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Giacomo Leone Ossola

per la libertà

Giacomo Leone Ossola

Nato a Vallo di Caluso (Torino) il 12 maggio 1887, deceduto a Brescia il 17 ottobre 1951,  frate cappuccino.

Di famiglia modestissima, a dieci anni fu mandato nel "Collegio Serafico" di Sommariva Bosco. Compì poi il noviziato a Racconigi, studi teologici a Busca e Revello sino  a Torino nel 1909. Laureatosi in Lettere e Filosofia, si dedicò all’insegnamento in provincia di Cuneo sino a che, nel 1919, fu chiamato a ricoprire l’incarico di vicesegretario generale dell’Ordine dei Cappuccini. Nel 1922, Ossola era a Roma, al governo patriarcale della Basilica di San Lorenzo in Verano, che lasciò nel 1937 allorché Pio XI lo consacrò vescovo e lo nominò vicario apostolico per la Missione Galla. Padre Ossola restò in Etiopia sino al 1943, quando Pio XII lo richiamò in Italia e lo nominò, in seguito alla morte del vescovo di Novara, Amministratore apostolico della Diocesi novarese. L’incarico fu affidato a Monsignor Ossola pochi giorni dopo la costituzione della Repubblichetta di Salò, ma il prelato, non essendo "vescovo residenziale", non dovette prestare giuramento al governo della RSI. Giunto tuttavia a Novara con la nomea di fascista (per le opere che col finanziamento del regime aveva realizzato in Africa), Monsignor Ossola, nei diciotto mesi che videro imperversare nel Novarese tedeschi e fascisti, seppe guadagnarsi l’appellativo di "vescovo dei partigiani", grazie al suo comportamento in difesa delle popolazioni della Diocesi. Molto importante fu poi l’opera di mediazione che il prelato seppe svolgere durante le trattative che portarono alla resa dei nazifascisti e alla liberazione di Novara. Nel dopoguerra, per questa ragione, l’amministrazione comunale ha proclamato Giacomo Leone Ossola – nominato vescovo di Novara il 9 settembre 1945 – Defensor Civitatis.Ossola, gravemente malato, rinunciò nel 1950 all’incarico di vescovo di Novara (la città lo ricorda ora con un monumento) e, poco prima della morte, Pio XII lo innalzò alla dignità arcivescovile di Geropoli di Frigia, in Siria.

Tratto da,

Religiosi nella Resistenza

http://www.anpi.it/

Ulisse – Cimitero di Torino

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Ulisse

Cimitero di Torino

Sulle tombe bianche e spoglie
è venuto il tricolore con dei nastri
color rosso.
Sulle tombe bianche e spoglie
ogni giorno primavera reca fiori e ghirlande.
Il cimitero di Torino
fa dei vivi sepoltura
che son vivi i partigiani
assassinati
nella notte dal nemico
impiccati
sulle piazze di Torino
fucilati sugli spalti
soffocati alle prigioni.
Sono vivi i partigiani
che ricantano ogni notte
una canzone a tutta gola
sulle tempie del nemico
sulle case di Torino
sopra il cuore dei fratelli.
Sono vivi i partigiani
che trincea hanno fatto
della fossa
per lottare.
Un esercito che veglia
dalle tombe
che comanda alla riscossa
che combatte con la morte
fa bandiera del suo sangue
così rosso
alza i volti bianchi e duri
per la tema
del nemico,
alza gli occhi chiari e franchi
per gli amici
e sorride
alle mamme
alle spose
alle famiglie.
Questi morti patrioti
sono vivi.

Tratto da
Poesia clandestina della Resistenza – Antologia dei …

Giovanni Pesce – Medaglia d’Oro

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Giovanni Pesce
Medaglia d’oro al V.M.

Giovanni Pesce (Visone, 22 febbraio 1918 – Milano, 27 luglio 2007) è stato un comandante partigiano e politico italiano. Militante comunista, partecipò alla Guerra civile spagnola combattendo nelle Brigate Internazionali. Dopo il ritorno in Italia venne arrestato e deportato a Ventotene dal Regime fascista. Liberato dopo il 25 luglio 1943 entrò a far parte dei GAP prima a Torino e quindi a Milano, divenendo uno dei più abili e temuti guerriglieri urbani della Resistenza.

Conosciuto con i nomi di battaglia di "Ivaldi" e "Visone", portò a termine con successo una lunga serie di attentati contro autorità e militi della Repubblica Sociale Italiana e contro militari tedeschi. Insignito della Medaglia d’oro al valor militare, dopo la guerra è stato consigliere comunale di Milano dal 1951 al 1964

Biografia

Aveva solo sei anni, nel 1924, quando con la famiglia, dalla provincia di Alessandria, emigrò in Francia, nella regione mineraria delle Cévennes, ove il padre Riccardo, un operaio antifascista, fu costretto a recarsi per vivere, non trovando più lavoro in Italia.

Sin da bimbo aiutava il padre nella piccola vineria che la famiglia aveva aperto a La Grand-Combe, e che era frequentata soprattutto da minatori che il piccolo Jeanu ascoltava parlare della loro dura esistenza. Iniziò prestissimo a lavorare, d’estate, come guardiano di vacche sulle montagne nella vicina regione della Lozère, suo unico compagno un cane, Medoc, che Pesce ricorderà con affettuosa tenerezza sino alla fine dei suoi giorni. Nel 1931 affrontò – non ancora quattordicenne – la dura vita del lavoro in miniera per contribuire al precario bilancio della famiglia.

Ben presto prese a frequentare la "Jeunesse communiste", l’organizzazione giovanile del PCF, il Partito Comunista Francese. Nel 1935 aderì al Partito Comunista d’Italia e, nel 1936, in febbraio, si recò in gita a Nîmes con gli amici e, più tardi, per festeggiare la vittoria elettorale del Fronte Popolare, a Parigi, ove visitò la sede del giornale del PCF, L’Humanité, che da giovane minatore comunista diffondeva ogni domenica alla Grand-Combe. Qui raccolse i volantini a favore del governo repubblicano spagnolo firmati ed illustrati da Joan Miró e ascoltò l’appello della Pasionaria, Dolores Ibárruri, ad arruolarsi nelle Brigate Internazionali per prendere parte alla guerra civile di Spagna. Pesce, ingannata la madre Maria con il pretesto di recarsi al confine belga per incontrare una ragazza, si arruolò e si recò in Spagna insieme a numerosi altri giovani antifascisti d’origine italiana che aderirono alla Brigata Garibaldi (‘gruppo’ Picelli’) alla parola d’ordine "Oggi in Spagna, domani in Italia" dei fratelli Nello e Carlo Rosselli, assassinati il 9 giugno 1937 da sicari fascisti inviati dal governo Mussolini.

La partecipazione alla guerra civile di Spagna

« Sono uno degli ultimi in vita perché ero il più giovane, avevo diciotto anni. Partii dalla Francia, dove vivevo con la mia famiglia. Il giorno in cui arrivai a Barcellona, mi imbattei in un grande funerale. Era il novembre del 1936, per le vie larghe della capitale catalana scendeva la folla smisurata che seguiva il carro funebre con il cadavere di Buenaventura Durruti, il leggendario comandante anarchico morto nella battaglia di Madrid in circostanze oscure »

In seguito all’insurrezione di parte dell’esercito spagnolo di contro il governo repubblicano, cui poi seguì il sostegno militare dell’Italia fascista e della Germania nazista, si vennero formando, a partire dall’ottobre del 1936 formazioni armate di volontari a sostegno della Repubblica di Spagna, le "Brigate Internazionali". Costituite soprattutto da antifascisti provenienti dalle Americhe e dall’Europa, che giunsero a contare circa 40.000 uomini di 70 nazionalità diverse, con prevalenza di francesi, italiani e tedeschi, animati non solo da spirito di solidarietà verso i repubblicani spagnoli, ma anche dalla speranza di porre un freno all’espansione del fenomeno fascista anche nei propri Paesi d’origine.

Pesce, tra i primi a giungere in Spagna, come gli altri volontari fu, una volta giunto sul posto, aggregato ai volontari italiani organizzati nella "Brigata Garibaldi", costituita ad Albacete nel novembre del 1936, sebbene – causa il forzato esilio della famiglia d’origine sin dalla sua più tenera età – fosse nel frattempo divenuto quasi madre lingua francese.

Raggiunse la Spagna con il gruppo guidato da Guido Picelli, insieme ad altri 200 compagni (Picelli dirigente militare del PCI ma in polemica con il Comintern, cadde nel gennaio del 1937 nei pressi di Guadalajara -non durante la celebre battaglia- colpito alle spalle da un ignoto agente dell’NKVD. Ufficialmente fu colpito da una mitragliatrice fascista).

Il suo primo impiego in battaglia si ebbe il 17 dicembre nei pressi di Madrid, a Boadilla del Monte. Impegnato come mitragliere spesso in prima linea durante tutta la durata dell’impiego delle Brigate Internazionali nel conflitto, rimase più volte ferito in combattimento (riportandone lesioni anche serie e rose di schegge mai rimosse dalle sue carni), prima a Brunete, quindi due volte presso Farelete e in occasione dell’offensiva sul fiume Ebro.

Sul finire del 1938 la Repubblica congedò le Brigate internazionali e di lì a pochi mesi crollò. Il 1 aprile 1939, Franco annunciò la fine della guerra e l’inizio di una dittatura di stampo fascista, il Franchismo, conclusasi solo con la sua morte, il 20 novembre 1975. Si avverava così la profezia di Dolores Ibárruri, che in un celebre discorso ascoltato dal giovane Giovanni Pesce, aveva previsto che, in caso di vittoria di Franco e del fascismo, "un torrente di sangue avrebbe travolto l’intera Europa", come avvenne esattamente cinque mesi dopo la vittoria franchista: il 1 settembre 1939 scoppiava, per iniziativa di Adolf Hitler, la seconda guerra mondiale.

Il rientro in Italia e la guerra partigiana
Da Ventotene all’8 settembre

Lasciata la Spagna e poi la Francia, Pesce rientrò in Italia nel 1940 ma fu subito arrestato e inviato al confino sull’isola di Ventotene, ove conobbe alcuni tra i massimi rappresentanti politici dell’antifascismo italiano, come lui ristretti nell’isola dal regime fascista.

Liberato nell’agosto del 1943, si unì alle prime formazioni partigiane e fu tra i principali organizzatori dei GAP di Torino.

Con i GAP a Torino e Milano

Nel capoluogo piemontese svolse, con il nome di battaglia "Ivaldi", numerose azioni di sabotaggio contro l’occupante nazista e uccise diversi esponenti del regime fascista collaborazionista, dimostrando tenacia e capacità nella dura e spietata guerriglia urbana solitaria condotta dai gappisti.

Pesce ha raccontato nelle sue memorie il suo primo attentato mortale diretto contro il maresciallo della Milizia e amico personale di Benito Mussolini Aldo Morej: egli ammette la sua indecisione nel primo tentativo; nella seconda occasione egli invece dimostrò grande determinazione. Il 23 dicembre 1943, arrivato in bicicletta insieme ad un compagno di copertura, entrò nel suo negozio da orologiaio dove Morej serviva i clienti e lo uccise freddamente alle spalle riuscendo poi a sfuggire senza difficoltà. Addestrato alla fabbricazione e all’uso degli esplosivi da Ilio Barontini, Pesce insieme ad altri due compagni il 2 gennaio 1944 abbandonò delle bombe in un locale frequentato da ufficiali tedeschi e fascisti per poi allontanarsi "siamo già lontani sulle biciclette, quando ci percuote lo schianto lacerante e terribile della prima bomba", mentre il 15 gennaio uccise in strada un sergente fascista.

Nonostante questi successi, La situazione dei GAP a Torino era critica e Pesce era praticamente solo nella città occupata da numerose guarnigioni nazifasciste. Determinato ad agire per dimostrare la combattività della Resistenza e minare il morale e la sicurezza del nemico, Pesce decise di colpire alcuni ufficiali tedeschi. Appostato fuori da un locale armato di due rivoltelle, prima uccise due tedeschi a colpi di pistola e quindi, dopo aver sostituito i caricatori delle sue armi, riuscì ad colpire in strada mortalmente altri due ufficiali che lo avevano inseguito.

Dal gennaio 1944 i componenti del GAP di Torino guidati da Pesce diedero inizio ad una continua serie di attentati; nel solo mese di febbraio vennero uccisi quattro fascisti e tre militari tedeschi. Grazie al prezioso aiuto di Ilio Barontini, Pesce e i suoi compagni moltiplicarono anche gli attentati con esplosivi: vennero colpiti vagoni ferroviari dei treni utilizzati dai soldati della Wehrmacht, mentre il 1 marzo vennero danneggiati numerosi scambi e le centraline di alimentazione delle linee dei tram intorno alle fabbriche cittadine dove erano iniziati i grandi scioperi generali degli operai[6]. Il giorno seguente, 2 marzo, Pesce e Giuseppe Bravin si calarono nella galleria sotterranea della stazione elettrica della ATM di Torino dove collocarono esplosivi danneggiando i sistemi di alimentazione e controllo delle linee di trasporto. Il 3 marzo Pesce partecipò ad un’incursione dei GAP nella stazione di Porta Nuova dove furono fatti esplodere tre locomotori; alcuni giorni dopo Pesce, Bravin e Dante Di Nanni riuscirono a colpire il ritrovo tedesco di via Paleocapa nonostante fosse fortemente presidiato. Studiando accuratamente i tempi, i tre gappisti riuscirono ad evitare le pattuglie nemiche ed a sistemare le cariche esplosive che provocarono nove morti tra i soldati tedeschi; sfruttando la confusione creata dalla esplosioni, i tre riuscirono ancora una volta a fuggire in salvo[7].

Il 31 marzo 1944 alle ore 13.00 Giovanni Pesce e Giuseppe Bravin uccisero il giornalista fascista Ather Capelli ritenuto dai GAP "il sanguinario incitatore delle rappresaglie". L’attentato, rievocato con efficacia drammatica da Pesce nelle sue memorie, ebbe luogo davanti al portone dell’abitazione di Capelli nel momento in cui egli rientrava su un’auto con autista ma senza scorta. Pesce e Bravin furono avvisati da una compagna, Ines, dell’arrivo dell’auto, e, muovendo a piedi da direzioni opposte della strada, arrivarono al momento giusto davanti al portone proprio mentre Capelli scendeva dall’auto. I due gappisti lo uccisero con sette colpi di pistola, subito dopo Pesce sparò alle gambe dell’autista per neutralizzarlo; quindi riuscirono a fuggire a piedi nonostante qualche momento di pericolo[8].

A Torino ebbe anche luogo, il 18 maggio 1944, il sacrificio di Dante Di Nanni, membro del GAP comandato da Pesce, subito dopo l’attentato contro la stazione radio dell’Eiar che disturbava le trasmissioni di Radio Londra. In seguito a questi ultimi drammatici avvenimenti, nel mese di maggio 1944 Giovanni Pesce si trasferì a Milano, dove riorganizzò la formazione locale, la III Brigata GAP "Rubini", prendendone il comando col nome di battaglia di "Visone".

Tra le sue azioni a Milano, è da ricordare l’uccisione di Cesare Cesarini, il 15 marzo 1945 in viale Mugello, tenente colonnello onorario della "Muti" e capo dell’ufficio personale nella fabbrica Aeroplani Caproni di Taliedo, ritenuto responsabile della deportazione di 63 tra operai, impiegati e tecnici dello stabilimento.[9]

Giovanni Pesce spesso operò a Milano con la partigiana "Sandra", ufficiale di collegamento, al secolo Onorina Brambilla, detta Nori, (1923-2011), che dopo la Liberazione, il 14 luglio 1945, divenne sua moglie.

Il dopoguerra

Per le sue attività nella Resistenza italiana, il 23 aprile 1947 è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare per decreto del Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi.

Dopo la seconda guerra mondiale è stato consigliere comunale a Milano nelle file del Partito Comunista Italiano, dal 1951 al 1964, e consigliere nazionale dell’ANPI fin dalla fondazione. Nel 1991 entrò nel Partito della Rifondazione Comunista, continuando sino alla fine la sua attività politica e di testimonianza sulla Resistenza e i suoi valori, riconoscendosi nelle posizioni dell’area Essere comunisti. Ha cofirmato con Claudio Grassi la seconda mozione al VI congresso nazionale del PRC (3-6 marzo 2005).

Negli ultimissimi mesi di vita fece in tempo a manifestare il suo dissenso per la linea ‘governista’ del PRC di Fausto Bertinotti, avvicinandosi di fatto a posizioni più radicali, condividendo le critiche ai vertici del PRC mosse anche dai militanti di formazione IV internazionalista; a prova della sua capacità di indipendenza di pensiero da parte di un militante che formò la sua giovinezza nel culto dello stalinismo (come quasi tutta la sua generazione di comunisti) ma che mantenne sempre capacità critica e coraggio personale.

Alla sua figura è dedicata anche una ballata di Dario Fo: "La GAP".

Un’iniziativa per nominare Giovanni Pesce Senatore a vita raccolse 2.450 firme fino al 26 luglio 2007, e continuò a ricevere firme come omaggio postumo alla figura del "Comandante Visone". Giovanni Pesce è stato per anni presidente dell’Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna (AICVAS) .

http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pesce#Con_i_GAP_a_Torino_e_Milano

Dante Di Nanni

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Dante Di Nanni

Nato a Torino il 27 marzo 1925, caduto nella stessa città il 18 maggio 1944, motorista, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

Intorno a mezzogiorno la notizia era già arrivata, creando viva eccitazione, nelle grandi fabbriche di Torino: "Stanno sparando contro le brigate nere in Borgo San Paolo". In realtà erano i fascisti e i tedeschi che, con l’appoggio di un carro armato e di un’autoblinda, dalle 11 scaricavano gragnole di colpi contro le finestre del secondo piano di un edificio di via San Bernardino. Dalla casa, ogni tanto, partivano brevi, precise raffiche di mitra e qualche lancio di bombe a mano. Ad un certo punto una carica di tritolo bloccò anche il carro armato. Poi i colpi che arrivavano dalla casa si fecero sempre più radi e ad un tratto ad un balcone apparve la figura di un uomo; il giovane si avvicinò vacillando alla ringhiera, levò in alto il pugno chiuso in un ultimo gesto di sfida e si lasciò cadere nel vuoto. Così morì Dante di Nanni, che già pochi giorni dopo fu proclamato "Eroe nazionale" dal Comitato militare del CLN regionale piemontese. Il ragazzo era figlio d’immigrati pugliesi. A 15 anni era entrato in fabbrica, ma aveva continuato a studiare in una scuola serale. A 17 si era arruolato in Aeronautica e nell’agosto del 1943 era motorista al I Nucleo addestramento caccia di Udine. L’8 settembre del 1943 non segnò il ritorno a casa ma, con l’amico Francesco Valentino, poi impiccato dai fascisti in corso Vinzaglio a Torino, l’inizio della lotta contro i nazifascisti in una piccola banda nelle vicinanze di Boves. Dispersa la formazione, Di Nanni, sempre con Valentino, alla fine di dicembre riuscì a riparare nella sua abitazione torinese. L’inattività durò poco. Alla fine di gennaio, i due ragazzi erano già entrati nei G.A.P. comandati da Giovanni Pesce. La notte del 17 maggio Pesce, Di Nanni, Bravin e Valentino attaccano una stazione radio sulla Stura; prima di farla saltare in aria disarmano i nove militi che la presidiavano e, sulla promessa che non avrebbero dato l’allarme, salvano loro la vita. I gappisti, invece, vengono traditi e sono sorpresi da un intero reparto nemico. Nello scontro, i quattro rimangono tutti feriti, ma riescono a sganciarsi. Il più grave è Di Nanni, raggiunto da sette proiettili al ventre, alla testa e alle gambe. Pesce, ferito ad una gamba, riesce a trascinare Dante in una cascina e, all’alba, a farlo trasportare nella base di borgo San Paolo. Qui un medico antifascista vede il ferito, ne ordina l’immediato ricovero in ospedale e Pesce lascia Di Nanni per organizzarne il trasporto. Quando ritorna, i fascisti, avvertiti da una spia, stanno già sparando contro la casa di via San Bernardino.

***

Stormy Six

Dante di Nanni

Nel traffico del centro pedala sopra il suo triciclo
e fischia forte alla garibaldina.
Il carico che piega le sue gambe è l’ingiustizia,
la vita è dura per Dante di Nanni.
All’alba prende il treno e c’è odore di porcile
sui marciapiedi della sua pazienza,
e nella testa pesano volumi di bugie.
La sera studierà, Dante di Nanni.
Trent’anni son passati, da quel giorno che i fascisti
ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E cento volte l’hanno ucciso, ma tu lo puoi vedere
gira per la città, Dante di Nanni.
L’ho visto una mattina sulla metropolitana
E sanguinava forte, e sorrideva.
Su molte facce intorno c’era il dubbio
e la stanchezza.
Ma non su quella di Dante di Nanni.
Trent’anni son passati, da quel giorno che i fascisti
Ci si son messi in cento ad ammazzarlo
E ancora non si sentono tranquilli,
perché sanno che gira per la città, Dante di Nanni.