La grande battaglia gappista di Porta Lame è incominciata

La battaglia dell’ospedale Maggiore e del Macello

Seconda parte

La grande battaglia gappista di Porta Lame è incominciata.

Ora i tedeschi e i fascisti stanno disponendo le loro forze per un attacco massiccio. Il giorno intanto schiarisce. I Gap intonano Bandiera rossa e sparano a volontà sui nemici che si muovono al di là del canale. « Giulio » il cuoco, spirito bizzarro e tiratore di prim’ordine, sta facendo infuriare un tedesco che vuole piazzare a tutti i costi un mitragliatore sulla terrazza di una casa di fronte. Il tedesco con una mano, tenendosi al coperto, colloca uno sull’altro dei mattoni sulla spalletta del terrazzo per poi appostarvi l’arma e sparare al sicuro ma « Giulio » aspetta che abbia collocato sette o otto mattoni e poi col tiro infallibile di una Clauser glieli butta giù; una, due, tre, cinque, otto volte. Il tedesco è testardo. Adesso sporge la mano con dentro il berretto per vedere se il suo avversario c’è sempre e « Giulio » con un colpo gli fa volare via anche il kepí. Il tedesco rinuncia.

I Gap del Macello non sono bene amati. Posseggono solo 13 armi automatiche corte, 2 fucili mitragliatori, moschetti e bombe a mano e bombe fumogene, oltre alle rivoltelle. Ormai si combatte da tutte le parti, dal canale e sul piazzale di sopra. «Piva» ha sistemato un fucile mitragliatore dentro la porta del casamento grande che dà sul cortile e di lí domina egregiamente la situazione.

E’ questo il lato dove operano i brigatisti neri. Hanno già fatto due irruzioni nel cortile, ma il tiro furioso dei Gap li ha flagellati a morte: molti di loro sono rimasti distesi, immobili, in mezzo al cortile. Da via Azzogardino si sentono adesso gli ufficiali repubblichini che urlano ai militi riluttanti: « Andate avanti! Vi metteremo in galera! » Ma i militi esitano. Allora un capitano grida: « Vi faccio vedere io come si fa la guerra », e va avanti da solo. « Piva » preme il grilletto e il capitano che sa fare la guerra morde la polvere.

I fascisti allora inventano un’altra tattica: lanciano una serie di bombe fumogene e poi, dentro alla nebbia, avanzano sparando. Ma il fuoco dei Gap è fitto, infernale. « Piva » soprattutto ha un posto di privilegio: il suo mitragliatore sussulta e raffica spazzando tutto il cortile in lungo e in largo. Quando la nebbia delle bombe fumogene si alza, sul terreno si vedono altri morti.

« Piva », nelle brevi pause, si rivolge a quelli che sono dentro, in una stanza comunicante attraverso un grande buco fatto dai Gap, e dice: « Ehi gente! Ho fame. Se non venite a darmi il cambio, datemi almeno della salsiccia ». I Gap gli lanciano una lunga salsiccia e « Piva » ritorna al suo pezzo masticando soddisfatto. Dodici ore resterà inchiodato sulla sua arma.

Ora i fascisti si sono chetati. I Gap, gridando dalle loro postazioni, li provocano: « Balilla! Figli della lupa! Venite avanti, fatevi vedere! Qui ci sono i gappisti della 7′. Siete in gamba solo con gli ostaggi, voi! ».

I fascisti stando al sicuro rispondono: « Arrendetevi! Consegnate le armi ». «Dalla parte del manico! » urlano i Gap.

Poi la battaglia riprende. « Arturo », ferito due volte alle gambe, continua a combattere. E’ un tipo vivace, arguto, un elemento prezioso in « base » per rompere la monotonia dell’inazione. Subito dopo sono feriti « Nicolai » e « Cognac ». Anche « Sparafucile », dalla parte del canale, è colpito di striscio da un colpo che gli fora la gola. « Spara » è un tipo grande e grosso, intriso di ottimismo, ma il colpo lo ha impressionato. « Sganapino », uno studente in medicina che è nella « base », accorre e la ferita gorgogliante di sangue non gli fa certo pronunciare una diagnosi favorevole. « Spara » guarda la faccia del « dottore » e domanda: « Grave? ». « Sganapino » tace. « Da morire? » incalza « Spara ». E ancora « Sganapino » non risponde.

Allora « Spara » si fa dare una bottiglia di cognac e beve a grandi sorsi. Dopo un po’ il liquore gli dà una dolce euforia, si sente meglio. Quando il « dottore » ritorna presso di lui, « Spara » gli fa: « Senti, dov’é che hai studiato? » « All’università », risponde « Sganapino ». « Allora hai studiato sbagliato », sentenzia « Spara », « Muori prima tu di me ».

Anche il tedesco Enz è ferito a una spalla; l’olandese invece a una coscia. Il primo morto, è « Roma-

gnino », poco dopo le otto. E’ dentro la palazzina che è stato colpito: mentre si sta appostando a una

finestra è preso in pieno dall’alto in basso da un mitragliatore piazzato al di là del canale. Poi ca-

dono « Bridge », « Scalabrino » e anche « Giulio ,.Ormai i fascisti sul lato di via Azzogardino han-

no cercato di sistemarsi meglio. Adesso infatti sparano dal campanile della chiesa di fronte e dal terrazzo del dopolavoro della Manifattura tabacchi. Gli altri, dal cortile, cercano di sparare con maggiore prudenza.

Intanto i tedeschi intervengono nella battaglia con un mortaio: tirano dallo sbocco di via del Porto sul viale Pietramelara.

Nel frattempo, nella « base » dell’Ospedale Maggiore, tutti i gappisti sono in agitazione. 1 comandanti hanno proceduto a piazzare gli uomini ai posti di difesa, però non si è ancora presa una decisione se intervenire o no. 1 Gap, naturalmente, vorrebbero intervenire subito. Dai posti di osservazione della « base » si possono seguire perfettamente le fasi dell’attacco nemico ai compagni del Macello. 1 fascisti e i tedeschi si aggirano per le strade adiacenti all’Ospedale, dando le spalle ai Gap che li spiano a pochi metri di distanza. Ai Gap prudono le mani: cosa si aspetta a sorprenderli e ad alleggerire la pressione su quelli di via Azzogardino? Dal sottotetto, con un cannocchiale da marina, si possono vedere anche a Porta Lame alcuni ufficiali tedeschi della Feldgendarmerie, insieme con un borghese, che sembrano dirigere le operazioni. Dalle finestre delle scuole Fioravanti, che da via Umberto I guardano alla « base , del Macello, escono le nuvole degli spari; via Lame è bloccata dalle brigate nere all’altezza di via Riva di Reno. Sulla terrazza del palazzo della « Lancia » un altro gruppo di ufficiali sta osservando lo scontro munito di binocoli.

Il tempo passa lentamente e tra gli uomini vi sono sintomi di malumore. E’ difficile trattenerli dallo sparare sui fascisti che pattugliano la strada a pochi passi, che si sentono parlare, che a volte s’avvicinano persino al cancello dell’Ospedale. Tuttavia gli ordini, per adesso, sono di non intervenire. E’ necessario aspettare le decisioni del C.U. N.E.R. che si è riunito d’urgenza.

I Gap si chiedono in quali condizioni saranno i combattenti del Macello, quanti morti e quanti feriti avranno già avuti. E intanto le mani si muovono inquiete sulle armi. L’unica cosa che dà speranza ai Gap sono le autoambulanze che vanno e vengono facendo echeggiare la sirena e trasportando i fascisti e i tedeschi feriti. « Finché lavorano quelle, è segno che i nostri compagni si difendono bene », pensano i Gap.

Poi gli scoppi del nemico aumentano d’intensità: i tedeschi stanno tirando con un cannone.

Al Macello infatti la palazzina stava crollando sotto i colpi. Occorreva che i Gap che vi erano rinchiusi ne uscissero fuori e raggiungessero l’altro casamento. Da un pezzo era già passato mezzogiorno. « Aldo », il comandante, per aiutare i compagni a sganciarsi, aveva preso posto nel punto più vulnerabile della difesa partigiana: sul ballattoio della scaletta esterna che metteva in comunicazione il casamento del canale con la palazzina.

Un brigatista nero, sfuggito ai tiri della sua arma automatica e ai lanci di bombe a mano ch’egli ogni tanto faceva nel vicolo del Macello nascosto alla sua vista dal muro di cinta, era riuscito a piazzarsi dietro la colonna di cemento armato situata all’ingresso del cortile: non era lontano da « Aldo » più di cinque o sei metri e le raffiche rabbiose che « Aldo » aveva indirizzato col suo step non erano valse a stanarlo.

Allora « William », che gli stava vicino, gli passò una bomba a mano tedesca. « Aldo » la tirò contro la colonna, ma la bomba non esplose: solo suggerì al brigatista nero di fare altrettanto. La bomba che il fascista infatti lanciò esplose a mezzo metro di distanza dal comandante: egli era rannicchiato in un angolo e lo scoppio fu tremendo, come un colpo di martello sul cervello. « Aldo » fu sollevato da terra e ricadde insanguinato da cento ferite. Il fianco, sinistro, un braccio e la nuca erano lacerati dalle schegge. Un pensiero gli passò nella mente come un lampo: « Per me è finita, non mi rialzo più ». Cosí cercò di morire in piedi. Fece uno sforzo e si alzò con un grido: « Viva l’Italia! ». Con sorpresa s’accorse invece di reggersi ancora abbastanza bene sulle gambe. Ma « William » con uno strattone lo ributtò a terra: « Matto, vuoi farti riempire di pallottole? ».

« Aldo » si riprese, agguantò il mitragliatore Breda che usava per i tiri piú lontani e, aiutato da « Primo » e da « William », rientrò nel casamento. Lo adagiarono dove c’erano gli altri feriti e « Sganapino » gli fece una puntura di morfina.

Intanto, nella palazzina, « Carbone ,, la « Bruna », « Slim », « Marino » e gli altri fecero la sortita. Al grido dei fascisti che li invitava ad arrendersi, i partigiani si misero davanti alla porta, in

fila indiana, coi mitra spianati. « Carlone » era in testa. Quando i fascisti ripeterono: «Venite fuori! », « Carlone », balbuziente, urlò: « Ve-ve-veniamo! » e, spalancando la porta di colpo, balzò con gli altri nel cortile sventagliando col mitra davanti a sé. Altri fascisti caddero. I Gap riuscirono ad entrare nel casamento con qualche ferita soltanto. « Drago » aveva protetto efficacemente i loro movimenti.

« William » aveva assunto il comando. Stava calando la sera. Sulla « base », da un paio di ore, dalle tre del pomeriggio circa, era sceso un pesante silenzio, che i Gap, non sapevano interpretare. Il nemico infatti, pur avendo cessato il fuoco, manteneva le sue posizioni di accerchiamento. Quella tregua tuttavia aveva permesso agli assediati di riorganizzare le loro file, di curare i feriti e di pensare, col buio imminente, alla possibilità di sganciarsi.

Tutto ad un tratto però la « base » sussultò: centinaia di armi avevano riaperto il fuoco. Tra gli scoppi dei cannoni da 88 e i colpi dei mortai, si udiva il martellare delle mitragliatrici e dei mitragliatori da tutti i tetti circostanti. Era il tentativo finale del nemico per stroncare la resistenza gappista.

Ma i Gap tennero ancora duro. Il loro fuoco, seppure con un concerto di armi di gran lunga inferiore, seppe tener testa ai nazifascisti, impedendo loro di avvicinarsi.

La battaglia continuava cosí da circa mezz’ora senza che il nemico avesse il minimo vantaggio,

quando entrò nella mischia un grosso carro armato germanico. Lentamente, ma inesorabilmente, si avvicinò alla « base », sparando col cannoncino mobile della torretta: ogni proiettile passava da parte a parte i muri della « base », aprendovi larghe fenditure.

Restare voleva dire farsi massacrare tutti. Bisognava perciò tentare lo sganciamento, rompendo il cerchio nemico stretto attorno alla « base ». Si trattava cioè di scegliere tra la morte sotto le macerie, intrappolati senza scampo, o la morte in campo aperto, abbattendo il maggior numero di nemiei. I Gap, neppure dirlo, scelsero la seconda soluzione, anche con la segreta speranza di riuscire a spuntarla.

Gli uomini furono divisi in gruppi: un gruppo doveva essere d’avanguardia, l’altro doveva stare con i feriti ed il terzo doveva fare da retroguardia.

In questo ordine i Gap scesero nella cantina, quasi a pelo dell’acqua del Navile. Quando però stavano per aprire la porta, si accorsero che di fronte era piazzato un fucile mitragliatore. Allora i Gap lanciarono una decina di bombe fumogene per nascondersi alla vista del nemico e fargli credere che la casa stesse bruciando. Dopodiché aprirono la porta e cautamente scesero nell’acqua.

I feriti erano portati a spalla o sostenuti. Solo « Sparafucile » con la sua gola forata camminava per conto suo, sollevando il mitra. L’acqua iniatti arrivava ai fianchi.

I Gap si muovevano lentamente, in mezzo alla nebbia delle bombe. Avevano appena fatto un cen-

tinaio di metri quando, dalla sponda sinistra, si alzò un « chi va là ». I Gap si fermarono, poi qualcuno rispose: « Brigate nere:>. Allora la stessa voce domandò ancora: « Diteci un nome ». I Gap restarono muti, ma dalla sponda sinistra, certo da un gruppo di repubblichini, una voce gridò: « Mario ». « Avanti! » replicò allora la stessa voce. I Gap si rimisero in moto.

Pochi minuti dopo uscivano fuori del canale e raggiungevano Piazza dei Martiri. Ma qui li attendeva un’altra sorpresa: la piazza infatti era presidiata da una ventina di repubblichini che appena li videro aprirono il fuoco. Due Gap e una staffetta furono feriti. I gappisti però, tutti insieme, reagirono con prontezza e precisione decimando i fascisti.

Ora, nella piazza, c’era silenzio. Occorreva dividersi in quattro gruppi, nascondendosi fra le macerie delle vie adiacenti alla Piazza dei Martiri e al Piazzale della Stazione, e aspettare la notte per raggiungere le altre « basi ».

All’Ospedale Maggiore i 230 gappisti che stavano in ascolto, quando dopo dodici ore il fragore del fuoco dalla parte del Macello cessò, non seppero piú che pensare. Non volevano accettare la idea che i compagni fossero tutti caduti in combattimento, eppure questo pensiero turbava la mente di ognuno.

Nel frattempo erano giunti ali ordini del comando: « Appena buio, attaccare ». « Luigì », il comandante della brigata, è venuto in « bast_ » per parlare agli uomini, Nella « base », già da :alcuni

giorni, c’è anche « Jacopo » il commissario della brigata Sono le 17,30. Ormai l’ombra della sera avvolge le macerie dell’Ospedale Maggiore. « Luigi » fornisce le istruzioni ai distaccamenti gappisti e alla squadra Sap, anch’essa aggregata alla « base ».

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