Cronologia 1943 – 8 Settembre
Giovanna Boursier
Marco Scavino
8 Settembre
8 settembre. Badoglio invia al quartier generale alleato ad Algeri un messaggio in cui informa Einsenhover di non poter annunciare l’armistizio a causa della consistente presenza di truppe tedesche nei dintorni della capitale e sconsiglia l’invio della divisione aviotrasportata data l’impossibilità italiana di fornire il carburante e i mezzi necessari ai reparti sbarcati. Eisenhower respinge la richiesta di ritardare l’annuncio e minaccia pesanti ritorsioni in caso contrario; anzi, alle 16.30 radio New York anticipa la notizia della firma dell’armistizio con l’Italia. Poco dopo il re, Badoglio, Guariglia, Acquarone, Carboni e i ministri della guerra, della marina e dell’aereonautica si riuniscono al Quirinale, dove arriva la notizia dell’annuncio dell’armistizio dato dagli americani.
Al nord reparti tedeschi comandati da Erwin Rommel iniziano i rastrellamenti dei soldati italiani e l’occupazione dei punti strategici, in particolare impianti industriali e vie di comunicazione.
Alle 19.45 Badoglio parla alla radio: «Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza».
Il paese viene travolto da euforia e confusione. Nel dissolvimento di ogni potere legittimo, tra esercito, comandi e popolazione italiana è il caos più generale. L’esercito italiano è allo sbando, senza ordini ne indicazioni precise ,e si muove su iniziativa di singoli comandanti, tentando di arginare l’avanzata tedesca. A Roma, in particolare nel quartiere di Porta San Paolo, esercito e popolazione insieme riescono a fermare l’avanzata del maresciallo Kesselring. Durante la notte le divisioni Granatieri, Ariete e Piave fermano i tedeschi intorno alla capitale.
Incominciano le operazioni di sbarco della V armata americana nel golfo di Salerno, dove sono schierate le forze tedesche comandate dal generale von Vietinghoff.
Gli inglesi sbarcano a Taranto.
Vittorio Emanuele III, Badoglio e i generali abbandonano Roma e fuggono a Pescara, da dove la Marina li porterà a Brindisi sotto protezione alleata. Il re lo annuncerà la sera dell’11 ai pochi che riuscivano a captare la debole voce di radio Bari: «Per il supremo bene della patria che è sempre stato il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell’intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della capitale e per potere pienamente assolvere i miei doveri di re, col governo e con le autorità militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale…».
Un’altra giornata di vergogna per la monarchia e le classi dirigenti italiane, ma insieme una possibilità per la popolazione, ora di fronte all’alternativa, alla scelta radicale, alla lotta di liberazione, alla resistenza, appunto.
Quasi subito, in molte località del nord e del centro Italia, nelle zone occupate dai tedeschi, gruppi di antifascisti -soprattutto quadri dei partiti antifascisti, molti già combattenti nelle Brigate internazionali in Spagna, altri liberati dal confino o dal carcere- saliranno sulle montagne per formare i primi nuclei di guerriglia. A questi «antifascisti politici» si aggiungeranno presto soldati sbandati, o altri giovani per i quali, come osserva Guido Quazza, la scelta della resistenza era quasi «esistenziale», fondata su una spontanea volontà di reagire all’occupazione tedesca, in un tentativo di rivincita contro il fascismo e le vecchie classi dirigenti.
E’ l’inizio della Resistenza, un grande movimento «dal basso», una grande esperienza di partecipazione collettiva e di protagonismo popolare, con un significato politico enorme. «I fatti -scrive Dante Livio Bianco- hanno dato ragione a coloro che vedevano la guerra di liberazione non come una guerra tra stati, fra nazioni e ‘potenze’ e ‘governi’ in conflitto, ma come una vera guerra civile, una guerra ideologica e politica quant’altro mai, una guerra destinata non solo a scacciare gli invasori tedeschi e a eliminare i traditori fascisti, ma a gettare le basi per un ordine nuovo politico e sociale. Niente in comune dunque tra partigiani ed esercito regio, ancora in mano a generali fascisti e a una dinastia fascista: niente apoliticità delle formazioni, ma anzi una necessità assoluta di una coscienza politica, d’una consapevolezza delle ragioni profonde della lotta e degli obiettivi veri da raggiungere; ragioni e obiettivi che si compendiano per noi in due parole: rivoluzione democratica».
supplemento a il manifesto
direttore Luigi Pintor
direttore responsabile Sandro Medici
Lascia un commento
Comments 0