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Nikos Politos – Sprofondò nell’itsmo un convoglio pieno di prigionieri italiani

Nikos Politos
Sprofondò nell’itsmo un convoglio pieno di prigionieri italiani
Nel 1952. il giornale greco —Imera- (il giorno) pubblica una lunga intervista con un ferroviere che racconta una tragedia tutta italiana. 11 ferroviere. Takis Papanghelopulos di 55 anni, residentea Patrasso. dice al giornalista greco N ikos Politis di aver guidato, nell’ottobre del 1944, un convoglio carico di soldati italiani (più di 200) e di aver condotto il convoglio. composto da una quarantina di vagoni, fino al bordo dell’istmo di Corinto che non aveva più i ponti per es­scre traversato. A quel punto il ferroviere, costretto dai nazisti, aveva fatto precipitare il treno con tutto il carico umano, giù dall’istmo dopo essersi messo in salvo. Tutti i soldati italiani, ovviamente, sa­rebbero morti. Sulla terribile vicenda. rimasta sempre ignota, nello stesso 1952 e successivamente, la Procura Militare di Roma avrebbe aperto una inchiesta senza venire a capo di nulla. Sarebbe stato ne­cessario dragare lo stretto di Corinto con costi esorbitanti. Quindi tutto venne rinviato. Si sa soltanto dell’esistenza di un documento firmato dall’ex presidente dell’Onu Kurt Waldheim datato 22 set­tembre 1943 dal quale risulta che, effettivamente, ventimila soldati italiani dovevano essere trasferiti in treno da tutte le zone balca­niche nei campi di prigionia in Polonia e in Germania. Per farlo i treni avrebbero dovuto effettivamente traversare l’istmo di Corinto. 11 racconto del ferroviere greco a 1 inera" non ha dunque mai tro­vato conferma. Appare, però, veritiero e dettagliatissimo. Perché mai qualcuno avrebbe dovuto inventare una tragedia del genere? Per questo abbiamo deciso di pubblicare ugualmente l’intervista. Anche perché potrebbero saltar fuori superstiti o nuovi testimoni.
Eccone il testo.
Un ferroviere di Patrasso è testimone di una delle più orribili scene dell’occupa­zione tedesca in Grecia: Takis Papanghelopulos di 55 anni ori­ginario di Dervegni di Corinto ed abitante nella nostra città (via Papaflessa n. 2). Questi, sotto la minaccia di fucilazione da parte dei tedeschi condusse un convo­glio pieno di italiani, prigionieri ed animali, che furono sprofonda­ti dal Ponte tagliato dell’lstmo di Corinto.
Erano gli ultimi giorni dell’oc­cupazione, agli inizi di ottobre del 1944.1 tedeschi erano impe­gnati nella "battaglia di Patras­so" per facilitare la distruzione delle comunicazioni.
La "compagnia di distruzione" si era divisa in tre squadre. Una fece saltare i ponti dell’Istmo e procedette verso l’Attica facen­do saltare dietro di sé ogni pon­te che aveva attraversato. L’altra si mosse da Patrasso facendo sal­tare ponti e vagoni spargendo rottami di ferro su tutto l’arco meraviglioso del Golfo di Pa­trasso e Corinto. La terza squa­dra si era assunta il compito più terribile: la liquidazione degli al­leati dei tedeschi sprofondandoli nell’Istmo
Ed ecco come racconta questa scena di inferno il testimone oculare Takis Papanghelopulos. Lo abbiamo incontrato nel pic­colo villaggio della costa Pizzà di Corinto, patria di sua moglie, dove passava l’estate a otto chi­lometri da Xilocastro. «Non lo aspettava – dice Takis Papanghe­lopulos – nessuno il disastro (questa parola viene usata sem­pre quando parla della terribile storia che raccontiamo). Ero ad Evion quel giorno. Mi chiama­rono per guidare un treno con una quarantina di vagoni. Fino a Corinto, mi dissero. Non sapevo da dove venisse. In molti vagoni c’erano prigionieri italiani. Era­no più di 250. Saranno stati 270-280. Alcuni discorrevano sottovoce, altri masticavano uva passita, altri ancora cantavano sottovoce quando li ho visti alla stazione. A11’inizio non volevo andare. Ero stanco. Erano gior­ni che non dormivo bene dal molto servizio. Ma non c’erano altri. I tedeschi che accompa­gnavano il treno erano frettolo­si. Quando salimmo sulla mac­china due si posero vicino a me con le pistole in mano. Per tutto il viaggio parlavano, parlavano. parlavano. Sembra che non fos­sero d’accordo. Parlavano in continuazione e di continuo guardavano ansiosi dalle due parti della strada. Vicino ad Aerata a segni mi fecero capire che la linea in qualche punto era un poco rovinata. lo lo sapevo e feci passare da lì il treno a -pas­so d’uomo . Stavamo per arriva­re a Corinto, quando mi diedero ordine di procedere per l’Istmo. lo sapevo che il ponte era taglia­to e cominciai a pensare cosa vo­lessero fare. Questi continuava­no a guardarmi attentamente ancora di più. Non avevano messo nelle tasche le loro pisto­le. Ad un certo punto con mez­ze parole greche che uno sapeva. con metà italiane e con gesti del­le mani mi fecero capire che "disastro" volevano fare.
Mi dissero di rallentare la veloci­tà per poter saltare giù, quando ci saremmo avvicinati lì dove la linea era interrotta e lasciare che il treno precipitasse nell’abisso. E così avvenne…
…Quando saltai dalla macchina corsi a ritroso. Chiusi gli occhi per non vedere il disastro. Sentii il rotolare dei vagoni. Pensa 120 metri di altezza! Questi uomini cioè, che erano dentro dal colpo saltarono in aria. I tedeschi li perdetti: sentii esplosioni, veri tuoni. Pezzi di terra rotolavano. Mi dissi che era arrivata la fine del mondo… Ritornai da lì a pie­di fino a Patrasso … ».
Erano già spezzati i nervi di Pa­panghelopulos dal servizio con­dotto nelle ferrovie. Aveva gui­dato molte volte treni con la prima della locomotiva e visse il dramma degli ostaggi. Talvolta corse il pericolo di per­dere la vita in uno scontro vicino a Chiliornodi. Altre volte mentre trasportava alimenti della Croce Rossa a Calavrita cadde nella mani dei partigiani. Un’altra volta per poco non saltò in aria col treno che guidava in un pun­to dove la linea era stata minata. Si è salvato per un arresto im­provviso e un ufficiale tedesco che seguiva il convoglio lo mi­nacciò di fucilarlo sul posto.
Coni nervi rotti da tutte queste storie e con le forze fisiche inde­bolite visse in tutta la sua ferocia l’episodio dell’Istmo che lo pie­gò psichicamente al pulito che non riuscì a ritrovare la tranquillità… Fu ricoverato anche in una clinica di Atene e la sua situazio­ne migliorò ma Takis Papanghe­lopulos non è più lo sveglio e gioioso uomo del vecchio tem­po. Trascorre la sua melanconica esistenza in mezzo ai suoi amici inoffensivo ma anche inutile.
Prese la sua pensione dagli SPAP. Forse il più tragico pen­sionato… Vi sono dei momenti che cerca le compagnie. Va al Gaffe, gioca a —Tabli— e carte (piuttosto con molta tecnica) e racconta episodi della sua vita. Arrivano però momenti nei qua­li rivive il dramma nel Istmo. Guarda gli anelli del fumo che escono dalla sua bocca mentre fuma e crede di vedere teschi. Apre la scatoletta di fiammiferi e gli stecchetti gli appaiono come cadaveri decapitati.
Quando è solo si distende sulla costa del mare e chiude gli oc­chi. Cerca di dormire per non vedere nulla. Quando sente il fischio del treno scuote la testa e volge altrove il suo sguardo co­me se volesse sfuggire a una terribile visione.
Uno solo è il suo grande tor­mento: perché non può essere vinta la morte. Allora vivrebbero i 280 soldati Italiani i passeggeri dell’ultimo viaggio di Papanghelopulos…
Tratto da
Patria Indipendente

La Resistenza dei militari italiani nel Dodecaneso

La Resistenza dei militari italiani nel Dodecaneso
Il comando delle forze armate dell’Egeo era tenuto dall’ammiraglio Igino Campioni nell’isola di Rodi. Le innumerevoli isole erano presidiate dalla divisione Regina (dislocata a Rodi, Coo e Lero), dalla divisione Cuneo (a Samo e nelle Cicladi) e da unità della divisione Siena e della brigata Lecce (a Creta). Anche a Rodi la notifica dell’armistizio giunse improvvisa, senza nessun preavviso del Comando supremo. Solo nella tarda sera dell’8 settembre giunsero all’ammiraglio Campioni poche direttive sul comportamento da tenere. Alcuni comandanti di divisione, di reggimento e persino di plotone, rifiutarono l’ordine di cedere le armi, ritenendolo disonorevole, e scelsero di resistere insorgendo contro i tedeschi. Gli inglesi, approfittando di tale circostanza, cercarono di attuare l’Operazione Accolade, intesa a conquistare il Dodecaneso con l’appoggio delle truppe italiane con l’obiettivo strategico di aprire un secondo fronte in direzione del Mar Nero e del Caucaso, secondo la visione strategica di Churchill. Un tale progetto apparve realizzabile al momento dell’armistizio dell’Italia, quando la maggior parte delle isole era ancora in mano degli italiani; gli inglesi approntarono un contingente da sbarco che dovette purtroppo essere impiegato su un’area vasta e dispersiva e con la difficoltà di far giungere rinforzi da basi di rifornimento lontane e con scarsi mezzi navali da sbarco. L’aiuto inglese alla fine risultò di scarsa efficacia e l’Operazione Arcolade abortì. Aspri scontri con i tedeschi si ebbero soprattutto nelle isole di Rodi e di Lero e Coo.
La Resistenza dei militari italiani a Rodi
A Rodi la reazione della Divisione Regina agli attacchi tedeschi fu accanita; la nostra artiglieria dominò il campo e inflisse gravi perdite al nemico costringendolo ad abbandonare l’isola. Ma poi, venuto a mancare il promesso intervento inglese, una rabbiosa reazione aerea tedesca e la cattura a tradimento dello Stato Maggiore della Divisione finirono per fiaccare la resistenza italiana. Rodi dovette capitolare l’11 settembre 1943 sotto il martellamento degli aerei tedeschi e gli attacchi della Divisione corazzata Rhodos. L’ammiraglio Campioni, che si era rifiutato di imporre a tutti i reparti dell’Egeo di considerare nullo il proclama di Badoglio e di consegnare le armi ai tedeschi, venne deportato e successivamente condannato a morte da un tribunale fascista di Salò, nel maggio 1944 (per questo è stato insignito della Medaglia d’Oro al valor militare). Caduta la città di Rodi, numerosi italiani sottrattisi alla cattura continuarono nella clandestinità la lotta ai tedeschi e nei mesi seguenti 90 di loro, di cui 40 senza processo, furono fucilati. La massa dei soldati superstiti rifiutò di collaborare con i tedeschi e si imbarcarono su piroscafi diretti al Pireo; molti non arrivarono a destinazione perché alcuni natanti furono affondati durante la navigazione.

I caduti in combattimento a Rodi furono 8 ufficiali e 135 militari, oltre 300 i feriti.
Un esempio di resistenza per tutti fu quella del sottocapo della Marina, Medaglia d’Oro al valor militare, Pietro Carboni (1914-1944), un sardo che inizialmente capeggiò una formazione di italiani sfuggiti alla cattura. Rimasto in seguito isolato, si rifugiò in un’aspra zona dell’isola e per oltre un anno condusse una guerra personale contro gli occupanti, fatta di agguati e di soppressione di nemici. Denunciato da un informatore del luogo ingaggiò una lotta corpo a corpo con la pattuglia tedesca che lo aveva scovato finché venne giustiziato sul posto.

La Resistenza dei militari a Lero e Coo
A Lero la resistenza contro i tedeschi fu accanita. L’isola, che era un’importante base per i sommergibili, era presidiata da milleduecento uomini, prevalentemente marinai delle batterie costiere, affiancati da fanti della Divisione Regina. In loro aiuto giunsero quattromila uomini dell’esercito inglese. Dal giorno 13 settembre, data d’inizio dei bombardamenti aerei tedeschi, sino alla mezzanotte del 16 novembre, momento della resa, per oltre due mesi i militari italiani resistettero.

Il comandante dell’isola, ammiraglio Luigi Mascherpa, catturato dai tedeschi e condotto prigioniero fu fucilato mesi dopo a Parma dopo essere stato processato da un tribunale fascista (per questo è stato insignito della Medaglia d’Oro al valor militare). La battaglia di Lero costò 520 perdite ai tedeschi, 600 agli inglesi e un centinaio agli italiani; furono catturati 3200 inglesi e 5000 italiani.
Anche a Coo dopo l’8 settembre italiani e inglesi combatterono insieme. In seguito allo sbarco dei tedeschi avvenuto il 3 ottobre i soldati della Divisione Regina resistettero da soli perché gli inglesi si imbarcarono verso la vicina costa turca. Dopo due giorni di combattimento ci fu la resa, a cui seguì la rappresaglia tedesca: centotrenta ufficiali vennero passati per le armi insieme al loro comandante, colonnello Felice Leggio.

Tratto da
Patria Indipendente