Luis

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Luis

(24 ottobre 1944)

Il 25 luglio del 1943 provocò nel Friuli risonanze e reazioni come in poche altre regioni d’Italia. C’era una dolorosa e san­guinosa storia passata che aveva visto schierati da una parte i fascisti e i grossi proprietari e dall’altra gli operai, i contadini e non pochi intellettuali. Al sorgere del fascismo fin dal 1921 si levarono a contrastarlo con risolutezza folti gruppi. Nomi co­me Alighieri, Sartor, Masutti, Oliva, Moras, Fiappo, Scocci­marro e tanti altri passati dal tribunale speciale o al confino costituivano un esempio e un patrimonio mai dimenticato.

Alcuni episodi delle lotte del Friuli meritano particolare ri­lievo. Fanno spicco la conquista del patto di mezzadria col 60% al colono, l’organizzazione dell’attentato del maggiore Zaniboni contro Mussolini nel 1925, lo sciopero dei 6000 tessili al Co­tonificio Veneziano nel 1928, lo sciopero nel 1931 all’ITALCE­MENTI. I centri piú vivi erano stati Spilimbergo, Pordenone, Cividale, Cervignano, Tolmezzo, Latisana, Udine. Quanto l’am­biente friulano fosse ostile alla guerra e al fascismo venne di­mostrato anche dagli alpini della divisione Julia che, pur deci­mati dai cruenti scontri sul fronte greco-albanese, dopo la rico­struzione dei quadri e una permanenza nel Friuli prima di par­tire per il fronte sovietico, nel 1942 manifestarono clamorosa­mente i loro sentimenti contrari alla guerra e al regime. Questi precedenti aiutano a capire perché 1’8 settembre, dopo l’armisti­zio di Badoglio, gran parte della popolazione fosse cosciente del­la necessità della lotta armata per cacciare i tedeschi dall’Italia.

Benché giovane, Luigi Maturo conosceva bene questi fatti. Nato il 18 giugno 1921, Luigi fin da ragazzo aveva avuto con­tatti col movimento antifascista clandestino. Era stato operaio nel cantiere di Monfalcone, uno dei centri piú vivi dell’opposi­zione al fascismo, e aveva partecipato in qualche modo a tutte le iniziative prese dalle forze antifasciste, e soprattutto al Soc­corso Rosso per la Resistenza in Spagna. Arrestato e incarcerato per aver partecipato ai grandi scioperi del 1942 a Monfalcone, che infersero un duro colpo al fascismo, venne poi chiamato al servizio militare e 1’8 settembre si trovava a casa in licenza il­limitata.

Luigi concorse a creare nuclei di resistenza a Gorizia e Tarcento e prese parte ai primi scontri con i nazisti sulle colline di quelle zone. Sarà opportuno tenere presente che le forze antifasciste, di differente estrazione sociale e politica, si raggrup­parono in formazioni diversamente qualificate. Il Comitato di Liberazione del Friuli e i comitati locali assolsero, seguendo l’esempio e le direttive di quello Nazionale, una funzione uni­ficante e dirigente, ma i nuclei partigiani mantenevano caratte­ristiche distinte. La divisione Garibaldi con la sua articolazione in brigate era costituita soprattutto da proletari e finì per essere considerata comunista, mentre la Osoppo, che comprendeva ele­menti del ceto piccolo-borghese e clericali, veniva considerata sotto molti profili gemella della formazione jugoslava coman­data dal generale legittimista Mihàjlovic, in contrasto con le for­mazioni di Tito. Luigi Maturo venne assegnato a un gruppo della divisione autonoma garibaldina Natisone.

La divisione Natisone nel giro di pochi mesi agisce contro i tedeschi in modo efficace: il battaglione Maz­zini opera sul Collio, lancia bombe contro il palazzo Littorio a Udine, conduce attacchi alla caserma dell’8° reggimento alpini, dove sono alloggiati i tedeschi; il bat­taglione Matteotti attacca la mensa degli ufficiali na­zisti a Povoletto; nel mese di giugno uccide vari tede­schi e sul monte Carmizza infligge perdite al nemico nel corso di varie azioni. E’ una vera guerriglia organizzata. Il mese di settembre 1944 vede la Natisone, parti­colarmente attiva, sostenere grossi scontri coi tedeschi e i fascisti. Nel mese di ottobre formazioni della Na­tisone uccidono 18 tedeschi; provocano il deragliamento di una littorina, la distruzione di una locomotiva, e liberano molti prigionieri italiani. In queste operazioni perde 55 uomini, oltre a 170 fra feriti e dispersi.

Luigi Maturo, che ha assunto il nome di battaglia ‘Luis," viene destinato ad un gruppo cui è assegnato il rifornimento logistico. Il gruppo, comandato da Stakul, assolve il compito di intendenza e quindi il rifornimento di tutti i combattenti. La sua attività istituisce la più grande intendenza del movimento partigiano italiano. Si tratta di un compito assai difficile e delicato, anche perché nei momenti non operativi gli uomini addetti sono pericolosamente esposti in pianura, dove hanno ramificazioni e depositi nelle fabbriche e nelle campagne, fanno sottoscrizioni vo­lontarie per gli amici e "obbligatorie" per gli indu­striali, ai quali rilasciano regolare ricevuta.

Fra tante perdite questo servizio di intendenza su­birà quella del suo comandante Stakul, fucilato dai te­deschi. Lo sostituirà Silvio Marcuzzi detto "Montes," ma egli pure cade. Catturato dai tedeschi e dai fascisti, Montes venne torturato nella caserma Piave con i mezzi piú barbari: gli fu applicato intorno al capo un cerchio di ferro che venne gradualmente stretto fino ad ucciderlo fra atroci sofferenze.

Malgrado questi colpi l’intendenza della Natisone continuò il suo prezioso lavoro di ricerca dei mezzi per alimentare le unità combattenti. Gli operai di Monfal­cone e i contadini della bassa friulana e del Friuli orientale contribuirono largamente a procurare i mezzi necessari alla lotta. I contributi sono i piú vari: denaro, alimenti, stoffe e generi di abbigliamento, scarpe, medi­cinali, materie di vario genere che vengono rivendute. Tutto è raccolto, avviato per mille mani e infiniti rivoli.

Il contributo oltre che essere di valido aiuto ma­teriale è politico, perché serve a rendere popolare la Resistenza, a stabilire rapporti politici, a unire in un’ unica lotta e un comune destino tanto chi dona quanto chi raccoglie e chi, alla fine, riceve. Tutti sono prota­gonisti di una battaglia popolare. Di questo servizio si avvale anche il "Nono corpo sloveno." Luis fa parte di questo organismo quasi perfetto e in varie occasioni ha mostrato di essere un elemento sicuro; ha ormai 23 anni e la sua scelta è cosciente. Del resto tutta la sua famiglia è nella lotta: i genitori sono a contatto con la Resistenza, un fratello partigiano è deportato (e morirà a Dachau), un altro fratello è comandante di un gap ed altri tre fratelli operai sono attivi nelle fila della Resistenza a Monfalcone.

A Palmanova c’è un comando tedesco di SS dotato di carri armati e una rappresentanza della Repubblica di Salò, cui sono affidate precise funzioni repressive. A Palmanova sono già stati torturati e fucilati circa quattrocento cittadini italiani e sovietici, e qui sono venuti a offrire la loro solidarietà e a fare propaganda gli attori cinematografici Osvaldo Valenti e Luisa Ferida.

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Osvaldo Valenti X Mas

Il 23 ottobre il gruppo di Luis sulla statale Cervi­gnano-Trieste requisisce un autobus pieno di stoffe e vestiario. È un’operazione di borsa nera cui i fascisti stessi si dedicano. Il bottino viene scaricato al Molino Falmicio, vicino a Palmanova. Successivamente gli uo­mini del gruppo procedono allo smistamento dei vestiari per la montagna. Tutto viene eseguito rapidamente. Gli uomini sono stanchi ma soddisfatti. La vigilanza contro sorprese è forse rallentata: ormai queste im­prese sono eseguite quasi quotidianamente e, malgrado il rischio, sono considerate normali. Alle ore 13 del 24 il lavoro è finito. Gli uomini si fermano presso un bar del paese per bere un bicchiere e poi andarsene. L’at­mosfera incombente nel locale è tesa perché i presenti sono tutti in qualche modo coinvolti nella lotta.

Improvvisamente, mentre stanno per uscire, arriva una grossa squadra di SS tedesche a cavallo. In un primo momento gli uomini della Natisone pensano si tratti di un normale movimento di forze in transito, ma tale impressione dura poco perché i nazisti circondano i quattro partigiani. Sono circa cinquanta SS a cavallo comandati dal ten. Odorino Borsatti, un italiano; il gruppo dei partigiani è comandato da Stakul ed è composto oltre che da Luis, da Stelío Simonetti e Giuseppe Doman, tutti delle classi 1921 e 1922.

1 partigiani intuiscono subito che ogni resistenza è inutile e che ormai per loro è finita; sanno quale sia la sorte riservata a chi cade nelle mani del rinnegato Borsatti
Neanche la fuga, con queste proporzioni di forze è pensabile. I quattro partigiani sono costretti a

montare sui cavalli e, circondati dai tedeschi, pure a cavallo, vengono condotti alla caserma Piave. Du­rante il non lungo tratto di strada i pochi passanti neanche si accorgono di quei quattro uomini malve­stiti e stretti in una morsa.

Stakul, Luís, Símonetti e Doman guardano con altri occhi, riflettono con altro animo su quel paese, sui pochi cittadini. Non possono parlarsi e ciascuno è immerso nei propri pensieri. I quattro giovani giunti alla caserma sono subito oggetto di scherno e di violenze; vengono divisi e rinchiusi in celle separate.

La caserma è un ambiente triste, trasandato e da quando è occupata dai tedeschi ha un aspetto ancor piú lugubre. Tutti sanno che lí si compiono torture, si uccide e si organizzano le rappresaglie contro gli antifascisti. Luis è ora chiuso in un’angusta cella. Non vede piú nulla, non sa piú nulla. Ogni tanto ordini e grida di dolore risuonano e echeggiano nei corridoi e nelle cellette. Verso sera, ormai al calare della notte, sente piú volte risuonare rabbiosi spari. A Luis non sfugge l’origine di quei colpi: capisce che i suoi com­pagni sono stati assassinati. Ormai la sua sorte è se­gnata.

"Verso mezzanotte vengono a prelevarmi sei o sette militi," racconta Luis. "Condotto in una stanza sono sottoposto ad un interrogatorio sommario. Nessun in­tento di capire chi sono e cosa avevo fatto. Le frasi pronunciate dagli uomini che mi tengono prigioniero non hanno neanche l’aspetto di un rito formale; sono insul­ti, scherni senza neanche il calore della collera. Tutto è compiuto con distaccata freddezza. La conclusione è scontata.

"I miei aguzzini mi costringono a spogliarmi. Resto in mutande. Penso che vogliono risparmiare dai pro­iettili questi pochi indumenti. Quale altra ragione ci potrebbe essere per denudarmi?

" /Assistono alla mia imminente esecuzione soldati delle SS e alcuni fascisti italiani che hanno abbondante­mente bevuto. S’incrociano battute e rauche grida. La mezzanotte è passata e tutt’intorno è silenzio.

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"Un tedesco ha uno scatto, come per dire ‘andiamo.’ Sono sospinto nel cortile della caserma. Sulla epider­mide sento il freddo dell’aria, ma nel mio corpo il sangue bolle. Comprendo che è la fine. Avanzo nel cor­tile e mi attendo la raffica alle spalle, come spesso fan­no i fascisti. Sento gli spari e vedo lampi di fuoco. Appena percepisco di dove vengono, mi sento colpito alla spalla e al braccio, che me lo sento come stac­cato. Cado riverso per la violenza dei colpi e per il do­lore. È silenzio. Mi rendo conto di non aver perso la coscienza anche se non so valutare la gravità delle fe­rite. Ho una confusione terribile nella testa e il san­gue mi ribolle. Come un lampo, appena distinta nel caos mentale, mi passa l’idea di sopravvivere. Resto im­mobile, inchiodato a terra con la faccia riversa. L’oscurità e la posizione m’impediscono di vedere come si muovono i miei aguzzini. Sento però che un altro uo­mo si avvicina proveniente dall’ufficio. Si avvicina an­cora e mi è quasi addosso. Intravedo la pistola che por­ta ciondoloni. Conosco il rito e quindi so che viene a darmi il colpo di grazia. Non potrò sfuggire né occul­tarmi. Il suo colpo cosí ravvicinato sarà infallibile. Quando mi è sopra muove l’arma e mi spara alla te­sta. M’investe l’orecchio e la tempia di striscio. Sento il sangue che sgorga copiosamente. L’esecuzione è com­piuta. I nazisti accendono una lampada a pila e la puntano su di me per controllare l’esito. Mi sento in una pozza di sangue e la luce cade proprio sul sangue. Sono soddisfatti e rientrano nell’ufficio. Dopo poco sento rumore di bottiglie e di bicchieri e risate bestiali. Poi silenzio,

"Sono solo, mi sento debole. Temo che la morte mi giunga per dissanguamento. Nel mio corpo scatta qualcosa come una molla: debbo salvarmi. Non c’è vigilanza. Sono sicuri che sono morto. Mi alzo, con grande fatica mi trascino al lato del cortile. I dolori mi danno un senso di morte, ma la mia volontà di scampare au­menta, diventa prepotente. Da una parte il cortile confina con una siepe dietro la quale c’è un ruscello, in­fine c’è un bastione che circonda tutta la caserma. Mi trascino e mi arrampico, con un solo braccio perché l’altro è immobilizzato, come perso. Qualche rumore sospetto, il latrato di un cane mi raggelano e mi fer­mano. Poi riprendo. Riesco ad uscire all’aperto. Vago per la campagna, cammino a piccoli tratti alternati a soste. Misuro le mie forze e i miei movimenti, valuto le circostanze. Mi sorprendo della mia lucidità. Alla fine trovo un fienile; mi ci corico. Col fieno mi tampono l’emorragia e mi immergo in un sonno profondo, per tutta la notte, totalmente avviluppato nel fieno per scal­darmi.

"La mattina mi sveglio per un forte colpo che rice­vo al fianco. È il forcone del contadino che non mi ave­va visto. Sono in mutande e tento di alzarmi. Alla mia vista il contadino si spaventa, chiama la moglie e tutt’e due si mettono in agitazione.

"Sono tremendamente spaventati. Mi offrono un paio di pantaloni e mi dicono di andarmene. Hanno tanta paura e non mi danno nulla da mangiare.

"M’incammino a balzelli e mi trascino fino alla Ca­sa Bianca, un locale di contadini amici a S. Vito al Torre. La famiglia Tofful mi accoglie e mi cura. Poi uomini della Resistenza mi conducono all’ospedale ci­vile di Monfalcone sotto falso nome. Sono in salvo."

La stessa mattina del 25 i tedeschi vanno nel cortile per prelevare i quattro cadaveri degli uomini che la sera prima avevano assassinati. Con loro sorpresa, inspie­gabilmente, ce n’erano soltanto tre. Infuriati e indispet­titi tedeschi e fascisti danno l’allarme, mobilitano i lo­ro uomini per la ricerca del fantomatico quarto uomo. Nel frattempo Luis è trasferito all’ospedale di Grado,dove il personale medico conosce il suo vero nome, e qui resta per alcuni mesi.

Il famigerato Borsatti non desiste dalle ricerche e in aprile gli viene segnalata la presenza di Maturo. Ma alcuni amici dei partigiani avvisano Luis e con una barca di pescatori di Grado lo trasportano a Trieste.

Il giorno dopo la fuga di Luis, Borsatti irrompe coi suoi scherani nell’ospedale e mette tutto sottosopra. Malgrado le minacce ai medici e agli inservienti non trova elementi per rintracciare il fuggitivo. Nessuno parla.

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