Archivio mensile:novembre 2013

Settant’anni fa la strage di Pietransieri

Settant’anni fa la strage di Pietransieri

Francesco Lo Piccolo
Giornalista, direttore di “Voci di dentro”

Settant’anni fa a Pietransieri, nell’Aquilano, a un centinaio di chilometri da dove ora vivo, avvenne una delle numerose stragi compiute dai soldati della Germania nazista. Era il 21 novembre 1943, le vittime furono 128, tra essi moltissime donne, alcuni anziani, 34 bambini al di sotto dei 10 anni e un neonato di appena un mese. Furono radunati sotto un albero nel bosco dei Limmari e uccisi a colpi di mitraglia. I corpi restarono a lungo abbandonati, sepolti dalla neve, sino alla primavera del 1944.

La storia di quell’eccidio è ben raccontata: c’è il documentario "Il sangue dei Limmari" girato dai registi Anna Cavasinni e Fabrizio Franceschelli; c’è il volume "E si divisero il pane che non c’era" frutto di una ricerca compiuta alcuni anni fa da docenti e studenti del Liceo Fermi di Sulmona con testimonianze, documenti d’archivio, storie di un brutto passato; infine c’è il libro di Pier vittorio Buffa "Io ho visto" (Nutrimenti edizioni) che raccoglie trenta storie di uomini e donne sopravvissuti alle stragi dei nazisti. Tra le trenta storie anche quella di Virginia Macerelli, unica superstite della strage di Pietransieri, che all’epoca aveva 7 anni e che si salvò perché protetta dalle raffiche dal corpo della madre. La donna, che lo scorso 4 novembre è stata ricevuta al Quirinale dal presidente Napolitano e a giugno a San Pietro da Papa Francesco, ha ricordato così quel terribile 21 novembre 43:

La mamma mi ha coperto il viso con lo scialle nero, ma io ho visto. Ho visto il tedesco con la mitragliatrice in mano che ci guardava senza espressione. Stava per uccidere, non rideva e non piangeva. Se dovessi dire della sua faccia non saprei che dire perché aveva l’elmetto e la mitragliatrice, cioè, non proprio la mitragliatrice perché, ma l’ho capito dopo, era un mitra, una di quelle armi che si imbracciano e sparano tanti colpi. Ho visto mio fratello Arnaldino accanto a me, ancora vivo dopo tutti quei proiettili. Mi ha sfiorato il braccio e con la voce bassa mi ha chiesto: "Virginia, mamma è morta?". Aveva un occhio di fuori, mio fratello, e ho appena fatto in tempo a dirgli: "Sì, è morta", che è morto anche lui. Ho visto mia sorella Marna e l’altro mio fratello, Ettore, che non si muovevano più. La mamma aveva preso in braccio me, che ero la più piccola e gli altri tre se li era messi intorno. Ho visto il sangue che era dappertutto. L’ho visto quando ho sentito abbastanza lontani i passi dei tedeschi e ho messo la testa fuori dallo scialle. Potevo muovere solo la testa perché tutto il corpo di mia madre era sopra di me. Lei non si muoveva, stava diventando fredda. Ma i lamenti erano tanti. Chi chiamava Dio, chi la mamma o la figlia o il figlio…Poi più nulla, solo il silenzio…

Leggo e rileggo le parole di Virginia: penso al racconto di tanti altri che hanno vissuto gli anni della guerra, penso a mio padre (io faccio parte di quella generazione che ha avuto la fortuna di avere un padre partigiano), a mia madre che nascosta in uno scantinato rimase senza voce per mesi vinta dalla paura mentre le SS rastrellavano le case vicine…penso a quel tedesco descritto da Virginia che sparava," non rideva e non piangeva"…

E la mente corre a un piccolo libro, del quale conservo una copia, ritrovato da un vecchio tipografo di Chieti. E’ un opuscoletto formato A4 stampato in caratteri gotici: in copertina c’è il disegno di una campana e la scritta Weihnacht 1943 Jager division. Con l’aiuto di un amico che conosce la lingua tedesca e con i ricordi del tipografo abbiamo ricostruito la storia di questo volumetto: fu fatto stampare dai tedeschi in occasione del Natale e venne redatto da alcuni componenti dell’ospedale da campo di stanza a Chieti che facevano parte della Fallschirmjäger, la divisione paracadutisti nelle forze armate tedesche. Nel volumetto si parla di patria, di popolo tedesco, di terra sacra, si parla del Santo Natale e del focolare domestico….ci sono i pensieri alla famiglia, la lontananza da casa del soldato, alcuni ricordi di guerra, un po’ di storielle comiche…

Non so se tra gli autori di queste poesie natalizie ci siano alcuni dei paracadutisti che parteciparono alla strage di Pietransieri, ma non ha molta importanza, quello che conta è che uomini così un momento parlano della famiglia, del Natale, della loro casa, si commuovono pensando ai loro figli lontani e un attimo dopo uccidono o un attimo prima hanno ucciso vecchi, donne, uomini, bambini…. senza pietà perché questo era l’ordine. La banalità del male, l’ha definita Hannah Arendth, quella stessa banalità che ti impedisce di stare in silenzio e ascoltare quello che insegna la storia, le sofferenze delle tante Virginie del mondo, quelle di ieri e quelle di oggi, in Africa, in Medio Oriente, nel Mediterraneo, ovunque nel mondo dove i diritti non ci sono…nelle carceri anche dove capitano vere e proprie tragedie umane (come la morte di Federico Perna a Poggioreale) e dove il suicidio nel buio della cella (l’ultimo pochi giorni fa) è l’unico modo per uscire.

http://www.huffingtonpost.it/francesco-lo-piccolo/settantanni-fa-la-strage-di-pietransieri_b_4292448.html?utm_hp_ref=italy