Archivio mensile:gennaio 2015

V.H. Auden – Blues dei rifugiati

V.H. Auden

Blues dei rifugiati

Poniamo che in questa città vi siano dieci milioni di anime, ‎
V’è chi abita in palazzi, v’è chi abita in tuguri: ‎
Ma per noi non c’è posto, mia cara, ma per noi non c’è posto.‎
*
Avevamo una volta un paese e lo trovavamo bello, ‎
Tu guarda nell’atlante e lì lo troverai: ‎
Non ci possiamo più andare, mia cara, non ci possiamo più andare. ‎
*
Nel cimitero del villaggio si leva un vecchio tasso, ‎
A ogni primavera s’ingemma di nuovo: ‎
I vecchi passaporti non possono farlo, mia cara, i vecchi passaporti non possono farlo. ‎
*
Il console batté il pugno sul tavolo e disse: ‎ì
‎’Se non avete un passaporto voi siete ufficialmente morti’: ‎
Ma noi siamo ancora vivi, mia cara, ma noi siamo ancora vivi. ‎
*
Mi presentai a un comitato: m’offrirono una sedia; ‎
Cortesemente m’invitarono a ritornare l’anno venturo: ‎
Ma oggi dove andremo, mia cara, ma oggi dove andremo? ‎
*
Capitati a un pubblico comizio, il presidente s’alzò in piedi e disse: ‎
‘Se li lasciamo entrare, ci ruberanno il pane quotidiano’: ‎
Parlava di te e di me, mia cara, parlava di te e di me. ‎
*
Mi parve di udire il tuono rombare nel cielo; ‎
Era Hitler su tutta l’Europa, e diceva: “Devono morire”; ‎
Ahimè, pensava a noi, mia cara, ahimè, pensava a noi. ‎
*
Vidi un barbone, e aveva il giubbino assicurato con un fermaglio, ‎
Vidi aprire una porta e un gatto entrarvi dentro: ‎
Ma non erano ebrei tedeschi, mia cara, ma non erano ebrei tedeschi. ‎
*
Scesi al porto e mi fermai sulla banchina, ‎
Vidi i pesci nuotare in libertà: ‎
A soli tre metri di distanza, mia cara, a soli tre metri di distanza. ‎
*
Attraversai un bosco, vidi gli uccelli tra gli alberi, ‎
Non sapevano di politica e cantavano a gola spiegata: ‎
Non erano la razza umana, mia cara, non erano la razza umana. ‎
*
Vidi in sogno un palazzo di mille piani, ‎
Mille finestre e mille porte; ‎
Non una di esse era nostra, mia cara, non una di esse era nostra. ‎
*
Mi trovai in una vasta pianura sotto il cader della neve; ‎
Diecimila soldati marciavano su e giù: ‎
Cercavano te e me, mia cara, cercavano te e me.‎

Piero Valenzano, "Pierino"

“per dignità, non per odio”

Piero Valenzano, "Pierino"

Medaglia d’Argento al Valor Militare, alla memoria

di Giovanni Baldini, 14-7-2003,

Nato a Castagnole Monferrato il 5.11.1924, Valenzano arrivò a Firenze come militare di leva. Era di servizio all’autocentro di Sesto Fiorentino e lì prese i primi contatti con l’organizzazione comunista.


Dopo l’otto di settembre abbandonò la divisa e venne nascosto in numerose abitazioni fino a raggiungere il podere Risercioni, nei pressi di Vaglia, a fine settembre 1943.
La valletta di Risercioni (o Riseccioni) era ben nota ai partigiani, le famiglie che vi abitavano offrivano spesso ospitalità e cibo ai partigiani e alle staffette di passaggio fra Monte Morello e Monte Giovi. Venne lì ospitato dalla famiglia Ignesti fino ai primi giorni del ’44. Poi, maturata la decisione di partecipare alla lotta di liberazione e trovati i contatti giusti, raggiunse la formazione partigiana "Lanciotto Ballerini" di stanza a Gattaia, nel Mugello.

Piccolo di statura e avvolto in una giacca fuori misura si vide assegnare da subito il nomignolo di "Pierino". Riflessivo, puntuale nell’esecuzione degli ordini e dotato di uno straordinario senso dell’orientamento emerse naturalmente nella brigata come il più affidabile per le missioni che necessitavano di particolare cautela.
Freddo nel combattimento anche quando altri venivano presi dal panico sopravvisse al durissimo rastrellamento del Falterona.

Nei giorni immediatamente successivi alla liberazione di Firenze i partigiani erano impegnati a rendere sicure alcune zone ancora sotto il tiro dei cecchini o minacciate di distruzione per le mine.
Durante un’azione di bonifica della
stazione ferroviaria di Santa Maria Novella Pierino venne fulminato da una raffica di mitragliatore.

La sua salma venne riportata a Torino dal Giardino dei Semplici solo nel 1950.

Medaglia d’Argento al Valor Militare, alla memoria

Fin dall’inizio partecipava alla lotta armata di liberazione segnalandosi sempre per entusiasmo ed ardimento notevoli, tanto da acquistare grande ascendente sui suoi compagni, che trascinava dietro di sè con la forza dell’esempio e con l’ardore delle sue parole. Nel corso di uno scontro con il nemico, non curante di una prima e poi seconda ferita, resisteva nella lotta, finchè una raffica avversaria non lo sbatteva al suolo. Magnifica figura di combattente e di partigiano.

Firenze, 8 settembre 1943 – 15 agosto 1944

L’Olocausto – Federica Cavalera – Soldato caduto

27 GENNAIO

Federica Cavalera

Soldato caduto

L’ideale di pace
permea il tuo spirito missionario.
La partenza,
l’amore che t’aspetta al ritorno,
la famiglia,
la tua vita.
Soldato
combatti per difendere la Patria,
almeno così dicono!
Soldato
combatti per importare la democrazia
come se si importasse!
Soldato
hai armi per difenderti
almeno così dicono!
D’improvviso
un uomo toglie la vita ad un altro uomo.
Soldato
tu muori
in Patria un eroe!
Soldato
sei solo un uomo mandato al macello
come tanti uomini.
Il tuo aguzzino
un uomo anche lui,
permeato dall’ideale di Guerra.
Guerra giusta mai,
se l’ideale rincorso
toglie l’esistenza
ad un altro uomo.

Tratto da

http://www.poesieracconti.it/poesie/giorno_della_memoria_27_gennaio

L’Olocausto – Inge Auerbacher

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Ritratti

Inge Auerbacher

Data di nascita: 31 dicembre 1934, Kippenheim, Germania

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Inge era l’unica figlia di Berthold e Regina Auerbach, Ebrei osservanti che vivevano a Kippenheim, un paesino nella parte sudoccidentale della Germania, vicino alla Foresta Nera. Suo padre era un mercante di prodotti tessili e la famiglia viveva in una grande casa di 17 stanze, dove la servitù svolgeva gran parte dei lavori di casa.

1933-39: Il 10 novembre 1938, alcuni teppisti lanciarono pietre contro la nostra casa, rompendo tutte le finestre. Quello stesso giorno la polizia arrestò mio padre e mio nonno, mentre mia madre, mia nonna ed io riuscimmo a nasconderci in un capanno fino a quando tutto tornò tranquillo. Quando venimmo fuori, scoprimmo che tutti gli uomini ebrei della città erano stati portati a Dachau. A mio padre e a mio nonno fu permesso tornare a casa qualche settimana dopo, ma nel maggio seguente mio nonno morì di un attacco di cuore.

1940-45: Avevo 7 anni quando venni deportata con i miei genitori nel ghetto di Theresienstadt, in Cecoslovacchia. Quando arrivammo, ci presero tutto, ad eccezione dei vestiti che indossavamo e della mia bambola, Marlene. Le condizioni di vita nel campo erano dure, tanto che le patate valevano quanto diamanti. Ero malata per la maggior parte del tempo, ed ero affamata e impaurita. Per il mio ottavo compleanno, i miei genitori mi regalarono una piccola torta di patate con un pizzico di zucchero; per il mio nono compleanno, invece, un vestito per la mia bambola, fatto di stracci; e per il mio decimo compleanno, una poesia scritta da mia madre.

L’otto maggio 1945, Inge e i suoi genitori furono liberati dal ghetto di Theresienstadt dove avevano trascorso quasi tre anni. Nel maggio del 1946 emigrarono negli Stati Uniti

Copyright © United States Holocaust Memorial Museum, Washington, DC

L’Olocausto – Zanus Zachenburg Infanzia Miserabile

27 GENNAIO
Zanus Zachenburg

Infanzia Miserabile

Infanzia miserabile, catena
che ti lega al nemico e alla forca.
Miserabile infanzia, che dentro il
suo squallore
già distingue il bene e il male.
Laggiù dove l’infanzia dolcemente
riposa
nelle piccole aiuole di un parco
laggiù, in quella casa, qualcosa si è spezzato
quando su me è caduto il disprezzo:
laggiù, nei giardini o nei fiori
o sul seno materno, dove io sono nato
per piangere…
Alla luce di una candela m’addormento
forse per capire un giorno
che io ero una ben piccola cosa,
piccola come il coro dei 30.000,
come la loro vita che dorme
laggiù nei campi,
che dorme e si sveglierà,
aprirà gli occhi
e per non vedere troppo
si lascerà riprendere dal sonno…

Auschwitz 18/12/1943

L’Olocausto – Peter – Filo Spinato

27 GENNAIO
Peter
Filo Spinato
Su un acceso rosso tramonto,

 

sotto gl’ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
ieri i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
E’ il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.

 

 

Peter, bambino ebreo ucciso dai nazisti nel ghetto di Terezin

L’Olocausto – Martin Rosenberg – Canto di morte ebraico

27 GENNAIO
Martin Rosenberg
Canto di morte ebraico
Eravamo dieci fratelli,
commerciavamo in vini…
uno è morto
siamo rimasti in nove…
Oj-oj!
Jidl col violino
Mojschie con il basso,
cantatemi ancora una canzonetta
dobbiamo morire nel gas!
Sono rimasto l’unico vivo dei fratelli,
con chi posso piangere?
Gli altri sono stati assassinati!
Pensate agli altri nove…
Oj-oj!
Jidl col violino,
Mojschie con il basso,
udite la mia ultima canzonetta:
anch’io devo morire nel gas!
Jidl col violino,
Mojschie con il basso,
udite la mia ultima canzonetta:
eravamo dieci fratelli
non avevamo fatto alcun male…
alcun male…
Li-laj
Tutti fatti fuori!
Testo e musica (da una canzone Yiddish)
di Rosebery d’Arguto,
pseudonimo di Martin Rosenberg

L’Olocausto – Jan-Peter Pfeffer

27 GENNAIO

L’Olocausto — Ritratti

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Jan-Peter Pfeffer

Data di nascita: 3 maggio 1934, Amsterdam, Olanda

Heinz Pfeffer, il padre di Jan-Peter, era un Ebreo tedesco rifugiatosi in Olanda, dove aveva sposato Henriette De Leeuw, un’Ebrea olandese. Spaventati dalla dittatura nazista e dall’assassinio dello zio di Heinz, avvenuto in campo di concentramento, essi erano emigrati in Olanda quando Henriette era incinta di nove mesi e si erano stabiliti ad Amsterdam.

1933-39: Jan-Peter nacque poco dopo l’arrivo in Olanda. Aveva 18 mesi quando nacque suo fratello minore Tommy. Nel 1939 i genitori e il fratello del padre di Jan-Peter li raggiunsero in Olanda come rifugiati dalla Germania. Jan-Peter e Tommy crebbero parlando olandese, come prima lingua, e trascorrendo diverso tempo nella casa di famiglia della madre, in campagna.

1940-44: I Tedeschi occuparono Amsterdam nel maggio del 1940. Nonostante l’occupazione tedesca, all’età di sei anni Jan-Peter non avvertì un grande cambiamento nella sua vita quotidiana. Poco dopo il suo nono compleanno, i Tedeschi deportarono la nonna in un campo chiamato Westerbork. Sei mesi più tardi, Jan-Peter e la sua famiglia vennero mandati nello stesso campo, ma sua nonna non c’era già più. Durante l’inverno, i Pfeffer furono mandati in un ghetto lontano, chiamato Theresienstadt, dove Jan-Peter aveva sempre freddo e fame e si sentiva impaurito.

Il 18 maggio 1944 Jan-Peter fu deportato con la sua famiglia ad Auschwitz, dove fu mandato alla camera a gas l’11 luglio 1944. Aveva 10 anni.

Copyright © United States Holocaust Memorial Museum, Washington, DC

Jan-Peter Pfeffer

Data di nascita: 3 maggio 1934, Amsterdam, Olanda

Heinz Pfeffer, il padre di Jan-Peter, era un Ebreo tedesco rifugiatosi in Olanda, dove aveva sposato Henriette De Leeuw, un’Ebrea olandese. Spaventati dalla dittatura nazista e dall’assassinio dello zio di Heinz, avvenuto in campo di concentramento, essi erano emigrati in Olanda quando Henriette era incinta di nove mesi e si erano stabiliti ad Amsterdam.

1933-39: Jan-Peter nacque poco dopo l’arrivo in Olanda. Aveva 18 mesi quando nacque suo fratello minore Tommy. Nel 1939 i genitori e il fratello del padre di Jan-Peter li raggiunsero in Olanda come rifugiati dalla Germania. Jan-Peter e Tommy crebbero parlando olandese, come prima lingua, e trascorrendo diverso tempo nella casa di famiglia della madre, in campagna.

1940-44: I Tedeschi occuparono Amsterdam nel maggio del 1940. Nonostante l’occupazione tedesca, all’età di sei anni Jan-Peter non avvertì un grande cambiamento nella sua vita quotidiana. Poco dopo il suo nono compleanno, i Tedeschi deportarono la nonna in un campo chiamato Westerbork. Sei mesi più tardi, Jan-Peter e la sua famiglia vennero mandati nello stesso campo, ma sua nonna non c’era già più. Durante l’inverno, i Pfeffer furono mandati in un ghetto lontano, chiamato Theresienstadt, dove Jan-Peter aveva sempre freddo e fame e si sentiva impaurito.

Il 18 maggio 1944 Jan-Peter fu deportato con la sua famiglia ad Auschwitz, dove fu mandato alla camera a gas l’11 luglio 1944. Aveva 10 anni.

Copyright © United States Holocaust Memorial Museum, Washington, DC

L’Olocausto – Silvana Capelli – Mauthausen- Dachau (Il viale dei pioppi)

Silvana Capelli
Mauthausen- Dachau (Il viale dei pioppi)

 

Circondato dal verde dove regna il silenzio assoluto
immerso nell’oasi di pace
dove tutto tace!
quando entri,
senti un brivido sul cuoio capelluto.
*
Nella radura si trova il campo
notti, notti di tuono, notte di lampo
terrore, amaro sapore
strappano la barba rubano l’onore,
*
gente sadica, vigliacca
offre il confort della baracca
il materasso è di legno
per il suo simile un grande sdegno,
*
le guardie gridano: “in fila in fretta”
nelle mani tremanti sta la gavetta
chi non marcia riceve botte
e, le ossa son tutte rotte,
*
gli hanno tolto anche le scarpe
ogni giorno obbligati a fare le rampe
sanguinano i doloranti piedi
non si può guai se ti siedi,
*
per ognuno è già segnata la sorte
in fondo la cava c’è sicura morte
all’orizzonte, quando il sole tramontava
l’SS, all’appello, tanti numeri cancellava.
*
Martiri, del brivido del terrore e di paura
questo avveniva nella grande radura
trasformati in volute di fumo nel cielo muto
gli occhi hanno visto ma, tutti hanno taciuto.
*
Ivi, in quel viale sfiorano il cielo i vetusti pioppi
non c’è più fumo ne rumore di schioppi,
in fondo, c’è una chiesa e si entra a capo chino
con un significato nuovo verso il Divino.
*
O uomo, perchè tanta crudeltà
anche tu fai parte di questa umanità
Dio ti ha creato lasciandoti la libertà
perchè tu comprenda dove sta la verità,
*
ora, il tuo sguardo lascialo posare
sul crocifisso che c’è sull’altare
quel legno, dona la liberazione
ad ogni uomo la redenzione,
*
il rintocco della campana sveglia il cuore umano
per ricordare quell’olocausto arcano
fa eco in tutta la radura
scendono le lacrime, ma non c’è più paura.
*
La vita ha sempre un successore
la speranza, per un mondo migliore
la primavera inizia con il primo fiore
un nuovo impegno, con la voglia D’AMORE!!!

Klara Marcus: "Sono sopravvissuta allo sterminio

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Auschwitz, Klara Marcus: "Sono sopravvissuta allo sterminio solo perché era finito il gas". Presto compirà 101 anni
"Oggi è il tuo giorno fortunato". Questo dissero le SS a Klara Marcus, allora trentenne, quando la fecero uscire viva assieme ad altre donne da una camera a gas di Auschwitz. "Quando ci hanno fatto entrare e hanno aperto il gas, si sono accorti che era finito. Una delle guardie ha scherzato dicendo che era il nostro giorno fortunato perché ne avevano già uccisi talmente tanti che non era rimasto gas per noi. Quel giorno Dio mi stava guardando". A raccontarlo oggi è lei stessa, alla vigilia del suo 101esimo compleanno.
La sua storia – raccontata da Bild – ha dell’incredibile. Klara, originaria della Romania, è sopravvissuta a ben tre campi di concentramento: prima Dachau e Ravensbruck, poi Auschwitz. Quando l’hanno costretta a entrare nella camera a gas, pesava appena 32 chilogrammi. Quel giorno – racconta oggi – ho capito che non avevo veramente nulla da perdere". Così ha trovato la forza di scappare dal campo e tornare in Romania. La sua famiglia era tutta morta, ma lei, piano piano, si è ricostruita una vita, assieme a quello che sarebbe poi diventato suo marito.
Un rappresentante del governo romeno, Anton Rohian, l’ha visitata a casa sua con qualche giorno d’anticipo (il compleanno sarà il 31 dicembre) per congratularsi con lei per il suo 101esimo compleanno. "Ho portato una bottiglia di champagne, un mazzo di fiori e un attestato di onorificenza per ringraziare la signora Marcus per esser tornata a Marumares dopo tutto quello che ha attraversato nella sua vita".
L’Huffington Post
Pubblicato: 12/12/2014 13:08 CET Aggiornato: 12/12/2014 13:14 CET