Archivio mensile:giugno 2015

David Irdani – Rappresaglie di San Giustino

Rappresaglie di San Giustino
di David Irdani, 24-4-2010, Creative Commons – Attribuzione 3.0.

Sul Pratomagno operavano alcune compagnie della Brigata “Lanciotto” dislocata in diverse zone del territorio. Una di queste aveva la sua base in località Roveraia ed un’altra nella zona a monte del paese di Anciolina.
Nei primi giorni di Luglio 1944, un nutrito gruppo di partigiani si recò in località San Giustino con l’intento di andare a rifornirsi di cibo in un ammasso pubblico per il grano e l’olio.
L’azione fu rapida e curata in ogni particolare. A fine azione fu deciso di lasciare le porte aperte del deposito per dare modo alla popolazione di prendere anche loro del cibo per le proprie necessità. Al termine dell’azione, quando i partigiani stavano rientrando sul Pratomagno, ci fu uno scontro a fuoco con un piccolo gruppo di soldati tedeschi incrociato casualmente sulla via. Due soldati (di nazionalità polacca) furono uccisi. La reazione del comando tedesco non si fece attendere, e il 3 Luglio, in località La grotta, furono fucilati per rappresaglia 6 civili. Ma la scia di sangue non si fermò. La notte fra il 5 e il 6 Luglio, sulla strada fra Castiglioni e San Giustino, un camion cisterna tedesco carico di benzina, esplose causando l’uccisione dell’equipaggio formato da 4 soldati tedeschi.
Pensando che l’ordigno fosse stato piazzato dai Partigiani, il Comando tedesco, che aveva occupato la fattoria del Borro e ne aveva fatto propria la base, ordinò di prelevare dal paese di San Giustino alcuni uomini e ne ordinò la fucilazione nei pressi del fiume Oreno. I cittadini uomini “prescelti” caricati sui camion furono 32. solo uno si salvò (Piero Sottani) fingendosi morto sotto i corpi degli altri 31 fucilati. Solo nei giorni successivi, le donne del paese poterono dare giusta sepoltura a quei corpi.
Per molti decenni, questo avvenimento, ha diviso la comunità locale, tra chi vedeva nell’azione partigiana un pretesto da dare ai tedeschi per l’uccisione di massa. Solo negli anni ’90, con la fruizione pubblica dei registri di guerra inglesi, la vicenda fu in parte chiarita;
In realtà a piazzare la mina sulla strada furono gli “alleati” (Caporale inglese Bos ed i tenenti francesi Pape e Condler) impegnati in azioni di sabotaggio ad alcuni tralicci telefonici.
Una curiosità emersa dai carteggi (War Office 204/11484) è che il sopradescritto gruppo di sabotatori non doveva trovarsi a Castiglion Fibocchi ma a Castiglion Fiorentino. Fu un errore dell’equipaggio dell’aereo a paracadutare i militari alleati in questa zona. Lo stesso comune di Loro Ciuffenna ha porto le scuse ai partigiani locali (che sempre avevano denunciato l’estraneità dei fatti) perchè più volte negli opuscoli rievocativi dell’eccidio aveva accreditato loro la responsabilità, anche indiretta, della morte dei propri cittadini.

Carlo Levi – La bambina di Pompei

Carlo Levi
La bambina di Pompei

Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra
ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
che ti sei stretta convulsamente a tua madre
quasi volessi ripenetrare in lei
quando al meriggio il cielo si è fatto nero.
Invano, perché l’aria volta in veleno
è filtrata a cercarti per le finestre serrate
della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
a incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Così tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
agonia senza fine, terribile testimonianza
di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura
che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
la sua cenere muta è stata dispersa dal vento,
la sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
vittima sacrificata sull’altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
tristi custodi segreti del tuono definitivo,
ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.

Primo Levi

Primo Levi – Cercavo te nelle stelle

Primo Levi

Cercavo te nelle stelle

Cercavo te nelle stelle
quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
ma non mi diedero che poche volte
solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
meditai la bestemmia insensata
che il mondo era uno sbaglio di Dio,
io uno sbaglio del mondo.
E quando, davanti alla morte,
ho gridato di no da ogni fibra,
che non avevo ancora finito,
che troppo ancora dovevo fare,
era perché mi stavi davanti,
tu con me accanto, come oggi avviene,
un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.

Primo Levi – Epigrafi

Primo Levi –
Epigrafi

O tu che segni, passeggero del colle,
Uno fra i molti, questa non più solitaria neve,
Porgimi ascolto: ferma per pochi istanti il tuo corso
Qui dove m’hanno sepolto, senza lacrime, i miei compagni:
Dove, per ogni estate, di me nutrita cresce
Più folta e verde che altrove l’erba mite del campo.
Da non molti anni qui giaccio io, Micca partigiano,
Spento dai miei compagni per mia non lieve colpa,
Né molti più ne avevo quando l’ombra mi colse.
Passeggero, non chiedo a te né ad altri perdono,
Non preghiera né pianto, non singolare ricordo.
Solo una cosa chiedo: che questa mia pace duri,
Che perenni su me s’avvicendino il caldo e il gelo,
Senza che nuovo sangue, filtrato attraverso le zolle,
Penetri fino a me col suo calore funesto
Destando a nuova doglia quest’ossa oramai fatte pietra.
6 ottobre 1952.

Giovanni Baldini – La strage dei minatori di Niccioleta

La strage dei minatori di Niccioleta

di Giovanni Baldini, 27-9-2004, Creative Commons – Attribuzione 3.0.

Questa storia si svolge nei comuni di Castelnuovo di Val di Cecina (PI), Massa Marittima (GR).

La miniera di Niccioleta fu da subito un importante luogo d’appoggio per i partigiani della zona. Successivamente all’armistizio dell’otto settembre 1943 rifornì i ribelli di carburante, di esplosivi, altri materiali essenziali ed ebbe ruolo di officina per riparare le armi.
Da quando in zona cominciò ad operare la 23° Brigata Garibaldi (vedi
Frassine
) l’attività dei minatori in appoggio ai partigiani intensificò ancora.

I tedeschi di stanza a Massa Marittima controllavano spesso Niccioleta, la tattica della terra bruciata imponeva di monitorare da vicino le risorse della miniera in modo da poterle distruggere non appena il fronte si fosse avvicinato troppo. Ma i minatori avevano occultato macchinari, attrezzature, esplosivi e viveri.

Il 3 giugno 1944 un distaccamento di partigiani comandati da Vincenzo Checcucci entrò in Niccioleta. L’euforia degli abitanti di Niccioleta, che leggevano questo fatto come un’avvisaglia della prossima fine della guerra indusse a due leggerezze: da una parte fu deciso che i fascisti del paese non erano particolarmente pericolosi e li si obbligò soltanto a una sorta di arresti domiciliari, dall’altra una delle liste per i turni di guardia al materiale salvato dalle razzie dei tedeschi fu lasciata in vista nei locali della miniera. Le conseguenze furono tragiche.
La guardia ai pochi fascisti di Niccioleta venne montata efficacemente, ma alcune delle loro mogli riuscirono ad aggirarla e ad avvertire il comando fascista che era al Pian di Mucini, a tre chilometri dal paese.

La squadra partigiana nel frattempo si era ritirata, sul posto erano rimasti solamente dei partigiani di Niccioleta che avevano organizzato i suddetti turni di guardia.
Il 13 giugno oltre 300 fra soldati tedeschi e milizie fasciste accerchiarono e attaccarono il paese di Niccioleta.
Durante il rastrellamento i nazifascisti avevano radunato e immediatamente fucilato quanti erano stati riconosciuti dai fascisti locali come collaboratori dei partigiani. In questa occasione i caduti furono: Baffetti Rinaldo, Barabissi Bruno, Chigi Antimo, Sargentoni Ettore, Sargentoni Ado e Sargentoni Alizzardo.

I Sargentoni (padre e due figli) vennero uccisi perchè trovati in possesso di una pistola, che in effetti avevano requisito ad uno dei fascisti il giorno della venuta dei partigiani. Il Barabissi fu trovato in possesso di un fazzoletto rosso e il Baffetti era un antifascista noto. La storia di Antimo Chigi è più articolata: il Chigi era un repubblichino di stanza a Siena, tornava a casa spesso in divisa tedesca, per farlo in tutta tranquillità si era accordato coi partigiani che gli avevano rilasciato un lasciapassare, faceva insomma il doppio gioco. Quando i tedeschi presero gli altri per torturarli e poi ucciderli lui se ne uscì con frasi di incitamento ai tedeschi e di ingiuria verso i condannati. Il tenente tedesco allora lo fece avvicinare e lo perquisì, trovandogli il lasciapassare partigiano.

I nazifascisti scovarono la lista dei nomi di coloro che fra i minatori avrebbero partecipato alle ronde anti-tedesche nei giorni successivi. Allora radunarono tutti gli uomini del paese e dopo aver liberato il direttore della miniera, il parroco e pochi altri fecero incamminare verso nord, gli venne detto che sarebbero stati obbligati a lavorare alla distruzione della stazione geotermica di Castelnuovo e successivamente vennero fatti salire su dei camion.

A Castelnuovo

Il III Polizei-Freiwilligen-Bataillon Italien (le SS italiane, volontari che servivano direttamente nell’esercito nazista) era arrivato a Castelnuovo all’alba del 10 giugno 1944 proveniente da San Sepolcro. A Castelnuovo l’attività partigiana era stata particolarmente intensa nei giorni precedenti, nei dintorni si erano installati alcuni distaccamenti della 3° Brigata Garibaldi: il 7 i partigiani erano entrati in paese e avevano requisito le armi della Guardia Nazionale Repubblicana. I fascisti tra l’altro avevano evitato lo scontro dileguandosi per tempo, solamente uno venne preso mentre rientrava da Pisa. Alla richiesta da parte dei partigiani di identificarsi costui mostrò la tessera del fascio repubblichino, una spavalderia che gli costò la vita.
Inoltre l’arrivo delle SS italiane interruppe un’azione partigiana che mirava a sottrarre tutta la biada che i contadini erano stati costretti a mettere all’ammasso, in maniera simile a quello che quasi contemporaneamente accade anche a Monterotondo Marittimo, ma a Castelnuovo i partigiani riuscirono a ritirarsi senza essere notati.

All’arrivo in paese le SS operarono un rastrellamento che portò all’arresto di quattro giovani renitenti alla leva e che vennero instradati verso la deportazione.
La sera del giorno 13 arrivano a bordo di camion circa 120 uomini rastrellati a Niccioleta.

I minatori di Niccioleta passarono la notte nel teatro di Castelnuovo, la mattina furono divisi in tre gruppi: uno destinato alla fucilazione, uno alla deportazione e uno per essere rimandato a casa.
Al più importante dei fascisti di Niccioleta, tale Calabrò, di origini siciliane, venne data la possibilità di scegliere sei persone da salvare ma ne scelse solo due. Così il gruppo dei condannati arrivò a contare 77 persone.
La cernita per la composizione venne fatta sulla base della lista rinvenuta a Niccioleta per i turni di guardia che i minatori avevano istituito a protezione della miniera, chi era in quella lista venne ucciso. Gli altri vennero divisi per età: i giovani alla deportazione, i vecchi a casa.

I 77 vennero condotti poco distante, nei pressi di una centrale geotermica, dove i soffioni erano stati liberati dai tubi e producevano un rumore fortissimo. Vennero fatti entrare in una specie di piccolo anfiteatro naturale e abbattuti a raffiche di mitra.
Il gruppo dei giovani venne portato a Firenze e di lì in Germania nei campi di lavoro, a quanto risulta sono tutti tornati alle loro case alla fine della guerra.

Oltre ai minatori

Ai settantasette minatori si aggiunsero quattro partigiani provenienti da Volterra, tutti ex ufficiali dell’esercito.
Si trattava di Gianluca Spinola, romano di famiglia facoltosa e possidente della villa di Ariano nei pressi di Volterra, dei sardi Vittorio Vargiu e Francesco Piredda e infine di Franco Stucchi, fiorentino, arrestati nei giorni precedenti durante un’operazione contro i tedeschi e trasferiti al Maschio di Volterra. Nella notte fra il 13 e il 14 vennero trasferiti a Castelnuovo e nei pressi del podere Sorbo, tra le 11.00 e le 12.00 del 14 di giugno, Stucchi, Piredda e Vargiu vengono fucilati. Spinola invece, riconosciuto come capobanda, verrà più volte interrogato e poi ucciso nella caserma di Castelnuovo.

Altri tre partigiani erano destinati alla stessa fine. Nella notte tra il 14 e il 15 giugno vengono prelevati dal carcere di Volterra Dino Fulceri "Mosè", Gino Benini e Dino Del Colombo, che a causa delle torture subite versano in pessime condizioni. Durante il percorso il mezzo su cui si trovano deve fermarsi per la foratura di un pneumatico. Al loro arrivo a Castelnuovo i tedeschi saranno già partiti e i prigionieri verranno di nuovo riportati nel carcere di Volterra dal quale saranno liberati circa un mese più tardi.

Considerazioni storiche

Una delle questioni su cui ci si è interrogati, anche a proposito delle motivazioni che generarono l’eccidio, è il perché a Castelnuovo siano state inviate SS di San Sepolcro, che essendo in provincia di Arezzo comportò un lungo spostamento durato pressappoco un giorno e una notte. Spostamento disagevole e movimentato, visto che durante il giorno 9 la colonna fu ripetutamente bombardata dagli alleati.
Questa scelta risulta particolarmente strana ricordando che vi erano numerosi reparti della Wehrmacht (ovvero dell’esercito regolare) che transitavano e stanziavano lungo la costa grossetana e livornese e che avrebbero raggiunto Castelnuovo in minor tempo.
L’opinione oramai consolidata degli storici è che vi fosse in atto uno scontro politico fra gli alti ufficiali delle SS e dell’esercito regolare tedesco e che le SS si volessero accreditare agli occhi dei generali come ben più efficienti nell’opera di contenimento delle bande partigiane, che all’epoca si erano fatte estremamente pericolose. In quest’ottica assume un significato sia il rastrellamento iniziale particolarmente tiepido contro Castelnuovo e
Monterotondo
per l’intenzione di fare in zona una base per azioni antipartigiane, sia l’accomunare partigiani veri e minatori sotto un’unica conta di 92 partigiani giustiziati (oltre ai 77 minatori caduti qui e ai 4 partigiani provenienti dal Maschio di Volterra ci sono da annoverare 6 caduti alla Niccioleta e altri 5 partigani caduti a Monterotondo).

Insomma: le SS erano in quella zona per compiere qualche azione antipartigiana eclatante e i fatti della miniera di Niccioleta furono un’occasione fortuita ma eccellente, poco importa che i 77 minatori stessero semplicemente difendendo il proprio lavoro.
Il tenente Blok, artefice del rastrellamento di Niccioleta, riceverà per questo un riconoscimento al valor militare dai suoi superiori.