Archivio mensile:settembre 2011

Savva Matekin – URSS

 

 

 

i miei figli non tradiranno la speranza del loro padre,

che per il bene della patria, per la felicità del suo popolo,

per la felicità dei propri figli non ha rispar­miato la vita.

 

Savva Matekin

Residente a Budennovka (Stalino) -. Capo del gruppo dei resistenti di Budennovka – preso dai tedeschi nell’agosto 1942,

utilizzato per qualche tempo nei lavori forzati

e quindi giustiziato.

(Parte dei messaggi furono scritti su pezzi di carta con cui la moglie involgeva la bottiglia di kvas che gli portava nelle carceri e che poi ritirava; parte venivano

lasciati cadere dal condannato sull’orlo della strada, mentre veniva condotto ai lavori forzati, e raccolti dalla moglie che seguiva a distanza).

Sura,

le tante cose che vorrei dire non sono solamente personali. Ho poche speranze di vedervi, perché vedo che non potete visitarmi. Fammi avere il tabacco domenica, ma solo attraverso la finestra, altrimenti no. Domani ti darò l’itinerario e gli indirizzi per andare a prendere il grano. Un saluto a tutti, state bene. Bacia i bambini.

Savva

Sura,

che cosa può fare un uomo che si trova in carcere ed è minacciato

di morte sicura? Eppure hanno paura di me. Dillo ai nostri. So che per me è finita e che questo momento verrà piú presto dí quanto non si possa supporre. Addio. Ti prego di dire a tutti che niente è finito. Io morirò, ma voi vivrete. Addio, piccola Sura!

Miei cari bambini, Vova e Ljutsija,

ho sempre cercato di darvi un’educazione, di fare di voi uomini utili al paese, uomini veri e completi. Il mio grande desiderio era di vedere te, piccolo Vova, diventare scienziato e te, Ljutsija, ingegnere. Ma qual­siasi cosa voi diventiate, sono fermamente convinto che i miei figli non tradiranno la speranza del loro padre, che per il bene della patria, per la felicità del suo popolo, per la felicità dei propri figli non ha rispar­miato la vita. Siate felici.

Vostro padre

 

Marina Gryzun – URSS

 

 

 

 

 

Amici e compagni, vendicatemi,

vendicate tutti coloro che sono

periti per mano dei tedeschi.

 

Marina Gryzun

Residente a Mosailovka (Kiev) – ragazza del Komsomol, stakhanovista del kolchoz « Le­nin » e membro del Soviet del suo villaggio — Nasconde e cura tre soldati dell’Ar­mata Rossa rimasti isolati – scrive manifesti incitanti alla lotta contro l’occupante e li affigge nottetempo nel villaggio – svolge opera di incitamento e di organizzazione della resistenza -. Arrestata dai tedeschi nel luglio 1941

– orribilmente torturata -.

Giustiziata il 28 luglio 1941,

(Parole scritte con il sangue sulle pareti della cella).

Io sono la ragazza del Komsomol Marina Gryzun, uccisa dal tede­schi il 28 luglio. Amici e compagni, vendicatemi, vendicate tutti coloro che sono periti per mano dei tedeschi. Voi potrete farlo, con voi c’è Stalin.

 

Zlata Brysz – Polonia

 

Caro, voglio che tu ricordi chi sono stati i nostri boia.

Ricordati il nome di Katenko. Magari lo incontrerai un giorno,

ricordati tutto su di lui. Io ho insegnato a Józek come morire con dignità.

A te invece chiedo, categoricamente: devi continuare a vivere!

 

 Zlata Brysz

Di età sconosciuta – istitutrice – nata a Lódí, dove si occupa del movimento esperantista -. Dopo l’aggressione tedesca alla Polonia, fugge con il marito e il figlio a Bialystok, in zona sovietica -. Dopo l’aggressione tedesca all’U.R.S.S. collabora con il figlio, esponente del movimento di resistenza, mentre il marito si arruola nell’Armata Rossa _ Al prin­cipio del 1943, preso il figlio durante un’azione e assassinato dalla Gestapo, è arrestata e tradotta nelle celle della Gestapo, dove tenta di suicidarsi tagliandosi le vene – fatta guarire dalla Gestapo, viene torturata perché fornisca notizie sul gruppo in cui operava suo figlio – non avendo parlato,

viene assassinata, a Bialystok, presumibilmente nel luglio 1943-

(Lettera al marito, consegnata prima della morte a una polacca che la conservò tutto il periodo dell’occupazione e la trasmise, a guerra finita, all’Istituto Storico Ebraico di Varsavia).

Bialystok, carceri, luglio 1943

Caro,

ti scrivo oggi per l’ultima volta. Come è strana la vita. È tanto tempo che non c’è piú con me il nostro Józek. Me l’hanno strappato via. Mori da vero eroe. Mi calmava, mi baciava sulla bocca.

Faceva un lavoro duro sulle costruzioni edilizie e ciononostante leg­geva molto la sera dopo il lavoro, risolveva compiti di matematica. Era bello come un sogno.

Lo stesso giorno in cui l’hanno preso, io mi tagliai la gola. I tedeschi mi portarono all’ospedale e mi fecero guarire. Oggi vado ugualmente dal mio Józek.

Caro, voglio che tu ricordi chi sono stati i nostri boia. Ricordati il nome di Katenko. Magari lo incontrerai un giorno, ricordati tutto su di lui. Io ho insegnato a Józek come morire con dignità. A te invece chiedo, categoricamente: devi continuare a vivere!

Ti saluto. Ti bacio.

Tua Zlata