Carmen Nanotti – Il minestrone della Fiat

Carmen Nanotti

Il minestrone della Fiat

«La cosa che mi ricordo di più di questa guerra è la gran fame che avevo. Andavo a dormire con la fame, mi svegliavo con la fame. Ed ero terrorizza­ta dai bombardamenti, soprattutto dagli allarmi dei bom­bardamenti, perché svegliarmi nella notte significava ri­svegliare la fame».

«Avevamo delle tessere annonarie con dei tagliandi che ci davano diritto a una certa razione mensile. Se uno adope­rava tutti i tagliandi all’inizio del mese, poi non aveva più niente da mangiare. E già cominciava la borsa nera, ma il potere d’acquisto della classe operaia era bassissimo, per cui alla borsa nera si comperava qualcosina ogni tanto, con enormi sacrifici. Per il resto dipendevamo dalle tessere».

«Quando sono andata a lavorare alla Fiat per me era una grande soddisfazione mangiare quel piatto di minestra che ci passavano in fabbrica. A casa era impossibile fare il minestrone. Quello della Fiat non era particolarmente buono, ma era un po’ denso, c’era dentro un po’ di riso e delle patate».

«Quasi tutte le famiglie avevano i loro dolori. Pochissimi e­rano indifferenti a questa guerra. Per un motivo o per l’altro tutti erano coinvolti: o i bombardamenti o la fame; oppure il figlio o il marito al fronte. Soprattutto gli sfollati facevano certe vitacce, con lunghissimi viaggi per rientrare al matti­no in città a lavorare, su treni strapieni, che erano continua­mente bloccati dalle incursioni degli aerei inglesi».

Il malcontento era grande. Soprattutto per le condizioni di vita e per il freddo. Una volta abbiamo organizzato un bel gruppo di donne e abbiamo dato l’assalto a un deposito di carbone. Siamo entrati nel cortile e abbiamo riempito i sac­chi di carbone. Era una manifestazione di protesta che sta­va riuscendo bene. Poi qualcuno dell’azienda ha telefonato ai fascisti e quelli sono arrivati con i mitra e hanno iniziato a sparare».

Dalla Testimonianza Di Carmela Nanotti,

Raccolta Da Giovanna Boursier

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Articolo tratto dal Settimanale “Il Manifesto 1995

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