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Salvatore Quasimodo In questa città
Salvatore Quasimodo
.In questa città
In questa città c’è pure la macchina
che stritola i sogni: con un gettone
vivo, un piccolo disco di dolore
sei subito di là, su questa terra,
ignoto in mezzo ad ombre deliranti
su alghe di fosforo funghi di fumo:
una giostra di mostri
che gira su conchiglie
che si spezzano putride sonando.
E’ in un bar d’angolo laggiù alla svolta
dei platani, qui nella metropoli
o altrove. Su, già scatta la manopola.
Salvatore Quasimodo – Giorno dopo giorno
Salvatore Quasimodo
Giorno dopo giorno
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l’oro. Vi riconosco, miei simili, mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà
e la croce gentile ci ha lasciati.
E piu’ non posso tornare nel mio eliso.
Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,
ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha più volte giocato:
s’udiva nell’aria un battere monotono di foglie
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.
Salvatore Quasimodo – Ancora dell’inferno
Salvatore Quasimodo
Ancora dell’inferno
Non ci direte una notte gridando
dai megafoni, una notte
di zagare, di nascite, d’amori
appena cominciati, che l’idrogeno
in nome del diritto brucia
la terra. Gli animali i boschi fondono
nell’Arca della distruzione, il fuoco
e’ un vischio sui crani dei cavalli,
negli occhi umani. Poi a noi morti
voi morti direte nuove tavole
della legge. Nell’antico linguaggio
altri segni, profili di pugnali.
Balbetterà qualcuno sulle scorie,
inventerà tutto ancora
o nulla nella sorte uniforme,
il mormorio delle correnti, il crepitare
della luce. Non la speranza
direte voi morti alla nostra morte
negli imbuti di fanghiglia bollente,
qui nell’inferno.
Salvatore Quasimodo – Alle fronde dei salici
Salvatore Quasimodo
Alle fronde dei salici
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Salvatore Quasimodo – Epigrafe per i Partigiani di Valenza
Salvatore Quasimodo
Epigrafe per i Partigiani di Valenza
Questa pietra
ricorda i Partigiani di Valenza
e quelli che lottarono nella sua terra,
caduti in combattimento, fucilati, assassinati
da tedeschi e gregari di provvisorie milizie italiane.
Il loro numero e grande.
Qui li contiamo uno per uno teneramente
chiamandoli con nomi giovani
per ogni tempo.
Non maledire, eterno straniero nella tua patria,
e tu saluta, amico della libertà.
Il loro sangue è ancora fresco, silenzioso
il suo frutto.
Gli eroi sono diventati uomini: fortuna
per la civiltà. Di questi uomini
non resti mai povera l’Italia.
.
Salvatore Quasimodo – Ancora dell’inferno
Salvatore Quasimodo
Ancora dell’inferno
Non ci direte una notte gridando
dai megafoni, una notte
di zagare, di nascite, d’amori
appena cominciati, che l’idrogeno
in nome del diritto brucia
la terra. Gli animali i boschi fondono
nell’Arca della distruzione, il fuoco
e’ un vischio sui crani dei cavalli,
negli occhi umani. Poi a noi morti
voi morti direte nuove tavole
della legge. Nell’antico linguaggio
altri segni, profili di pugnali.
Balbetterà qualcuno sulle scorie,
inventerà tutto ancora
o nulla nella sorte uniforme,
il mormorio delle correnti, il crepitare
della luce. Non la speranza
direte voi morti alla nostra morte
negli imbuti di fanghiglia bollente,
qui nell’inferno.
Salvatore Quasimodo – Lager
Salvatore Quasimodo
Lager
“Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: ‘Il lavoro vi renderà liberi’
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o sofocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di iume, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
…
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca,
di cenere, la morte”.
Salvatore Quasimodo – Dove morti stanno ad occhi aperti
Salvatore Quasimodo
Dove morti stanno ad occhi aperti
*
Seguiremo case silenziose
dove morti stanno ad occhi aperti
e bambini gia’ adulti
nel riso che li attrista,
e fronde battono a vetri taciti
a mezzo delle notti.
*
Avremo voci di morti anche noi,
se pure fummo vivi talvolta
o il cuore delle selve e la montagna,
che ci sospinse ai fiumi,
non ci volle altro che sogni.
Salvatore Quasimodo – Auschwitz
Salvatore Quasimodo
Auschwitz
Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
Salvatore Quasimodo – Il mio paese è’ l’Italia
Salvatore Quasimodo
Il mio paese è’ l’Italia
Più i giorni s’allontanano dispersi
e più ritornano nel cuore dei poeti.
La i campi di Polonia, la piana di Kutno
con le colline di cadaveri che bruciano
in nuvole di nafta, la i reticolati
per la quarantena d’Israele,
il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
le catene di poveri già morti da gran tempo
e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
la Buchenwald, la mite selva di faggi,
i suoi forni maledetti; la Stalingrado,
e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.