Archivio mensile:dicembre 2015

Pablo Neruda – Ode al primo giorno dell’anno

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Pablo Neruda

Ode al primo giorno dell’anno

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.

Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura.

Vedo l’ultimo
giorno
di questo
anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l’uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all’infinito
modello delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni
sboccati
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell’anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?

Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell’alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell’anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.

La terra non lo sa: accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.

Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.

Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo
come un liquido topazio.

Giorno dell’anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.

Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!

Luigi e Silvio Bimbi

Luigi e Silvio Bimbi

Nati a Siena rispettivamente nel 1920 e nel 1921, fucilati insieme a Balze di Verghereto (Forlì) il 12 luglio 1944, studenti universitari,
Medaglia d’argento al valor militare alla memoria.

Arruolati come ufficiali nell’Aeronautica militare, i due fratelli, nel marzo del 1944, erano entrati insieme nella Resistenza. Inquadrati come partigiani combattenti nell’8a Brigata Garibaldi, operante sull’Appennino tosco-romagnolo, erano entrambi comandanti di squadra. Ai primi di luglio del 1944 erano stati catturati dalle Brigate Nere nel corso di un’azione.
Interrogatili sotto tortura, i fascisti non riuscirono a far uscire dalle loro labbra una sola parola che potesse compromettere la Resistenza. Dopo due settimane di sevizie, Luigi e Silvio Bimbi, legati l’uno all’altro, furono trascinati in una prato alla periferia di Balze di Verghereto e fucilati. Davanti al plotone di esecuzione, Silvio Bimbi, all’ufficiale delle Brigate Nere che gli offriva in extremis salva la vita se avesse tradito i compagni, rispose sdegnosamente: "Tirate diritto".
In ricordo dei fratelli Bimbi, a Siena hanno intitolato una strada; portano il loro nome anche una piazza e una scuola di Badia Tebalda, in provincia di Arezzo.

Luigi Canzanelli

La Loro vita per la nostra Libertà
Luigi Canzanelli
Nato al Cairo (Egitto) il 21 ottobre 1921, caduto a Murci (Grosseto) il 7 maggio 1944, studente,
Medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Orfano di padre era cresciuto a Milano con la madre, Giustina, un fratello e una sorella. Frequentava il Politecnico quando, chiamato alle armi nel 1941, era diventato ufficiale di Artiglieria. Al momento dell’armistizio si trovava, col grado di sottotenente, in servizio a una batteria a Roselle Terme (Grosseto). Con un altro ufficiale suo amico, il sottotenente Lucchini, organizzò, adottando il nome di battaglia di "tenente Gino", le prime bande partigiane della Maremma. Queste formazioni della Resistenza, che assunsero il nome di "VII Raggruppamento Patrioti Monte Amiata", operarono nella vasta zona che va da Montalto di Castro-Manciano a Campagnatico-Cinigiano. Protagonista di innumerevoli azioni contro repubblichini e tedeschi, il "tenente Gino" cadde, in un feroce scontro notturno con i fascisti, insieme al suo attendente, il contadino lancianese Giovannino Conti. Nel luogo del combattimento, lungo una carrareccia tra Murci e Pomonte, il giovane partigiano è ricordato da un cippo che gli abitanti del luogo hanno voluto erigere già nel 1945 e che ogni anno, nelle prime festività di maggio, viene visitato in omaggio a Canzanelli e a Conti. Oltre alla Medaglia al valor militare, a Canzanelli, nel 1950, è stata attribuita dal Politecnico di Milano la laurea "ad honorem" in Ingegneria industriale. Portano il nome del valoroso partigiano l’edificio dell’ex Distretto militare di Grosseto e una piazza di Montemerano (GR). Nel 2006, Nedo Bianchi, ha pubblicato, per le Edizioni ETS di Pisa, il libro Il tenente Gino e il soldato Giovanni.

Lanciotto Ballerini

La Loro vita per la nostra Libertà
Lanciotto Ballerini

Nato a Campi Bisenzio (Firenze) nel 1911, caduto in combattimento sui Monti della Calvana (Firenze) il 3 gennaio 1944, sergente maggiore di Fanteria,
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

A Campi Bisenzio c’è ancora chi ricorda quel funerale: quasi tutta la gente del paese scesa in strada, il carro funebre seguito da un centinaio di partigiani inquadrati e armati, calati dalla montagna – nonostante i nazifascisti fossero ancora lontani dall’essere sconfitti – per rendere onore al comandante della prima formazione garibaldina costituitasi in Toscana dopo l’armistizio. Da quel che era rimasto di quella banda partigiana – poco più di una dozzina di uomini che avevano combattuto per quattro mesi, fornendo più prova d’audacia che di organizzazione, così come era nel carattere di Lanciotto, ma che avevano inflitto gravi danni al nemico con improvvisi assalti e colpi di mano – sarebbe nata la brigata "Ballerini", che avrebbe operato sin dopo la liberazione di Firenze.
Lanciotto Ballerini e due dei suoi uomini (altri tre rimasero feriti e altri tre ancora risultarono dispersi), caddero la mattina del 3 gennaio del 1944. La formazione partigiana (vi si erano aggregati due soldati russi, due soldati jugoslavi e un capitano inglese fuggiti dalla prigionia), era da pochi giorni accantonata in località Case di Valibona quando, da Prato, Vaiano e Calenzano mossero le formazioni della guardia repubblichina, del battaglione Muti, di carabinieri e fascisti dei comuni limitrofi. I partigiani furono attaccati al crepuscolo. La sorpresa degli uomini di Lanciotto, che non aveva disposto sentinelle, sarebbe stata completa, se uno dei militari russi – se ne ricorda soltanto il nome, Mirko – non si fosse per caso svegliato all’alba e non fosse uscito dal casolare nel quale riposavano i partigiani. Mirko visti i fascisti a pochi metri dalla base, svegliò Lanciotto.
Il comandante, prontamente, dette l’ordine al sardo Ventroni di sparare con il fucile mitragliatore "Breda" salì sul tetto del casolare con un mitragliatore e cominciò a sparare, costringendo i fascisti ad arretrare; poi, vistosi accerchiato, decise il tutto per tutto, per consentire, almeno ad una parte dei suoi uomini, di sganciarsi. Ballerini, mentre gli altri partigiani sparavano con tutte le armi a disposizione, attaccò a colpi di bombe a mano due nidi di mitragliatrici, neutralizzandoli. Al terzo assalto cadde, colpito in fronte.
I fascisti catturarono Vladimiro Andrey, tenente dei genieri dell’Armata rossa che aveva un piede ferito, e lo finirono barbaramente. Il partigiano sardo Ventroni, addetto alla mitragliatrice "Breda", fu bruciato vivo con il lanciafiamme.
In quello scontro, che è valso a Ballerini la massima ricompensa al valore, i fascisti della Muti e i repubblichini ebbero cinque morti, tra cui il comandante del presidio di Prato, e un alto numero di feriti.

Italo Piccagli

La Loro vita per la nostra Libertà
Italo Piccagli

Nato a Firenze nel 1909, ucciso a Cercina, presso Firenze, il 12 giugno 1944, capitano dell’Aeronautica,
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Nella motivazione della massima decorazione militare che è stata concessa al capitano Piccagli, si ricorda che "all’atto dell’esecuzione, con lo sguardo sereno, rincuorò alcuni patrioti (si trattava di Anna Maria Enriques Agnoletti, Fiorenzo Franco, Pietro Ghergo, Fernando Panerai, Dante Romagnoli e di un ignoto N.d.R.) che dovevano essere con lui fucilati, ed affrontava coraggiosamente la morte. A questo scopo chiese ed ottenne di essere fucilato per ultimo. Dinanzi al plotone pregò che si mirasse a destra (Piccagli sapeva che il suo polmone sinistro era già perduto N.d.R.)". Proprio questa menomazione aveva impedito al giovane ufficiale di compiere quello che riteneva essere il suo dovere in aviazione, ma non gli era stata di ostacolo, anche se dolorosamente, nel gravoso impegno contro gli occupanti e i loro collaborazionisti italiani, quando i tedeschi presero in pugno il Paese. Piccagli fu tra gli organizzatori, tra l’altro, della clandestina "Radio Co.Ra." e fu di grande aiuto all’avvocato Enrico Bocci, capo della struttura clandestina. Spinto dal suo senso di altruismo, la sera del 7 giugno del 1944, si era consegnato ai tedeschi nella convinzione, rivelatasi vana, di poter salvare i compagni di lotta catturati in piazza d’Azeglio, a Firenze, durante l’irruzione dei tedeschi e dei fascisti nella sede della radio clandestina. Il suo gesto, anzi, coinvolse anche la moglie, che fu arrestata e poi deportata in Germania. Alla donna, nell’ultimo incontro, nascose di essere stato condannato a morte.

Inigo Campioni

La Loro vita per la nostra Libertà
Inigo Campioni
Nato a Viareggio il 14 novembre 1878, fucilato a Parma il 24 maggio 1944, ammiraglio,
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Aveva iniziato la carriera militare nel 1893 come allievo dell’Accademia Navale. La partecipazione alla prima guerra mondiale come capitano di corvetta, al comando del cacciatorpediniere "Ardito", gli era valsa una Medaglia di bronzo e la Croce di guerra, a cui era seguita una brillante carriera. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale (era già stato nominato senatore e commendatore dell’Ordine militare d’Italia), era diventato Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare. Nel novembre del 1941, l’ammiraglio Campioni, collocato in ausiliaria per raggiunti limiti di età, fu nominato Governatore delle Isole dell’Egeo e comandante di tutte le forze armate operanti in quel settore. Dopo l’armistizio tentò inutilmente di opporsi ai tedeschi che lo catturarono. Prima Campioni fu trasferito in un campo di concentramento in Germania e poi fu consegnato dai tedeschi ai repubblichini di Salò che, dopo una farsa di processo, lo fucilarono. Questa la motivazione della ricompensa al valore dell’ammiraglio Campioni: «Governatore e comandante delle Forze Armate delle isole italiane dell’Egeo si trovava, nel cruciale periodo dell’armistizio, a capo di uno degli scacchieri più difficili, lontani e vulnerabili. Caduto in mano al nemico in seguito ad occupazione della sede del suo comando, rifiutava reiteratamente di collaborare con esso o comunque di aderire ad un Governo illegale. Processato e condannato da un tribunale straordinario per avere eseguito gli ordini ricevuti dalle Autorità legittime e per avere tenuto fede al suo giuramento di soldato, manteneva contegno fiero e fermo, rifiutando di firmare la domanda di grazia e di dare adesione anche formale alla repubblica sociale italiana, fino al supremo sacrificio della vita. Cadeva comandando lui stesso il plotone di esecuzione, dopo avere dichiarato che «bisogna saper offrire in qualunque momento la vita al proprio Paese, perché nulla vi è di più alto e più sacro della Patria». L’ammiraglio Campioni, con il contrammiraglio Luigi Mascherpa fucilato con lui, è ricordato a Parma da un monumento e da una lapide.
link permanente a questa pagina: http://anpi.it/b2105/

Ilio Baroni

La Loro vita per la nostra Libertà

Ilio Baroni

Nato a Massa Marittima (Grosseto) il 25 maggio 1902, caduto a Torino il 26 aprile 1945, operaio.

A Piombino, dove la sua famiglia si era trasferita, nel primo dopoguerra fece le sue prime esperienze politiche, militando tra gli "Arditi del popolo" contro il fascismo nascente. Nel giugno 1925 si trasferì a Torino e andò ad abitare nel quartiere Madonna di Campagna, per passare poi in via Desana.
Entrato a lavorare alla Fiat Ferriere come operaio, per il suo antifascismo, nel 1938 Ilio Baroni fu incarcerato e condannato a 5 anni di confino. Tornato in libertà e ripreso il lavoro alle Ferriere, divenne autorevole membro del Comitato di Agitazione torinese, contribuendo al successo degli scioperi nelle fabbriche del 1943-1944. Con il nome di battaglia di "Moro", era diventato, durante la Resistenza, il comandante della 7ª brigata SAP "De Angeli". Cadde colpito a morte in uno scontro nei giorni dell’insurrezione, durante la difesa dello stabilimento.
Un lapide collocata a Torino, in corso Giulio Cesare angolo corso Novara, ne ricorda il sacrificio. Di Ilio Baroni parlano F. Ferro (Fabbri) nel libro I nostri sappisti nella liberazione di Torino, e
Raimondo Luraghi in Il movimento operaio torinese durante la Resistenza.

Igino Bercilli

La Loro vita per la nostra Libertà

Igino Bercilli

Nato a Castellina (Firenze) il 21 febbraio 1895, ucciso dai fascisti a Firenze nel luglio del 1944, operaio.

Membro dell’organizzazione comunista clandestina, Igino Bercilli nel 1928 fu arrestato a Firenze e processato dal Tribunale speciale, che gli inflisse otto anni di reclusione. Tornato in libertà, riprese il lavoro di pellettiere, senza rinunciare mai ai suoi ideali democratici. Dopo l’8 settembre del 1943, fu tra gli organizzatori della Resistenza in Toscana e partigiano combattente. Nell’estate del 1944, caduto in mano ai fascisti della tristemente nota banda Carità, Bercilli fu barbaramente torturato. Fu assassinato dai suoi torturatori poco prima della liberazione di Firenze.

Hemin sec XX – Frontiere

Hemin, sec. XX

Poeta Curdo

Frontiere

Terra adorata, mia terra,

amore che ho perduto

se tu fossi remota

in un cielo inaccessibile

o su una vetta ai limiti del mondo

saprei correre da te

anche con scarpe di ferro.

Ma ti separa da me un tratto sottile.

L’invasore lo chiama confine.

Giuseppe Ungaretti – Sono una creatura

Giuseppe Ungaretti

Sono una creatura

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo