Archivio mensile:luglio 2017

Parole e Musica – Attraverso monti e valli

Patria Indipendente
Cantavano i partigiani
Chiara Ferrari
Breve rassegna (e breve storia) di alcune famose canzoni della Resistenza,
dei loro testi e dei luoghi dove sono nate
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Attraverso valli e monti (1944) è un canto nato nell’Udinese come rielaborazione di una canzone rivoluzionaria russa, a opera di un militante comunista anonimo. Oggi viene cantato tradizionalmente il 25 aprile dai partigiani e dalla popolazione di Udine
Per ascoltare la canzone
https://youtu.be/TgBB2E9KSw0
Attraverso valli e monti
eroico avanza il partigian
per scacciare l’invasore
all’istante e non doman.

Per scacciare l’invasore
all’istante e non doman.

E si arrossan le bandiere
tinte nel sangue del partigian;
giù dai monti a balde schiere
sotto il fuoco avanti van

I tedeschi e i traditori
saran scacciati con l’acciar
e il clamor della vittoria
varcherà le Alpi e il mar.

Combattiam per vendicare
tanta infamia e atrocità
combattiam perché l’Italia
viva in pace e libertà

Elena Bono – I canti della montagna

Elena Bono
I canti della montagna

Soltanto chi ogni giorno va a morire
può cantare così.
Era come cantassero i torrenti
le grandi erbe selvagge
le montagne.
Il vostro cuore conteneva tutto
entro di sé:
erbe acque montagne,
cuore umano
più grande della morte

Elena Bono – Cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio

Elena Bono
Cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio

Piange Adamo, si copre il volto con le mani
e piange Eva levando il viso al cielo:
due tagli obliqui gli occhi,
la bocca un buco nero
nell’urlo lungo come il tempo,
donne di Marzabotto o
donne di Sant’Anna di Stazzema, o
donne delle Fosse Ardeatine,
spose, sorelle, figlie, madri

Ajace – Versi pazzi

Ajace

Versi pazzi
Signori, perdonatemi,
che da sol mi presento;
sono il Garibaldino
che viene a voi vicino;
io sono il Combattente
io sono il partigiano
che va sul monte al piano,
che marcia allegramente
e digiuna sovente.

Ho vissuto per mesi
e mesi e mesi sulla neve
son passato all’estate
non ci siamo mai fermati.
Quante botte abbiam dato
per i monti e vallate!

Ora ci prepariamo
per l’ultima battaglia;
col ferro e la mitraglia
per l’Italia pugniamo.

Siamo pronti a schiacciare
chi vuol ostacolare
la marcia trionfale
di noi Garibaldini.

Gli avanzi di galera
detti camicie nere
ci chiamano banditi
e assassini accaniti
ma quando noi veniamo
tra voi, popolo nostro,
il vostro bel sorriso
ci sembra un paradiso,
ci ripaga gli stenti
fatiche e patimenti.

O popol, tutti uniti
abbattiamo il servaggio
avanti alla riscossa
con la bandiera nostra.
Aiace

Parole e Musica – Dalle belle città

Patria Indipendente
Cantavano i partigiani
Chiara Ferrari
Breve rassegna (e breve storia) di alcune famose canzoni della Resistenza, dei loro testi e dei luoghi dove sono nate
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Dalle belle città o Ribelli della montagna (1944) è l’inno della III Brigata d’assalto garibaldina in Liguria che venne quasi completamente distrutta il 6 aprile 1944. Il canto diventerà poi l’inno della Brigata Mingo. Autore delle parole è Emilio Casalini “Cini”; della musica, invece, tra le poche completamente originali, è Angelo Rossi detto Lanfranco che la compose durante i turni di guardia. Come per molte altre canzoni nate sul campo di battaglia, però, i testi sono il frutto della collaborazione dei numerosi partigiani presenti.
Per ascoltare la canzone
https://youtu.be/oZAnRM8xbRY
Dalle belle città date al nemico
fuggimmo un dì su per l’aride montagne
cercando libertà tra rupe e rupe,
contro la schiavitù del suol tradito.
Lasciammo case, scuole ed officine,
mutammo in caserme le vecchie cascine
 armammo le mani di bombe e mitraglia
temprammo i muscoli ed i cuori in battaglia.
Siamo i ribelli della montagna
Siamo i ribelli della montagna,
viviam di stenti e di patimenti,
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir
ma quella fede che ci accompagna
sarà la legge dell’avvenir.
Di giustizia è la nostra disciplina,
libertà è l’idea che ci avvicina,
rosso sangue è il color della bandiera
partigian della folta e ardente schiera.
Sulle strade dal nemico assediate
lasciammo talvolta le carni straziate
sentimmo l’ardor per la grande riscossa,
sentimmo l’amor per la patria nostra.
Siamo i ribelli della montagna…

Ottavio Profeta. – “Se la mia voce morirà

Ottavio Profeta. 

“Se la mia voce morirà
sulla croce di pietra cittadina
portatela sulla cima del mio monte
che s’alza nel vento
e si corica nella nebbia 

*

Se la mia voce morirà
nella mia pianura
cercatela nel canneto
nella conchiglie del mare
e nell’acqua del fiume 

*

Se la mia voce morirà
ridatemela viva
fra gli alberi del bosco
dove ogni sera
canta un usignolo”

Giacomo Leopardi – All’Italia

Giacomo Leopardi

All’Italia

O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed alloscorno;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov’è la forza antica,
Dove l’armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl’italici petti il sangue mio.
***
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti? e i tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L’Itala gioventude? O numi, o numi:
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da nemici altrui,
Per altra gente, e non può dir morendo:
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
***
Oh venturose e care e benedette
L’antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre;
E voi sempre onorate e gloriose,
O tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Fu di poch’alme franche e generose!
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprìr le invitte schiere
De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per l’Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
E sul colle d’Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide salia,
Guardando l’etra e la marina e il suolo.
***
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi,
Ch’offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nell’armi e ne’ perigli
Qual tanto amor le giovanette menti,
Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
Come sì lieta, o figli,
L’ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:
Ma v’attendea lo scuro
Tartaro, e l’onda morta;
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l’aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
***
Ma non senza de’ Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L’ira de’ greci petti e la virtute.
Ve’ cavalli supini e cavalieri;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra’ primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Ve’ come infusi e tinti
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d’infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
***
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nell’imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
Amor trascorra o scemi.
La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall’uno all’altro polo.
Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest’alma terra.
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch’io per la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.

Roberto Roversi. – Ricordate

Roberto Roversi.
Ricordate

 

ricordateci
noi che la libertà
l’abbiamo inseguita
camminando sul fuoco
noi falciati
sotto cieli violenti di guerra
Ricordateci
ricordate

Carlo Betocchi – La Pasqua dei poveri

Carlo Betocchi
La Pasqua dei poveri

Forse per noi, che non abbiam che pane,
forse più bella è la tua Santa Pasqua,
o Gesù nostro, e la tua mite frasca
si spande, oliva, nelle stanze quadre.
Povero il cielo e povere le stanze,
Sabato Santo, il tuo chiaror ci abbaglia,
e il nostro cuore fa una lenta maglia
col cielo, che ne abbraccia le speranze.
Semplice vita, alle nostre domande
tu ci rispondi: Su coraggio, andate!
Noi t’ubbidiamo; e questa povertà
non ha bisogno più d’altre vivande.
Noi siamo tanti quanti alla campagna
sono gli uccelli sulle mosse piante,
cui sembra ancor che le parole sante
giungan col vento e l’acqua che li bagna.
A noi, non visti, nelle grigie stanze,
miriadi in mezzo alla città che fuma,
Sabato Santo, la tua luce illumina
solo le mani, unica festa, stanche:
a noi la pace che verrà, operosa
già dentro il cuore e sulla mano sta,
che ti prepara, o Pasqua, e che non ha
che il solo pane per farti festosa.

Anonimo – Croce solitaria

Anonimo
Croce solitaria

Placido il raggio della luna nuova,
fra musiche di fronde e di ruscelli,
sparge la sera, e il grido si rinnova
di quando in quando dei notturni uccelli.
*
Nella pineta qui di sopra il monte
ritta una croce sta sul mio cammino;
intessono ghirlande i fior di fonte
attorno al legno rustico di pino.
*
Sulle cime dei pini agili e snelle,
ghirlanda immensa infiorare io vedo,
levando gli occhi al ciel, tutta di stelle.
*
Appresso a quella croce alfin venuto
mi fermo e leggo l’umile epitaffio:
"Prega, qui giace un ribelle caduto".