Archivio mensile:agosto 2014

Primo Levi – Canto dei morti invano

Primo Levi

Canto dei morti invano
Sedete e contrattate

A vostra voglia, vecchie volpi argentate.
Vi mureremo in un palazzo splendido
Con cibo, vino, buoni letti e buon fuoco
Purché trattiate e contrattiate
Le vite dei nostri figli e le vostre.
Che tutta la sapienza del creato
Converga a benedire le vostre menti
E vi guidi nel labirinto.
Ma fuori al freddo vi aspetteremo noi,
L’esercito dei morti invano,
Noi della Marna e di Montecassino,
Di Treblinka, di Dresda e di Hiroshima:
E saranno con noi
I lebbrosi e i tracomatosi,
Gli scomparsi di Buenos Aires,
I morti di Cambogia e i morituri d’Etiopia,
I patteggiati di Praga,
Gli esangui di Calcutta,
Gl’innocenti straziati a Bologna.
Guai a voi se uscirete discordi:
Sarete stretti dal nostro abbraccio.
Siamo invincibili perché siamo i vinti.
Invulnerabili perché già spenti:
Noi ridiamo dei vostri missili.
Sedete e contrattate
Finché la lingua vi si secchi:
Se dureranno il danno e la vergogna
Vi annegheremo nella nostra putredine.

 

Salvatore Quasimodo – Auschwitz

Salvatore Quasimodo
Auschwitz
:
“Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: ‘Il lavoro vi renderà liberi’
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di piume, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca,
di cenere, la morte

Eugenio Montale – “Primavera hitleriana”

Eugenio Montale
“Primavera hitleriana”
“Da poco sul corso è passato a volo un
messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico
acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e
inghiottito
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che ignorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ignorano il
sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali
schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua seguita a
rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.
Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! …

Anonimo – Epitaffi partigiani

Anonimo
Epitaffi partigiani

Il Principino
Varzi Michele detto Il Principino.
Aveva un anello d’oro,
lo sapeva far brillare con gesti da signore.
Lo lasciarono tre giorni
inchiodato a quella porta
col capo penzoloni
lui che piaceva alle ragazze,
che sapeva far brillare
un filo d’oro con gesti da signore.

Sicilia
Di Sicilia non sa il nome nessuno.
Taceva sempre
per non far ridere della parlata.
Con la faccia spaccata
non volle dire dov’era il Comando.
– E pazienza – disse quando lo misero al muro

Vestignano
Qui

nel candore della neve
simbolo della sua purezza
nell’alba tragica
del 22 marzo 1944 cadeva
Peramezza Nicola
falciato da mitraglia
fratricida

O viandante soffermati

e prega  per chi non ultimo
tra una schiera di eroi
A sacrificato la vita
per ridonare alla patria
libertà e indipendenza.

Qui

nel candore della neve
simbolo della sua purezza
nell’alba tragica
del 22 marzo 1944 cadeva
Peramezza Nicola
falciato da mitraglia
fratricida

O viandante soffermati

e prega  per chi non ultimo
tra una schiera di eroi
  ha  sacrificato la vita
per ridonare alla patria
libertà e indipendenza.

Salvatore Quasimodo – E come potevamo noi cantare

Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare

“E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nella piazza
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
E’ morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così goni:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Firenze 1944, il documentario EIAR sulla Liberazione dai nazifascisti – VIDEO

Firenze 1944, il documentario EIAR sulla Liberazione dai nazifascisti – VIDEO

Nell’agosto del 1944 Amerigo Gomez e Victor De Sanctis, due giornalisti dell’EIAR, registrarono con un’apparecchiatura di fortuna e a rischio della loro vita, suoni e testimonianze dei tragici e difficili

giorni della Liberazione di Firenze dai nazifascisti. Dieci anni dopo, dalle registrazioni su dischi in cera, fu tratto da Amerigo Gomez un documentario sonoro di circa 30 minuti, mandato in onda su Radio RAI nel 1954.

Alla versione integrale di questo eccezionale documento – accompagnato dal commento originale di Amerigo Gomez del 1954 – il film che proponiamo, realizzato dall’ –Istituto Storico della Resistenza della Toscana , associa per la prima volta immagini e filmati d’epoca, realizzati da civili italiani o da operatori inglesi, americani, neozelandesi e tedeschi, provenienti da archivi di tutto il mondo e in parte inediti.

Ecco il video a cura di Massimo Becattini e Renzo Martinelli. Per altri video sul tema scopri il canale

YouTube di Storia e Memoria del ’900

.

http://altracitta.org/2014/08/09/firenze-il-documentario-eiar-sulla-liberazione-del-1944/

Gela la strage venuta dal passato

Gela, la strage venuta dal passato
Ricostruito un altro eccidio commesso dai soldati Usa in Sicilia nel 1943. Tra le vittime cinque civili che partecipavano a un funerale: gli americani hanno scambiato le fasce del lutto per divise fasciste
di Gianluca Di Feo
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Soldati Usa in Sicilia nel 1943 (foto: Corbis) Stavano partecipando a un funerale, accompagnando una delle tante vittime di quei giorni sanguinosi. E portavano al braccio la fascia nera del lutto, come si faceva in Sicilia. Un dettaglio che li ha fatti scambiare per camicie nere fasciste e fucilare sul posto dagli americani.

 

È questa l’ultima tragica novità che emerge dalla ricostruzione dei massacri di soldati italiani prigionieri e di civili condotti dalle truppe americane nella zona di Gela subito dopo lo sbarco del luglio 1943. Esecuzioni a freddo, portate a termine con spietata brutalità per eseguire un ordine del generale George Patton.

All’epoca dopo la denuncia di un cappellano statunitense, il colonnello William King, sconvolto per i mucchi di cadaveri con ferite a bruciapelo, la corte marziale americana istruì due processi, rimasti segreti per decenni.

Uno dei responsabili dei massacri riuscì a farsi assolvere perché dimostrò che il suo comandante, il generale Patton, aveva detto di non fidarsi degli italiani e di ammazzarli quando si arrendevano dopo avere combattuto. L’altro fu condannato all’ergastolo, ma rilasciato dopo pochi mesi nel timore che la notizia delle esecuzioni diventasse pubblica e venisse sfruttata dalla propaganda nazista.

Solo negli ultimi anni, le ricerche di Stefano Pepi, Domenico Anfora e del senatore Andrea Augello – pubblicate in due volumi editi da Mursia – hanno permesso di fare pienamente luce sull’eccidio di 70 prigionieri italiani e 4 tedeschi.

Furono uccisi dopo la conquista dell’aeroporto di San Pietro, nei dintorni di Caltagirone, indicato con l’antico nome di Biscari sulle mappe Usa. Contrariamente ai luoghi comuni sullo sbarco in Sicilia, nella zona di Gela la resistenza delle truppe italiane fu molto decisa e mise in crisi le avanguardie americane. Un contrattacco della divisione Livorno riuscì a sfondare le linee e la battaglia proseguì ininterrottamente per cinque giorni, in un caldo torrido, sotto il tiro incrociato delle artiglierie. Da parte statunitense ci furono esecuzioni sommarie di militari ma anche di civili, accusati di avere fatto fuoco sui paracadutisti alleati: in quel momento, gli americani non erano ancora “i liberatori”.

Gran parte delle fucilazioni avvenne il 14 luglio 1943 nei dintorni dell’aeroporto. Ma il cappellano King aveva descritto nella deposizione alla corte marziale un altro eccidio, indicando la posizione in cui aveva visto otto corpi in località Contrada Saracena. E oggi tre delle vittime sono state identificate: Luigi Poggio, Angelo Maesano e Colombo Tabarrini, tre militi delle Camicie Nere in servizio nella contraerea dell’installazione di San Pietro. Luigi Lo Bianco, all’epoca quindicenne, ha parlato ai ricercatori di un gruppo di camicie nere uccise nella stessa zona indicata dal cappellano King, che il senatore Augello è riuscito a identificare grazie agli archivi dell’Albo d’oro sui caduti italiani in guerra.

Ma la testimonianza più sconvolgente è venuta dalla memoria di Gesualdo Mineo, ora deceduto. Mineo ricorda di avere visto le altre cinque vittime: abitanti della zona che dovevano recarsi a un funerale e per questo indossavano camicie nere o le fasce del lutto. Un abbigliamento che gli americani hanno confuso con le uniformi della milizia fascista, facendo finire questi cinque uomini al muro. Ci sarebbe anche un’ipotesi sui loro nomi e sul luogo di sepoltura, ma gli accertamenti non sono stati ancora comunicati alle famiglie. I risultati della ricerca invece sono stati consegnati ai carabinieri, che provvederanno a trasmetterli all’autorità giudiziaria. I crimini di guerra infatti non sono prescritti. Ma finora le indagini penali aperte dalle procure militari italiane su quegli eccidi venuti dal passato non hanno portato a risultati