Archivio mensile:dicembre 2014

BUON ANNO

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Gianni Rodari
L’anno nuovo

Indovinami,indovino
Tu che leggi nel destino
L’anno nuovo come sarà?
Bello, brutto o metà e metà?
Trovo stampato nei miei libroni
Che avrà di certo quattro stagioni,
dodici mesi, ciascuno al suo posto
e il giorno dopo il lunedì
sarà sempre un martedì.
Di più per ora scritto non trovo
Nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno

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Alex Kulisiewicz – Figli di mamma in Kz

Alex Kulisiewicz

Figli di mamma in Kz

(sull’aria di una canzone popolare)
Una mamma aveva tre figli:
due erano
Volksdeutscher
e rammollivano a casa,
il terzo, che era sano, crepò in un campo di
[concentramento.
Un giorno vennero a visitarlo
gli angeli della Gestapo,
che gentilmente lo riverirono
alla mascella sinistra.
Lo presero per mano
e insieme fecero un lungo viaggio
sul pullman fu gentile con loro,
non si stancò mai di lodarli.
Poi lo lavarono, certo che lo lavarono
e tutto rosso per il gelo
il ragazzo restò così:
nudo e pieno di stupore.
Poi gli diedero, certo che gli diedero
un numero e una camicia a strisce,
e un robusto calcio
affinché potesse lamentarsi con la sua mamma.
Ora poteva dirsi veramente felice e sazio
(picchiato sul viso e sul sedere)
della propria privilegiata condizione
di Häftling di un Kazet culturale.
Tornò, sì, un giorno dalla propria madre
– quieto e devoto – per tramite delle
Reichposten e sotto forma di cenere
in un’urna d’argento.
Dall’urna, amorevolmente collocata
nella stanza della sua Maniula,
può ora contare e ricontare a piacimento
gli amici liberi che ella riceve nel suo letto.
NOTE
Volksdeutscher sono gli allogeni tedeschi
Häfling significa “prigioniero”
Kazet è la pronuncia tedesca di KZ lager
Konzentrationslager campo di concentramento)

Corale dal profondo dell’inferno

Corale dal profondo dell’inferno

Udite il nostro coro dal profondo dell’inferno!
Il nostro canto risuoni nelle orecchie dei nostri
[carnefici,
il nostro canto
dal profondo dell’inferno!
Ai nostri carnefici,
ai nostri carnefici
risuoni il canto,
ai nostri carnefici,
ai nostri carnefici.
Attention,
attention!
Qui degli uomini muoiono,
qui ci sono degli uomini,
creature umane sono
queste!…

Testo di Leonard Krasnodebski
Musica di Alex Kulisiewicz

Sabotaggio alle linee telefoniche

Sabotaggio alle linee telefoniche

di Alessandro Bargellini, 26-12-2005 .

Questa storia si svolge nel comune di Firenze.

Dai mesi aprile-maggio ’44 a seguito di disposizioni comunali ma, in realtà, da ordini del comando germanico di zona sito in Ponte a Ema, è richiesto a molti abitanti di via delle Cinque Vie in località Pian d’Ema un servizio di vigilanza alla rete telefonica tedesca che attraversa il Ponte a Ema.
Tra questi Arturo Labardi (nato al Galluzzo il 23/9/1883, contadino, coniugato), con i figli Ernesto e Giulio ed Attilio Marucelli (nato a Rignano sull’Arno il 27/9/1896, bracciante agricolo, coniugato) che devono controllare un tratto campestre fiancheggiante la via delle Cinque Vie.

Intorno al mezzogiorno del 30/6/1944 Ottavina Tucci, moglie del Marucelli, viene a sapere che nel tratto sorvegliato dal marito e dal Labardi, precisamente nel tratto compreso tra i civici 72 e 74, è stato tagliato il cavo telefonico e che i tedeschi sono gia presenti sul luogo da mezz’ora. Subito lo raggiunge e questi cerca di rassicurarla, dicendo di non preoccuparsi.
Anche Ernesto Labardi, verso le 13.00, è messo a conoscenza di quanto è accaduto ed anche lui si porta alla ricerca del padre.
Dopo aver riattivato la linea, i tedeschi prendono il Marucelli e con una macchina lo conducono al loro Comando di Ponte a Ema. Sono tre militari di cui uno, con i gradi di maresciallo, che parla italiano e, sembra, con cadenza fiorentina.

Il giovane Labardi ritorna alla propria abitazione, ma poco dopo vi giunge un’auto tedesca che chiede di Arturo Labardi. La moglie, Rosa Azzurrini, gli dice che il marito è ancora sul luogo del sabotaggio ed allora i soldati se ne vanno.

Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, intorno alle ore 14:00, l’uomo fa ritorno verso casa accompagnato però da sei soldati germanici, tra cui il maresciallo più sopra citato. La moglie gli si sta facendo incontro quando gli viene perentoriamente ordinato di allontanarsi. Appena fatti pochi passi sente una raffica di arma automatica ed allora torna indietro: presso una siepe, nel luogo dove è stato trovato tagliato il cavo giace, riverso sull’erba, il corpo del Marucelli con accanto quello del Labardi. Sono stati fucilati alle spalle dal maresciallo che ha sparato un intero caricatore di mitra dopo avergli ordinato di portarsi verso il luogo del sabotaggio.

La raffica è udita anche da Ernesto Labardi che presagisce qualcosa di estremamente drammatico e solo dopo che l’auto tedesca se ne è andata accorre sul luogo dove ha lasciato il padre. Ha così modo di vedere quale triste sorte è toccata all’incolpevole genitore ed al suo compagno di sventura.

Dopo poco il sottufficiale comunica a Sarino Vitali, abitante la Villa del Vecchio al civico 72 e che è stato testimone di quest’atto infame, di recarsi al Comune per chiedere il carro funebre per il trasporto dei "due delinquenti".

I cadaveri verranno rimossi solo in serata, alle 18:00 circa, e poi sepolti nel cimitero di San Felice a Ema. I due guardafili fucilati saranno sostituiti per una decina di giorni dai fratelli Ernesto e Giulio Labardi, figli di una delle vittime.

Da una lettera di don Fosco Martinelli, priore di Santa Margherita a Montici, indirizzata al Cardinale Elia Dalla Costa si apprende un particolare di un certo rilievo. Al momento del sabotaggio del cavo (di cui s’ignorano i responsabili) doveva svolgere le mansioni di guardafili un ragazzo, tale Mariotti, in sostituzione dell’assente Arturo Labardi.

Il giovane sarebbe stato condotto con la madre ed il Marucelli al Comando tedesco a Grassina per ritornare poi tutti insieme alle 14:30. Il Mariotti e la donna sarebbero stati mandati a casa e contemporaneamente veniva chiamato il Labardi. Il resto come abbiamo detto finora.

Attilio Marucelli è ora tumulato nel Sacrario dei caduti partigiani del cimitero della Misericordia di Rifredi.

I deportati di Campi Bisenzio (FI)

Per non dimenticare

 

I deportati di Campi Bisenzio (FI)
di Fulvio Conti, 13-4-2007, Tutti i Diritti Riservati.

 

Angiolino Collini
Nato a Campi Bisenzio il 23 ottobre 1913, deceduto a Linz il 13 maggio 1944. Numero 57068.Fa parte degli operai della “Galileo” arrestati l’8 marzo 1944.
Bruno Paoletti
Nato a Campi Bisenzio l’8 giugno 1903, deceduto a Ebensee il 23 maggio 1945. Numero 57319.Viene catturato l’8 marzo 1944 a Prato, dove stava lavorando in fabbrica.Come gli altri è condotto a Firenze e poi deportato a Mauthausen.Qui riesce a sopravvivere per ben dodici mesi dando tutto se stesso, ma alla fine, privo ormai di ogni forza e di capacità vitale, si abbandona inerme alla follia omicida nazista.

Carlo Nannucci

Nato a Campi Bisenzio il 16 gennaio 1925, deceduto a Mauthausen l’8 giugno 1944. Numero 57297.La mattina dell’8 marzo 1944, Carlo rimane intrappolato in un rastrellamento, non riesce a scappare e viene fatto salire su un camion insieme agli altri fermati. Finisce nel campo di Mauthausen dove, secondo testimonianza di Raffaello Bacci, muore nel “Sanitatslager” l’8 giugno 1944 alle ore 7.10.Il giovane campigiano al momento della morte ha solamente 19 anni.

Felice Assesi

Nato a Campi Bisenzio il 21 ottobre 1900, deceduto a Hartheim il 15 agosto 1944. Numero 56891.Professione commerciante di polli, l’8 marzo si trova a Prato per motivi di lavoro quando viene catturato nel rastrellamento.I suoi familiari vengono a conoscenza della deportazione da un biglietto che Felice lascia cadere alla stazione di Bologna con la sorprendente informazione sulla cattura e il viaggio intrapreso verso il nord. Il momento stabilito per la sua eliminazione fisica, registrata nelle carte del castello di Hartheim, è il giorno 15 agosto 1944. Nel 1945 un ex-deportato di Mauthausen, amico dell’Alessi, confida ai familiari: “Felice era un uomo di oltre cento chili, se lo aveste visto alla fine non lo avreste riconosciuto. E’ morto che aveva soltanto le ossa.”
Gino Sugherelli
Nato a Campi Bisenzio il 10 giugno 1894, deceduto a Hartheim il 28 settembre 1944. Numero 57418.Sugherelli abita a San Piero a Ponti e lavora alla Rifinizione Campolmi di Prato, l’8 marzo è catturato con i suoi compagni in seguito all’operazione effettuata dal maresciallo Giuseppe Vivo della milizia repubblichina.Nel campo di Mauthausen Gino Sugherelli rimane fino al settembre 1944 quando viene improvvisamente trasferito all’Erholungsheim del castello di Hartheim, dove la sua morte è registrata il giorno 28.
Michele Ciampolini
Nato a Campi Bisenzio il 18 febbraio 1890, deceduto a Ebensee il 17 gennaio 1945. Numero 57052.L’8 marzo viene catturato nella fabbrica dei fratelli Lucchesi a Prato, dove era addetto al reparto tranciatura. Michele viene trasferito il 25 marzo 1944 da Mauthausen al campo di Ebensee dove trova la morte alle ore 9.30 del 17 gennaio 1945 per “debolezza cardiaca acuta”.
Nazzareno Capaccioli
Nato a Capalle il 29 luglio 1904, deceduto a Ebensee il 21 aprile 1944. Numero 57012.Nazzareno non aderisce allo sciopero e decide di non recarsi al lavoro. In quei giorni un terribile bombardamento si abbatte su Prato. I fascisti lo bloccano in piazza delle Carceri e lo trasferiscono a Firenze. Nazzareno Capaccioli muore alle 7.00 del 21 aprile 1945 ad Ebensee.
Otello Mariotti
Nato a Capalle il 29 maggio 1889, deceduto a Ebensee il 12 dicembre 1944. Numero 57248.Otello Mariotti lavora a Prato alla Rifinizione Campolmi, la mattina dell’8 marzo viene arrestato. Della vita trascorsa nel lager da Otello Mariotti racconta qualcosa ai familiari Gino Marchi, ex-deportato che muore poco dopo il suo ritorno a casa. Otello Mariotti esala il suo ultimo respiro il 12 dicembre 1944, ridotto in fin di vita dagli stenti e dalle sofferenze.
Parisio Signorini
Nato a Campi Bisenzio il 3 maggio 1906, deceduto a Ebensee il 23 maggio 1944. Numero 57410.La sera del 7 marzo 1944 Paradisio, portiere del Lanificio Pecci di via Ferrucci a Prato, viene catturato dai repubblichini in piazza delle Carceri.Parisio è internato il giorno 11 marzo nel campo di Mauthausen ed è in seguito trasferito al campo di sterminio di Ebensee, dove muore il 23 maggio 1944, alle 6.10 della mattina.
Raffaello Bacci
Nato a Campi Bisenzio il 29 giugno 1903, superstite, deceduto a Campi Bisenzio il 22 maggio 1969. Numero 56911. La mattina dell’8 marzo, insieme agli altri dipendenti della ditta Campolmi di Prato viene catturato dal maresciallo Giuseppe Vivo e dai suoi agenti.Inviato al campo di concentramento di Mauthausen viene trasferito il 25 marzo 1944 al comando di Ebensee. Nonostante le sofferenze e le atrocità subite il 23 giugno del 1945 Raffaello riesce a tornare a casa, stremato e fisicamente distrutto. Malgrado le molte cure cui si sottopone Raffaello Bacci muore per i postumi della deportazione nel maggio del 1969.
Tebaldo Franceschini
Nato a Capalle il 20 dicembre 1887, deceduto a Harheim il 4 ottobre 1944. Numero 57132.Grande invalido della Prima Guerra Mondiale, lavora come operaio tessile nella fabbrica Campolmi di Prato. E’ arrestato dal maresciallo Giuseppe Vivo ed è inviato a Mauthausen. Poi, trovatosi allo stremo delle forze, viene mandato a morire nel castello di Hartheim, nel “convalescenziario” istituito apposta per sopprimere chi non è più in grado di lavorare. Tebaldo chiude gli occhi per sempre il 4 ottobre 1944.

Ugo Ballerini

Nato a Campi Bisenzio il 26 maggio 1899, deceduto a Ebensee il 21 giugno 1945. Numero 56918.Uomo allegro e simpatico, viene trasferito dal campo madre di Mauthausen al sottocampo di Ebensee il 25 marzo 1944 e qui rimane fino alla liberazione, quando appare ormai psichicamente compromesso.Muore il 21 giugno 1945 ed è sepolto nel cimitero “Steinkogel” di Ebensee, alla fila V, al numero 21.

Roberto Roversi – Tutto bruciato

Roberto Roversi
Tutto bruciato»
Marco appare. "Il paese bruciato.
Guarda le case, tronchi senza vita,
macerie, polvere.
La forte gioventù morta, fuggita".
Il sole indora la campagna,
cade dai nevai;
odore di un fuoco calmo dentro al vento.
La gente ferma sulla piazza.
M’azzanna il cuore una vespa infuriata.
"I mongoli affamati
dànno alla nostra carne questi morsi.
I tedeschi li armano, li avventano
ubriacandoli; bruciati dalla grappa
cadono urlando sulla strada,
prendono le donne come cani.
Pecore siamo nell’Italia morta".
M’avvio nella valle solcata
da un fiume, con cime fuggenti,
stormire d’alberi,
ruscelli stenti migrano, fra onde
di foglie i castelli persi nelle ombre.
Case incendiate specchiano le nubi;
dentro ai paesi occhi e ossa d’uomini
tendono la mano, pellegrini
vinti da una sciagura.
Pendono le travi delle case.
"Le donne uccise", dicono, "o scampate
al massacro, spente di paura
giacciono nel buio delle stalle.
Da uscio a uscio per fienili e case
i mongoli cercarono, fra le balle
di paglia, carrette rovesciate;
bruciò il paese, fuggono le donne
rauche disfatte pazze di terrore".
I vigorosi uomini lontani.
Pagarono le donne con la vita
la breve età felice
e i neri capelli.
Tornano adesso i giovani strisciando
lungo le siepi della valle.