La vita alla macchia

 

 

La vita alla macchia

 

-“Tuo nonno faceva gruppo con Agnellone, un gruppo separato, io invece facevo parte del gruppo centrale, che faceva capo a Marino. Quello che derivava dalla Brigata Lanciotto. Infatti molti erano partigiani della Brigata Lanciotto, che per motivi “logistici” si era spostata sulla Calvana e sul Monte Giovi. Mi occupavo di fare il pane per la Brigata.

-“Io ero quello che faceva e distribuiva il mangiare a tutti! Avevo una buona manualità con la pasta e il fuoco. Inoltre ero capace di organizzare il fuoco per molte ore. Avevo legna e fascine a volontà. Si panificava ogni 5-6 giorni grazie alla farina donata dai molti contadini e

famiglie della zona. Facevo delle padelline basse da 100-125 grammi l’una che ben si conservavano nella stoffa delle sacche. Distribuire il pane valeva un’organizzazione non indifferente. Infatti questo pane prima di essere tale è grano, quest’ultimo va macinato,

quindi va portato ai mulini, va ripreso una volta che è stato frantumato in farina, va portato in determinate case dove con preziosa fatica lo trasformano in pane caldo per i vari gruppi della brigata. Quindi tutta una rete organizzativa di contadini, tutto un esercito silenzioso, che non si vede, che lavora nell’ombra, giorno e notte, che sostiene la lotta partigiana.

A volte ci siamo chiesti come fosse possibile tutto questo. Il fatto è che la resistenza, come ho già più volte detto, non è nata l’8 settembre 43, ma è nata col sorgere dello stesso fascismo, con la difesa delle organizzazioni operaie e contadine dall’assalto delle squadracce fasciste nel ’19, ’20, ’21 e negli anni seguenti, con la difesa delle reti capillari dei partiti antifascisti,

con la difesa delle case del popolo, dei sindacati, con la difesa dei propri principi e delle proprie idee contro coloro che vollero ed instaurarono una dittatura che intendeva calpestare e distruggere tutto quello che era stato conquistato con le lotte popolari di massa.

-“ Che bei ricordi…..!”

“L’inverno del ’44 fu molto freddo, anche se mi piace ricordarlo come l’inverno più caldo per la passione messa in gioco da tutti noi partigiani! La neve cadde proprio il primo giorno dell’anno. Il vento di tramontana aveva gelato la neve caduta e si formò una coltre ghiaccia sul suolo che durò molte settimane. In questo periodo, vista l’impossibilità di attrezzare

campi in montagna, decidemmo di scendere dal monte per qualche settimana. Molti di noi si rifugiarono nelle case o nelle stalle di qualche allevatore locale”

 

Gambalesta trovò ospitalità presso una fattoria di Querceto. Dormiva nella stalla, su della paglia asciutta e coperto da due stuoie di lana. Piazzò le stuoie vicino alla concimaia per potersi nascondere velocemente in caso di “visite” fasciste.

Nel frattempo un nutrito gruppo di partigiani della Fanciullacci riuscì ad occupare la piccola frazione di Laterza situata nei pressi di Barberino del Mugello. L’occupazione della piccola frazione fu una delle azioni più brillanti e “redditizie” della Brigata, in quanto furono trovati e distrutti molti carteggi inerenti segnalazioni di renitenti alla leva e antifascisti.

Senza dubbio l’avere distrutto quelle carte riportanti nomi e cognomi salvò gli interessati dalla deportazione in campi di lavoro forzato. Avere distrutto “schedature” così importanti ebbe lo stesso risultato di una vincente attività di guerriglia armata.

I primi di Febbraio tornammo tutti in Brigata.

“Un giorno con Gambalesta, Bachino, Scuolabusse e Morando si andò a Firenze

per prendere delle armi in un deposito in via Guicciardini. Le armi erano state messe in quel nascondiglio dal partigiano Max Boris e da altri uomini che le recuperarono da un lancio alleato avvenuto a Monte Giovi in una burrascosa notte del febbraio ’44. Entrammo nel magazzino. C’era veramente di tutto! Radio, esplosivi di vario tipo, armi automatiche e

all’ora famoso linotype per la stampa clandestina. Come sempre non potemmo prendere molto visto la grande distanza da percorrere a piedi per il ritorno sul Monte Morello. Nel deposito c’erano pure gli “Sten Mark II” fucili su cui si potevano usare dei caricatori da 32 colpi.

Tutto avvenne in modo lineare…senza troppi inghippi. Al ritorno però, sulla strada che porta a Ceppeto, si notarono dei militari della milizia che avevano lasciato la camionetta lungo la strada. Fortunatamente non ci videro. D’istinto presi la pistola e insieme agli altri mi buttai sul ciglio della strada per nascondermi. Gambalesta e Morando mi intimarono:

-“ Guerrando non sparare! Questi se spari fanno un casino sul Monte Morello e addio clandestinità!”

-“Stiamo vicini, siamo in vantaggio di molti metri… al via tutti a corsa verso la cima”

Iniziò una lunga corsa che salvò la vita a tutti anche se i tedeschi provarono a fare fischiare qualche colpo alle nostre spalle.

In quella occasione Gambalesta, per la sua lucidità, divenne per molti il vero punto di riferimento della Brigata. Intanto dalla città arrivavano buone notizie.

 

Per i primi giorni di Marzo era stato deciso lo sciopero nelle fabbriche fiorentine. Scioperare, in quel periodo, non significava perdere salario dalla busta paga o subire il “mugugno” dei padroni e dei loro scagnozzi. Il lavoro, sottratto da ogni regola di diritto era uno dei molteplici modi di fare guerra alla gente, ingranaggio stesso della macchina bellica fascista e tedesca. Lo sciopero assumeva quindi natura fortemente di azione antifascista. Infatti dopo le coraggiose giornate di sciopero la reazione fascista non si fece attendere. Il conflitto raggiunse un livello altissimo e la Brigata fu costretta a rimanere qualche settimana nell’ombra, per non attirare le attenzioni criminali fasciste sulla popolazione locale.

-“…Ma quella della stazione te l’hanno raccontata…..quella di San Bartolo?

….Il pomeriggio del 4 Aprile ‘44 “una trentina di partigiani, passati da Cerreto Maggio, quasi a coppia, con le bandiere rosse, armati di bombe a mano e di fucili cantando…” -come testimonia Don Mario Martinuzzi – si diresse verso la stazione di Montorsoli con il chiaro proposito di assaltare il treno 2328 che, secondo l’orario sarebbe dovuto arrivare alle 19.20.

Il treno era formato da una ventina di vagoni, che trasportavano molti pendolari, studenti e lavoratori che tornavano da Firenze direzione Mugello.

Le testimonianze raccolte su questo avvenimento sono molto discordanti: quello che è sicuro è che ci fu una sparatoria infernale che durò più di un quarto d’ora. La cosa certa è che l’assalto non passò  “inosservato”.

I partigiani che parteciparono all’azione erano molto giovani ed esuberanti. Infatti la segretezza dell’attacco non fu osservata: tutta Cercina seppe dei ragazzi “con il fazzoletto rosso al collo , dirigersi alla stazione , occuparla, isolarla telefonicamente e rinchiudere il capostazione e famiglia in una stanza”. Alcune testimonianze raccontano addirittura che

alcuni giovanissimi del paese seguirono i partigiani per assistere “in diretta” all’azione.

L’attacco fu ordinato dal CTLN, perché sul treno si trovavano molti ufficiali tedeschi che si recavano nel Mugello per preparare i rastrellamenti nella zona.

Occupata la stazione e appostatisi, i partigiani attesero l’arrivo del treno. Le cose, però, non si svolsero come previsto. Sembra che alcuni tedeschi sul treno notarono i partigiani nascosti sul ciglio dei binari ed ebbero il tempo di armarsi e difendersi. Sul treno era presente una staffetta partigiana, Cremonini Carlo, che aveva il compito di aiutare i civili a sgomberare il treno al momento dell’assalto. Il Cremonini fu ucciso subito.

Ne seguì una violenta sparatoria, con i civili a terra a cercare riparo: i fascisti usarono gli stessi come scudo e riuscirono ad impossessarsi militarmente della stazione, lasciata inspiegabilmente sguarnita. I fascisti spararono alle finestre del primo piano uccidendo due partigiani e ferendone quattro. I partigiani riuscirono comunque a sparare raffiche di

mitraglia e bombe a mano (tipo ananas) sui vagoni fermi. Il treno poi ripartì sotto le raffiche di mitraglia e si fermò alla stazione successiva di Fontebona, dove furono soccorsi i numerosi feriti. La formazione partigiana fugacemente riprese la strada per Monte Morello aiutati da un

contadino del luogo che mise a disposizione dei partigiani un carro con mulo per trasportare il partigiano “Lupo” rimasto gravemente ferito. Sul campo di battaglia rimasero uccisi tre partigiani, i quali corpi furono oltraggiati da militi fascisti accorsi da Firenze saputo dell’avvenimento.

L’assalto al treno ebbe una considerevole risonanza “sociale”, in quanto molti giovani incerti e dubbiosi sull’esperienza partigiana, si convinsero della necessità di cacciare l’invasore fascista ed entrarono nelle fila della resistenza.

La Brigata Fanciullacci, che ancora non portava questo nome, divenne una Brigata di

riferimento per questi giovani. La data di nascita della Brigata, dalla documentazione consultata, è il 7 luglio 1944 quando a Castra, in una riunione di comandanti e comandanti

politici, il partigiano “Potente” espose la sua proposta operativa di un Comando unico Toscano: unire le brigate “Lanciotto”, Sinigaglia”, “Caiani” e “Fanciullacci” organizzandole in una unica divisione dal nome di Divisione “Arno”.

In prima battuta la Divisione si doveva chiamare “Antonio Gramsci”, ma per non connotarla troppo politicamente fu deciso di darle il nome del fiume più grande della Toscana.

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