Fumo il partigiano

Fumo. il partigiano

Il mio collega Piero stava in piazza Leon Battista Alberti ed era in contatto con l’organizzazione antifascista della zona, di cui faceva parte un certo Cardinali, un anziano. Quest’ultimo si occupava del reclutamento e dell’accompagnamento dei ragazzi su in montagna. Avevamo l’appuntamento con lui in piazza Stazione, davanti alla scuola dei brigadieri dei carabinieri. Il giorno della partenza per il militare, lasciate le nostre famiglie, andammo alla stazione di Santa Maria Novella. Ma invece di prendere il treno ci fermammo dinanzi alla scuola dei carabinieri, di lato alla stazione. Così ci avevano istruito: "Deve venire un anziano in bicicletta, sul portabagagli gli ha un giornale piegato in quattro: andate con lui". Intorno alle sei arrivò il Cardinali in bicicletta con un giornale chiuso messo di traverso sul portapacchi posteriore. Come convenuto gli chiedemmo: "Che ore sono?" Rispose: "Seguitemi". Io e Piero ci avviammo a piedi dietro la bici. Si prese via Cerretani, poi via Cavour, si finì alle Cure, da lì in viale dei Mille. Man mano che si andava avanti, ogni tanto si aggiungeva qualcuno. Si era diventati una decina: camminavamo distanti l’uno dall’altro. Cardinali di tanto in tanto si voltava a controllare. Ci faceva segno col dito sulla bocca di stare zitti. Ogni tanto si fermava: "Oh, state distanti l’uno dall’altro, fate finta di non conoscervi, va bene?" Poi rimontava in bici e noi dietro a piedi. Si proseguì fino a Fiesole, poi si passò dai bosconi sopra la Rufina, fin sotto al monte Giovi. A piedi da Firenze fin là non fu uno scherzo. Ero uno a cui piaceva la montagna: camminare non mi pesava, ero allenatissimo. Eravamo senza mangiare, senza nulla. Si passava da dei paesini, la gente ci vedeva e chiedeva: "Che andate, partigiani? Che andate, partigiani?" "No, siamo venuti per fare una passeggiata". "Eh, ragazzi…" Se tu mi tocchi tu senti che ci ho i brividi: tu sentivi che la gente era con noi…
Sergio è emozionato al ricordo, ha gli occhi lucidi.

Era buio quando si arrivò alla casa di un contadino: "Ora io vi lascio, state li domattina vengono a prendervi". Cardinali ci salutò e andò via. Lì nella oscurità, il contadino ci disse: "Ragazzi, che avete fame?" "Dio b… l’è da stamani alle sei che si cammina". Mi ricordo che quel contadino ci fece una padellate -di qualcosa, non so cosa, forse rape. Comunque bone come quelle non le ho più mangiate. Verso mezzanotte bussarono alla porta. Avevano bussato in una certa maniera, il contadino aprì. Entrarono sette o otto uomini col mitra spianato-_ "Buongiorno". "Buongiorno". "Voi vu’ sareste quelli che vu’ volete venire su dai partigiani?" "Eh sì, si". "Va bene. Ricordatevi che l’è una vita dura: pensateci bene ragazzi, che poi quando uno viene, tornare via gli è un po’ rischioso. Domattina i’ capoccia vi indicherà i’ sentiero da prendere". "Va bene". La mattina dopo, io e Piere si prese il sentiero che ci fu indicato. Gli altri ne presero diversi. A un certo punto — mentre camminavamo, da dietro la macchia sbucò un uomo armato di una piccola pistola. Ce la puntò e urlò: "Fermi!" Piero era un fumatore e aveva la pipa in tasca Tenendola avvolta nella mano pareva impugnasse una pistola. Gli intimò: "Femati. Tira su le mani!" "No guarda, l’è la pipa". Ci portò sul monte Giovi, s’era di febbraio, c’era la neve. Qui ebbi il primo contatto con il commissario politico della formazione Faliero Pucci: Ugo Corsi. Il comandante era Berto Berti.

Faliero Pucci nasce a Firenze nel 1905 e cade nel pistoiese il 4 aprile 1944. E un tassista. Entrato nell’organizzazione comunista clandestina di Firenze nei prinanni Trenta, viene arrestato nel 1937 e denunciato al Tribunale Speciale, che lo condanna a sette anni di reclusione. Dopo l’8 settembre ’43 esce di prigione ed entra a far parte del Comitato militare del Partito Comunista. Organizza il gruppo partigiano Stella Rossa, che opera nelle colline a sud di Firenze. Nell’inverno il gruppo si scioglie per difficoltà logistiche e il tassista rientra in Firenze. Va con Giulio Bruschi nel pistoiese e partecipa a un’azione partigiana verso Campo Pizzorro. Sulla strada del ritorno incappano in un posto di blocco repubblichino. Ne segue uno scontro a fuoco dal seguente esito: un morto e tre feriti tra i fascisti, Pucci resta sul terreno, Bruschi è catturato. Da quel momento il gruppo Stella Rossa, riorganizzatosi, prende il nome Faliero Pucci, in onore del tassista caduto.

Le prime parole di Ugo Corsi furono: "Che ci avete documenti in tasca?" "Sì, la carta di identità, la cartolina precetto". Glieli mostrai. Me li prese di mano: "Questa carta d’identità per noi la non esiste più. La si strappa. Quando ritorneremo a casa la si rifarà nova". Ci strappò i documenti e le cartoline, e gettò tutto nel fuoco. Proseguì: "Di dove siete?" "Siamo toscani, fiorentini". "Basta, non mi interessa altro. Nome e cognome nulla: cercatevi un nome di battaglia, che qui ci si conosce con quello". Questo per motivi di sicurezza: in caso di cattura e di tortura, se ci fossimo conosciuti con i veri nomi, qualora uno avesse parlato avrebbe fatto catturare anche gli altri e l’organizzazione sarebbe stata smantellata. In quel momento Piero, mio collega d’officina, si ricordò che in un libro di Jack London c’era un marinaio che si chiamava Fumo. Sicché mi disse: "Mettiti Fumo". Così lui si chiamò Marinaio e io Fumo. Ugo Corsi mi chiese: "Che fumi?" "Eccome se fumo". Allora fumavo ogni cosa: si andava perfino a pigliare le scorze delle viti, si tritavano e si mescolavano con un po’ di tabacco. Con una mano sola mi facevo le cartine. Quando non ce n’era, le facevo col giornale. Il Corsi proseguì: "Guardate ragazzi, qui la nostra vita l’è questa: si mangia se ce n’è, si dorme se si può dormire, ci si lava se si trova l’acqua. Bisogna entrare nell’idea di come l’è la nostra vita qui: sì dorme all’aperto o nei fienili, dietro le capanne. Nelle case dei contadini non è i’ caso: c’è i’ rischio che si mettano in difficoltà". Io e Piero si disse: "Vabbè: si prova". Corsi proseguì: "Al momento opportuno c’è da andare anche a fare delle cose: bisogna sparare e certe volte bisogna sparare per uccidere. Armi ancora non ne abbiamo per tutti, bisogna andare a conquistarcele. Per ora starete con noi, vi si porta con noi e magari vi si dà una bomba a mano". Sì, le mosche le ammazzavo, ma non ero mai stato neppure un cacciatore. La prima volta fu dura. Non avevo mai adoprato il moschetto: al premilitare lo facevano montare, smontare, ma io avevo fatto il corso radiotelegrafisti, non il premilitare classico e perciò non sapevo nulla di armi. I partigiani ci fecero qualche lezione, insegnandoci ad adoprare il moschetto. Avevamo un disperato bisogno di armi: erano ancor più necessarie che il cibo! Si mangiava poco. Per il cibo si andava più che altro alle fattorie. Queste dovevano convogliare l’ammasso: olio e vino che dovevano poi consegnare alle autorità fasciste per alimentare anche le truppe tedesche d’occupazione. Noi si andava là con dei buoni di prelevamento del Comitato di Liberazione Nazionale. Il commissario chiedeva al contadino:
"Quanti sono?" "Cinquanta quintali d’olio". "Va bene, sequestrati dal Comitato di Liberazione Nazionale. Poi al momento opportuno verrete rimborsati". Cosa che poi non accadeva mai. Invece di prendere cinquanta quintali, se ne prendevano quaranta e dieci restavano al contadino, che doveva pur vivere. Si andava con le tregge e ci si caricava sopra la roba. Qualcuno ha detto che i contadini facevano il mercato nero: se non ci fossero stati i contadini e le donne, in Toscana, non si sarebbe tornati a casa. I contadini sono morti per noi, gli hanno bruciato le case, gliene hanno fatte di tutti i colori. Su questo non si discute.

Note
CLN: Comitato di Liberazione Nazionale. Associazione di partiti e movimenti oppositori al fascismo e all’occupazione tedesca formatasi a Roma il 9 settembre 1943. Fu composta da movimenti di diversa estrazione culturale e ideologica: ne fecero parte comunisti (PCI), democristiani (DC), azionisti (PdA), liberali (PLI), socialisti (PSIUP) e demolaburisti (PDL). Il mese successivo si costituirono i Comitati Regionali e successivamente quelli Provinciali. Il primo a presiedere il CLN fu Ivanoe Bonomi a cui spettò dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), di assumere responsabilità di governo con la Presidenza del Consiglio (11 giugno). Il CLN coordinò e diresse la Resistenza: fu diviso in CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) con sede nella Milano occupata e il CLNC (Comitato di Liberazione Nazionale Centrale). Operò come organismo clandestino durante la Resìstenza ed ebbe per delega poteri di governo nei giorni di insurrezione nazionale. I Comitati Regionali e Provinciali ebbero un compito prevalentemente politico e di coordinamento, con influenza ma non comando diretto sulle formazioni militari partigiane, che rispondevano in genere direttamente al loro partito. In vari casi le formazioni militari disattesero accordi e ordini del CLN. Composizione politica delle brigate partigiane: 575 Brigate d’Assalto Garibaldi (Partito Comunista Italiano); 255 Brigate autonome (guidate da militari e non rappresentate da alcun partito del CLN, particolarmente attive in Piemonte); 198 Brigate Giustizia e Libertà (Partito d’Azione); 70 Brigate Matteotti (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria); Brigate Mazzini (Partito Repubblicano Italiano); 54 Brigate del popolo (Partito Popolare – Democrazia Cristiana).

Tratto da “Fumo l’ultimo della Caiani”

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