non stiano a confronto con alcun altro.

Combattere il tedesco, l’ùstascia, il musulmano, il cetnico era un compito duro sì, ma di importanza minore alle controversie frappostesi. Gorazde conobbe il valore della «Garibaldi». Ustipraéa ha ancora viva in sé l’eco del più violento combattimento, esploso all’una di notte, in mezzo ad un incrocio di valli che triplicarono il boato delle nostre armi pesanti. Le SS germaniche e croate furono messe in fuga precipitosa. Occupare Ustipraéa o tornare indietro; il passaggio era obbligato. Si giocò tutto per tutto in quell’inferno di battaglia: quel forte presidio, composto di tedeschi e di bulgari, fu infine sopraffatto e riuscimmo così a far passare sul ponte di Ustipraéa tutta la nostra Brigata, forte di ben circa 1500 uomini. Durante questa azione si distinse la compagnia del Cap. Corsivi.

Tra la vita e la morte

Da Ustripraéa ebbe inizio una delle più lunghe tappe che la storia della fanteria conosca, che io sappia. Per 56 ore consecutive, col diversivo di qualche scaramuccia, senza ingerire il benché minimo cibo od irrorare l’arsa gola con alcuna bevanda, la III Brigata, quasi all’apice d’ogni sforzo umano, s’accingeva a superare l’ultima parte della marcia e raggiungere così quella cittadina in seno alla Bosnia tumultuosa, che doveva essere poi spettatrice di una miseranda e dolorosissima tragedia.

Il 18 marzo a Vrinica si respingeva un attacco nemico; cadevano in combattimento i fanti Emoracchi Rino e Daggiano Cosimo già dèll’84° e l’artigliere Zeni Michele, già del 19′ Artiglieria.

L’alba del 20 fu alba di battaglia. Attaccati da preponderanti forze avversarie, la compagnia comando ed il battaglione, componenti il secondo scaglione che aveva ritardato la marcia perché il Comandante di Brigata era gravemente ammalato, fecero fronte alla nuova situazione creatasi, difendendosi accanitamente.–Le perdite in ufficiali e soldati furono elevate.

Dopo circa sei ore di combattimento, mitragliati e spezzonati dall’aviazione, accerchiati in una zona sconosciuta, parte di quei fanti che avevano fatto tanto parlare di sé, dovettero deporre le armi perché privi ormai di munizioni, perché esausti, affamati, stracciati, ammalati. Infatti tra questi primi prigionieri cominciò a serpeggiare il tifo petecchiale e ben presto, nell’improvvisato campo di concentramento a qualche chilometro da Sarajevo, cominciò a mietere vite umane di quei reparti della «Garibaldi». Stremati dalla fame, dal tifo, dai combattimenti e dalle ferite, trovarono eroica morte, unitamente a decine di soldati, il Magg. Spirito Reyneri, comandante la nostra III Brigata, il Cap. Federico Amadei, il Ten. Vittorio Barbieri, il Ten. Giuseppe Leto, il Serg. Magg. Volo, il Serg. Innocenti, il Cap. Magg. Poggiolini, il fante Graziavi.

Il primo scaglione, il 21 marzo, alle sei del mattino, durante una terribile tormenta a quasi 1500 metri di quota, veniva a trovarsi nelle identiche condizioni: questa volta la forza dei garibaldini fu sovrumana. Alcune compagnie cadute prigioniere, dopo aspra lotta, furono liberate e così dopo una giornata di combattimenti e dopo aver inferto al nemico numerose perdite, lo scaglione ripiegava celermente abbandonando la valle di Sokolic Romaninski, ove gli italiani lottarono per la vita e la libertà.

La compagnia AA, che con supremo sforzo era stata capace di trasportare tutte le sue armi pesanti a spalla, dava ancora prova di sé e dell’alto spirito che la nutriva, facendo desistere il nemico dal proseguire il combattimento. Trovarono eroica morte il S.Ten. Italo Luminasi, comandante il I plotone mortai, ed il mitragliere Putti.

In questa triste giornata, dopo aver difeso strenuamente le loro posizioni, scomparirono dalla vita, trucidati per rappresaglia dai nazifascisti, accecati dal furore per le perdite subite: il Cap. Buzzigoli, i Ten. Panizza, Carena, Spinelli e i S.Ten. Riboni, Danieli, Gori ed Abbarchi.

Era ormai visibile il campanile di stile orientale della Chiesa di Vlasenica ed il cuore dei poveri superstiti, circa 500 uomini, si rasserenò anelante solo riposo, vitto ed abbondante acqua per pulirsi.

In questa zona fu scelta la località per il meritato riposo, ma il martirio non ebbe fine, anzi iniziò di nuovo.

Una violenta forma di tifo esantematico si scatenava su quegli esseri che dovevano essere prima soldati poi uomini. Il morbo volle le sue vittime; e decine si spegnevano senza conforto alcuno, lontani dalla patria, lontani dai propri cari, in una valle di nome Kravica, i primi partigiani dell’Italia risorta.

Fine della I° parte

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